Joe Strummer, l’uomo che voleva riscrivere il futuro
Se ne andava vent’anni fa il leader dei Clash, band icona dell’anima più impegnata e propositiva del punk. Tra prese di posizione, provocazioni, musica e militanza, il ricordo di un artista che ha segnato la storia del rock
Joe Strummer, pseudonimo di John Graham Mellor, icona del punk, ci lasciava 20 anni fa. Con The Clash, band attiva dal 1976 al 1986, aveva realizzato sei album, mischiando generi musicali, dal dub al reggae, passando per il rockabilly, riproponendo nell’arte un mondo multiculturale che diventava sempre più inevitabile. Antimilitarista, anticolonialista, anarchico, vegetariano, era diventato per il movimento punk un punto di riferimento. Era riuscito a intercettare in una Inghilterra proletaria e sottoproletaria il disagio dei ragazzi che si ribellavano nelle strade alle politiche tatcheriane e all’atomizzazione della società. Strummer (lo strimpellatore) a quella generazione aveva voluto dare una speranza, rispondendo al “no future” dei Sex Pistols con un futuro tutto da scrivere. A partire dal 1977, anno dell’extraparlamentarismo in Italia, il giovane musicista di Broomfield lancia i suoi inni di protesta, sempre tra rivolta violenta e pacifismo, con una ambiguità che ancora rimane nel tempo: White Riot, London Calling, Remote Control, London’s Burning, The Guns of Brixton.
Canterà la fine della Beatlemania, sostituita dalle manganellate della polizia e della repressione, e dal falso mito delle opportunità di carriera.
Guarda il video di London Calling dei Clash
Gli anni ’70 e la rabbia giovane
Qualcuno ricorderà quando indossò durante il concerto Rock against Racism, a Londra, nel 1978, la maglietta delle Brigate Rosse. Disse in quella circostanza: «Quel che fanno le Brigate Rosse penso vada bene, anche se è sbagliato andare in giro ad ammazzare la gente – sai, uccidono uomini d’affari e quelli che secondo loro stanno fottendo l’Italia – ma voglio dire il sistema è comunque brutale, tante gente muore a causa del sistema, e nessuno ha niente da dire». Parole che sembravano inconciliabili con gli inviti a disertare le guerre, a non rispondere alla chiamata.
Come nella celebre The Call up: «Sta a te non dar retta alla chiamata/E non devi agire secondo l’educazione che ti è stata impartita/Chi conosce le ragioni per cui sei cresciuto/Chi conosce i progetti e le ragioni per cui sono stati fatti/ sta a te non dar retta alla chiamata/Non voglio morire!/Sta a te non sentire la chiamata/Non voglio uccidere/Per uno che morirà ce ne sarà uno che ucciderà/Vorrei vedere i campi di grano sopra Kiev e in fondo al mare/Per secoli i giovani hanno marciato di buon grado verso la morte e fieri padri di città li guardavano lacrime agli occhi».
Poesia e militanza
E poi la rabbia per quella bomba americana sganciata in Iraq con la scritta Rock the Casbah. D’altro canto Pete Townshed lo aveva spiegato bene: «I Clash erano dei poeti. In quanto artisti che lavoravano nel campo della musica […] erano completamente liberi di esprimere e riflettere il loro disagio nei confronti del mondo che li circondava. Esprimevano rammarico anche per il fatto che le band che li avevano preceduti – come gli Who – non erano state abbastanza militanti». Una vita di musica e militanza quella di Joe Strummer, segnata anche dalla scomparsa del fratello David nel 1970. Commentò così una volta il terribile episodio: «Ironicamente, sai, era un nazista. Era un membro del National Front. Era appassionato d’occulto e aveva questi teschi e ossa incrociate dappertutto. Non amava parlare con nessuno, e penso che il suicidio fosse per lui l’unica via d’uscita. Cos’altro avrebbe potuto fare?». Dopo l’esperienza con The Clash, per il musicista non sembrava esserci più alcuna alternativa gratificante: provò con il cinema, con un album da solista, seguì i Pogues. Ma a salvarlo dai giorni di noia e irrequietezza fu l’incontro con i Mescaleros, che lo accompagnarono in giro per il mondo fino al 22 novembre 2002, quando a Liverpool salì sul palco anche Mick Jones. Con l’album postumo Streetcore inciderà poi insieme a Johnny Cash una nuova versione di Redemption song di Bob Marley.
Joe e Johnny accomunati dalla lotta a favore degli oppressi, dalla spiritualità (Joe era interessato agli indiani d’America, agli Inca, ai messicani), dalla rinascita artistica, e da quella difficoltà a rigare dritto fino in fondo, decisero così di lasciare con quel brano il loro ultimo contributo al mondo, lanciando un messaggio che sembra essere un vero e proprio testamento.
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