Dentro i sogni, insieme a Matteo Nasini. L’arte delle connessioni armoniche
Sarà a Milano da domani a novembre, nella galleria Clima, con il viaggio sonoro, onirico e spirituale di “Welcome Wanderer”. A tu per tu con l’artista romano, creatore di un linguaggio inclassificabile ma allo stesso tempo comprensibile da tutti
La ceramica, il legno, la lana, materiali semplici e caldi. E software, algoritmi, neuroscienze, galassie. Il lavoro di Matteo Nasini è così. Guardi un vaso bianco dentellato e scopri che è la stampa 3D dell’elettroencefalogramma di un sogno da uno degli acclamati “sleeping concert” di Sparkling Matter, performance per un dormiente e spettatori (dalle 23 alle 8 del mattino seguente) che ascoltano il suono delle sue onde cerebrali catturate durante il sonno e i sogni e poi cristallizzate in una forma, oscillazioni rarefatte e ipnotiche, ninna nanna psichedelica che reinterpreta il rito d’incubazione di tutte le culture per indagare sul mistero della coscienza, del sonno e dei suoi confini.
Ascolta lo sleeping concert “Sparkling matter”
Nel suo garage-studio a due passi dall’ospedale Gemelli di Roma, osservi l’arazzo di tre metri per quattro rigorosamente ricamato a mano e ti dice che è un’immagine del nuovo lavoro, “Welcome Wanderer”, un viaggio sonoro al confine della nostra galassia, «una coesistenza di differenti presenti» che neanche Interstellar. Sarà questo il progetto ospitato dal 14 settembre presso la galleria Clima di Milano, dove rimarrà fino a novembre, prima di prendere la via di Delos (isola natale di Artemide, gemella di Apollo e futura protagonista delle missioni spaziali sulla Luna annunciate per il 2030) e della Francigena, sentiero degli erranti per definizione.
«Errare è una dimensione interessante. Se vaghi senza meta, lasciando indietro la sicurezza della casa, ti puoi aprire al sincretismo delle correnti di pensiero, alla commistione tra le arti, alla ricerca di quello che ci rende unici e allo stesso tempo uguali» dice.
Romano, classe 1976, un diploma di conservatorio in contrabbasso, vincitore del Talent Prize e del concorso “L’Arte che accadrà” dedicata ai talenti italiani più interessanti nel campo delle arti visive, Matteo è un sofisticato ricercatore artigiano che parte da ispirazioni musicali per mettere insieme la terra e il cielo, l’arte con la scienza, la linearità del tempo con la sua dimensione ciclica e rituale, la scultura con il suono, ovvero l’atto generativo di ogni creazione.
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«Non saprei etichettare il mio lavoro, d’altronde, a leggere i giornali, oggi sembrano esserci solo o i grandi classici o gli street artist, che ripropongono un linguaggio interessante nato però almeno cinquant’anni fa, nel Bronx… E comunque, nelle milioni di pratiche differenti e spesso contraddittorie che chiamiamo “arte” come si fa a capire chi sta facendo un lavoro significativo per la nostra epoca? Chi lo stabilisce, i follower, il mercato, i like?». Dal canto suo, crea performance – ospitate al Maxxi e al Macro a Roma, a Palazzo Fortuny a Venezia e a Londra, New York, Narbonne – che traducono in forma fruibile anche al grande pubblico progetti pensati, complessi e colti, qualità sempre più rare in un mondo che ama la polarità come approccio di semplificazione al mondo.
Guarda la performance “Splendore Neolitico” realizzata a Narbonne (Francia) nel 2019
Anche “Welcome Wanderer” parte da un impulso sonoro e ci porta incontro temi classici come la musica delle sfere descritta da Pitagora e Platone, filtrate da strumenti ipertecnologici.
L’elemento acustico è sempre il generatore dei miei progetti, una ricerca sul suono che per potersi compiere incontra la materia. Qui abbiamo un software estremamente complesso, frutto di oltre un anno di ricerca con un fisico e un programmatore, connesso con il database delle mappe stellari dell’Esa e in grado di calcolare e simulare il tragitto della retta che da qui si estende fino alla fine della Via Lattea, qualcosa come 58mila anni luce. Durante il suo tragitto incontra e tocca milioni di stelle. Io ho elaborato un sistema armonico che genera suoni in rapporto alla loro distanza, grandezza e calore di questi corpi, suoni che sentiremo attraverso voci campionate o strumenti automatizzati di legno, ferro e altri materiali.
Viaggiando sulla retta nel cosmo per milioni di chilometri, incontriamo in 24 ore qualcosa come dodici milioni di stelle e le loro “voci”. Qual è per te il senso di questo lavoro?
Gli antichi davano nomi alle stelle, che è un modo di appropriarsi di qualcosa. Oggi che ne conosciamo quattro miliardi, le definiamo con stringhe alfanumeriche completamente deumanizzate. Questo viaggio, questo incontro con l’infinito e la sua musica sicuramente ci fa sentire piccoli di fronte ad una tale immensità, ma forse anche connessi e uniti. Su questo nostro pianeta che vortica, siamo tutti insieme, condividiamo un unico destino, potremmo accogliere l’idea di proteggerlo, di sostenerci. Di unire le forze per proteggerla, questa Terra che certo non è il centro dell’universo, ma di sicuro è la nostra casa.
Mentre qui siamo ai confini dello spazio, nel tuo progetto precedente, “Splendore neolitico” ci hai portati al confine del tempo, al tentativo di trovare l’origine della musica…
Sono partito dal desiderio di ascoltare i suoni di quando l’uomo ha inventato la musica. Batteva sassi e legni e soffiava dentro ossa e corna di animali che oggi sono fossili, impensabile cantarci dentro. Però con un polimero molto simile al calcio, la materia di cui siamo fatti noi e la terra sostanzialmente, ho riprodotto con la stampa 3D alcuni fossili del museo di Verona e abbiamo provato a suonarli. Chiaro che per rievocare quel passato ancestrale così lontano non ci sono istruzioni.
Come ci si può collegare con quello che erano i musicisti di 70mila anni fa? Come è possibile suonare allo stesso modo?
È impossibile infatti, ma la ricerca è stata molto interessante. Da un lato l’immersione negli studi di etnomusicologia e i libri di Marius Schneider sulla musica primitiva, dall’altro è stato naturale guardare al nucleo, all’essenza di ciò che siamo, oggi come nella notte dei tempi. Suonando, sia noi che gli antichi di migliaia di anni fa, credo abbiamo sperimentato le stesse emozioni.
È qui che siamo umani, esseri fatti di materia ma soprattutto di sentimenti, di esperienze intime, di spirito.
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Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
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