Guido Harari, quando la fotografia è luce e rock
David Bowie, Kate Bush, Peter Gabriel, BB King, Bob Dylan, ma anche Monicelli, Battiato, Wertmüller. E l’immagine iconica di Lou Reed e Laurie Anderson. Il fotografo delle rock star nella mostra (e nel libro) Remain in Light ad Ancona fino al 6 novembre
Un abbraccio in bianco e nero, due volti appagati, occhi chiusi e sorriso accennato sulle labbra, calma gioiosa, tutte le rughe al posto giusto. Lou Reed e Laurie Anderson emergono luminosi da un’oscurità di velluto.
Guido Harari è nato al Cairo ma cresce a Milano e nei primi anni ’60 è un bambino… semplicemente folgorato dai Beatles.
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Inizia tutto lì, al Vigorelli, prima tappa del primo tour italiano dei Fabulous Four, quando Guido a 12 anni si fa accompagnare al concerto dalla mamma. Il giorno dopo aspetterà la band «per ore davanti al loro hotel per vederli da vicino» come ricorda lui stesso. Una genesi evocata nella prima sala della mostra “Guido Harari Remain in light” visibile fino al 6 novembre nella Sala Vanvitelliana di Ancona, con un caleidoscopio di 300 scatti, manifesti, copertine di dischi, personaggi iconici dei sixties. Una sorta di ricostruzione della cameretta di un quasi adolescente, dove il suo mangiadischi non taceva mai e dove crescevano le pile di riviste italiane e straniere, che a Milano già si trovavano in alcune librerie del centro e nelle edicole di Piazza Duomo.
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A 15 anni durante una vacanza a Jesolo, corre in bicicletta dove alloggiavano i Rokes, gruppo inglese che ha fatto successo in Italia, e riesce a fare la prima intervista della sua vita a Shel Shapiro. E non si aspettava certo il consenso del musicista, che già allora era un mostro sacro del beat italiano.
Da dire che a quell’epoca il rock era giovane, e per qualche anno ancora sarebbe stato «(…) piuttosto facile avvicinare i musicisti. Anche nei palasport mentre c’erano le prove – racconta il fotografo – i cancelli erano aperti e nessuno pensava a fermare un ragazzino che scattava fotografie».
Dopo un po’ le foto dei backstage, dei concerti, le interviste con i musicisti iniziano a uscire sulle riviste che tutti i giovanissimi appassionati di rock leggevano in quegli anni. Da Ciao 2001, il più popolare e seguito, con carta e stampe di non eccelsa qualità, a Gong e Rockstar, più costosi e curati. Dai primi anni 70 il giovane Guido segue i tour costantemente e in questa fase primaria del suo fiorire di ritrattista s’ispira ad Annie Leiboviz:
«Portavo un set in tournée per realizzare ritratti – racconta Harari – Mi affascinava la dimensione del viaggio, del backstage e delle prove estenuanti quando il personaggio è ancora persona, con la guardia abbassata».
Fa la prima mostra, Rockshots nel 1983, produrrà nel corso del tempo copertine per gli album di Kate Bush, David Crosby, Peter Gabriel, Dire Straits, Duran Duran, Bob Dylan, B.B. King, Ute Lemper, Little Steven, Paul McCartney, Pat Metheny, Michael Nyman, Lou Reed, Santana, Simple Minds, Frank Zappa, fra molti altri. Artisti assai diversi fra loro, ai quali si affiancano le personalità italiane, cui nella mostra è dedicata una grande sala.
Ed ecco Dario Fo, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, traboccanti d’irridente intelligenza, che sembrano saltar fuori dalla stampa grande come una parete che li ritrae insieme; il maestro Franco Battiato, in camicia e gilet che, sorridendo, saluta nobilmente dal suo palmeto catanese; Fabrizio De André, con il quale l’amicizia e il rapporto professionale dureranno quanto la vita del musicista, e Milva, splendida nel suo periodo brechtiano con Strehler, per citarne solo alcuni. Dopo anni da freelance, nei ’90 Harari inizia a lavorare per l’agenzia Contrasto:
«Una buona occasione per togliermi l’etichetta di “fotografo rock”, che mi stava ormai stretta».
