Déplacé∙e∙s, l’arte di JR che dà nome e volto a migranti e rifugiati

JR durante la performance in Piazza San Carlo a Torino, lo scorso febbraio (Foto:Andrea Guermani)

Déplacé∙e∙s, l’arte di JR che dà nome e volto a migranti e rifugiati

Fino al 16 luglio a Torino, al museo delle Gallerie d’Italia, la prima mostra personale dell’artista francese nato in una banlieu parigina che restituisce identità e dignità a chi fugge da guerre, stravolgimenti climatici e miseria. Un approccio sociale all’arte, particolarmente importante in questo momento storico

Sono state oltre 1200 le persone che a Torino, il 7 febbraio scorso, hanno risposto all’invito dell’artista francese JR, il quale, cappello nero, occhiali da sole e un’empatia travolgente, favorita anche dal fatto che parla italiano, le ha coinvolte nella grande performance collettiva pensata per far convergere in piazza San Carlo, dalle vie vicine, cinque teli con le immagini dei bimbi che ha incontrato durante le sue visite nei campi profughi in mezzo mondo. Le riprese fatte dai droni hanno mostrato l’incontro delle figure dei bambini dando vita ad uno spettacolo inedito, emozionante anteprima della mostra Déplacé∙e∙s,, inaugurata il 9 febbraio e che resterà visibile fino al 16 luglio alle Gallerie d’Italia, il museo torinese di Intesa Sanpaolo.  JR è famoso in tutto il mondo per i suoi progetti che uniscono fotografia, arte pubblica e impegno sociale e questa mostra, che combina diversi linguaggi espressivi ed intorno alla quale è stato costruito un fitto programma di attività collaterali, è la sua prima personale italiana.

 

L’artista parigino JR. Quella di Torino è la sua prima personale in Italia (Foto: Wikipedia)

Dalle banlieu al mondo

Dalla banlieu parigina JR ha portato la sua arte in tutto il mondo, con monumentali interventi di arte pubblica in grado di interagire con grandi numeri di persone e attivare intere comunità. I problemi dei migranti e dei rifugiati, sempre più di scottante attualità, fanno da molto tempo parte della sua indagine. Già quindici anni fa nel 2007 realizza Face2Face, un intervento clandestino in otto città palestinesi e israeliane, dove mostra da entrambi i lati della barriera di sicurezza ritratti di israeliani e palestinesi metaforicamente gli uni di fronte agli altri. Nel 2014 la sua arte sbarca ad Ellis Island, l’antico punto di ingresso degli immigrati negli Stati Uniti. Nel 2015 incolla sull’asfalto di Flatiron Plaza, a New York, la monumentale sagoma di Elmar, un giovane appena arrivato dall’Azerbaigian. Nel 2017 installa Kikito, una gigantografia di un bambino, sopra il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti.

 

Guarda il video del progetto Inside Out

Un racconto in video

JR racconta alcune di queste esperienze nei video presenti in Déplacé∙e∙s, progetto cominciato nel 2022 che riunisce per la prima volta alcune immagini scattate in zone di crisi, dall’Ucraina sconvolta dalla guerra – dove approda nel marzo 2022 chiedendosi se l’arte può cambiare il mondo – fino agli sterminati campi profughi di Mugombwa, in Rwanda, e di Mbera, in Mauritania, Cùcuta in Colombia e a Lesbo, in Grecia, con l’obiettivo di fare riflettere sulle difficili condizioni in cui oggi versano migliaia di persone a causa di conflitti, guerre, carestie, cambiamenti climatici e di coinvolgere pubblici esclusi dal circuito artistico e culturale all’insegna di valori come libertà, immaginazione, creatività e partecipazione.

Migranti con nomi e volti

Impossibile restare indifferenti: sia per chi ha avuto un ruolo attivo nella performance del 7 febbraio in piazza San Carlo, sia per chi addentrandosi nella mostra, fin dal coinvolgente ingresso del museo, entra in un universo artistico fortemente immersivo che svela tutta la caducità e debolezza della condizione umana, con video, foto, sculture e i grandi teloni che hanno viaggiato con JR. Realizzata in collaborazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo e curata da Arturo Galansino, Déplacé∙e∙s racconta la realtà e stimola riflessioni sulle fragilità sociali. «Valeriia, Thierry, Andiara, Angel, Jamal, Ajara, Moise, Mozhda sono i nomi e i volti dei bambini che incarnano queste migrazioni forzate. Ingrandendo il loro ritratto su teloni monumentali, JR restituisce un’identità a chi ne è privato. La loro effige – descrive il curatore – si dispiega in modo effimero e spontaneo nei cortei e nei picnic organizzati nel cuore del loro ambiente transitorio: sulla Piazza dell’Opera a Lviv (Ucraina), nei campi di Mugombwa (Ruanda), Mbera (Mauritania) e Lesbo (Grecia), nella comunità di accoglienza di Cúcuta (Colombia)… Vengono dall’Ucraina, dal Congo, dal Venezuela, dal Mali, dall’Afghanistan, ma sono accomunati dallo stesso spirito. Il corpo proiettato in avanti in una corsa di conquista, il sorriso ribelle e l’aura della gioventù: la loro forza vitale sfida i peggiori tormenti dell’esilio.

 

 Guarda il video di Omelia contadina 

 

 

Alla logica della disumanizzazione, JR oppone un’esperienza a misura di un bambino. Lontana dagli stereotipi mediatici, la condizione umana si rivela pienamente attraverso la speranza personificata dall’infanzia. Questi bambini ci guardano instaurando un rapporto di reciprocità tra loro, noi e il futuro. I campi non sono solo luoghi di vita quotidiana per milioni di persone, sono diventati una delle maggiori componenti della globalizzazione, una delle forme di organizzazione del mondo: un modo di gestire l’indesiderato, ciò che non vogliamo guardare negli occhi. Al servizio di qualcosa di più grande di lui, JR mette in tensione il visibile e l’invisibile, con la sua arte, per resistere alla banalizzazione degli sguardi. Già dieci anni fa l’antropologo Michel Agier deplorava quella mancanza di “notorietà” dei rifugiati e degli sfollati che suggella per sempre la loro esclusione dalla società:

«Hannah Arendt definiva questa emarginazione dei rifugiati come “morte sociale”. Penso che vi sia l’urgenza di rendere noti i campi, tutti i tipi di campi”. Ecco l’ambizione di questa mostra».

 

Arte e comunità

La particolarità dell’approccio di JR sta nel fatto che non agisce mai da solo: le persone e le comunità che onora partecipano attivamente al processo artistico. Un esempio è Inside Out, progetto che l’artista ha lanciato dopo aver vinto il Ted Prize, nel 2011. Usando la sua pratica artistica come ispirazione, questa piattaforma partecipativa aiuta gli individui e le comunità a fare una dichiarazione, sostenere una causa o un’idea, mostrando ritratti in bianco e nero su larga scala negli spazi pubblici. Azioni che hanno ruotato attorno a una serie di argomenti – tra i quali diversità, comunità, femminismo, razzismo, cambiamento climatico, istruzione, diritti dei bambini e arte – ed a cui finora hanno partecipato più di mezzo milione di persone in oltre 140 Paesi. In Italia, JR ha invece lavorato per restituire identità ai contadini dell’altopiano dell’Alfina: con Alice Rohrwacher ha infatti diretto il corto Omelia contadina. La produzione di JR, così sfaccettata e multiforme, è stata racchiusa in un volume fresco di stampa e dal titolo ironico, Artist until I find a real job.

Saperenetwork è...

Marina Maffei
Marina Maffei
Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.

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