Alle porte dei Duemila non abbandona i grandi musicisti rock (la definizione è senz’altro inadeguata per molti di questi talenti), ma espande la sua ricerca in ogni area della cultura. I suoi ritratti da tempo già celebri nel mondo, si arricchiscono dei volti e degli sguardi di scrittori come Saramago, di registi come Monicelli, Ferreri, Bertolucci, di una Wertmüller molto divertita nella sua vasca da bagno con zampe di leone.
Ma anche della Olivetti rimasta orfana di Pier Paolo Pasolini, dei numeri di telefono scritti con il rossetto sullo specchio da Alda Merini, anche lei grande e poeta, che vi appare riflessa. Harari palesa in uno scatto l’autoironia di Umberto Eco, immortalandolo nella sua evidente voluminosità, ventre a ventre con il sottilissimo Roberto Benigni, fa brillare la giocosità stellare di Margherita Hack, che mentre innaffia le sue rose triestine si gira e guarda in alto, come per non dimenticare le stelle e affianca in un trittico tre grandi pasionarie di ieri e di oggi: Maria Teresa di Calcutta, Pina Bausch, Greta Thunberg e nella galleria dei colleghi illustri, fra Gianni Berengo Gardin e Sebastiao Salgado, piena di tenerezza nell’abbraccio con la nipote sorride per sempre Letizia Battaglia, una donna d’acciaio con il cuore di bimba. Guido Harari, da tempo cura libri e mostre e si dedica al restauro e al rilancio di archivi dimenticati, come quelli di Art Kane e Joe Alper.
Nel 2011 ha fondato ad Alba con Cristina Pallissero, Wall of sound Gallery che rappresenta un numero crescente di fotografi internazionali e italiani legati alla musica fra i migliori del genere. Oggi la galleria è un punto di riferimento per i collezionisti del genere, cura mostre per altre realtà museali e pubblica splendidi volumi in edizione limitata. E Harari resta, nelle sue molteplici attività, il grande fotografo degli artisti che hanno fatto la storia della musica e di personalità che avremmo voluto avere il tempo e il modo di guardare negli occhi con la sua stessa capacità di lettura. In mostra ci sono anche David Bowie, Bob Dylan, George Harrison, Luciano Pavarotti, Tom Waits, ma anche Giorgio Armani, e la regale Rita Levi Montalcini, Patti Smith, Ennio Morricone (o meglio i suoi occhiali), Ezio Bosso, Renzo Piano, Bob Marley, Paolo Conte… e ancora, altri nomi, altre vite intense e generose.
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«Sono sempre felice quando Guido mi fotografa perché so che sarà una foto musicale e avrà poesia e sentimento. Le cose che cattura con i suoi ritratti sono generalmente ignorate dai grandi fotografi. E poi un certo genere d’immagini è possibile solo con una persona amica, non con un estraneo». La voce di Lou Reed svela il quid delle foto di Harari da uno dei video in mostra: saper creare sempre una relazione di empatia con il soggetto, farlo sentire a proprio agio fino all’ emersione di un aspetto inedito e segreto che possa rimanere, per sempre, nella luce.
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Saperenetwork è...
- Giornalista freelance, dagli anni '90 si occupa di lifestyle, architettura e design. Curiosa di molte cose, ama tutto ciò che è visivo; il cinema, la fotografia, l’arte. Ama la natura e crede che un mondo migliore sia possibile. Ama le storie raccontate dagli altri nei libri e nei film. Ha sempre avuto una predilezione per le parole che fanno riflettere, che emozionano, divertono, o magari disturbano. Così nel suo lavoro – da Elle Decor a Io Donna, da At Casa a La Nuova Ecologia a Leiweb - ha mescolato il più possibile le proprie passioni, cercando di unire ambiente e cultura, immagini e testo, fotografia e parole.
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