Arte e rinascita dei luoghi. Le Cave di Rubbio
Un museo a cielo aperto in un’area estrattiva lasciata al degrado per molto tempo. Dalle opere d’arte stesse, un monito a ripensare l’equilibrio uomo-ambiente
Sull’Altipiano di Asiago c’è un luogo dimenticato che, grazie alla creatività e sensibilità dell’artista bassanese Tony Zarpellon, ha avuto una nuova vita: si tratta delle cave abbandonate di Rubbio, una vera e propria galleria d’arte all’aperto situata a quota 1000 metri. Rubbio è un piccolo paese posto sull’estremità sud-est dell’Altipiano, che si aggetta vertiginosamente sulla sottostante città di Bassano del Grappa: da qui lo sguardo spazia libero sulla Pianura Padana e nelle giornate limpide si può vedere la laguna di Venezia e il mare Adriatico. Per la posizione strategica queste montagne sono state teatro di cruente battaglie durante la Prima Guerra mondiale. Lungo la strada, oltre l’area in cui svettano numerosi ripetitori, c’è una cava di pietra calcarea che, dopo un periodo di sfruttamento negli anni Sessanta, è caduta in stato di abbandono.
Nuova identità per un luogo “usato” e dimenticato
Dal 1989, per alcuni anni, l’area degradata è rinata grazie alla creatività di Tony Zarpellon, artista di fama internazionale della corrente dell’Avanguardia. Allievo della Scuola d’Arte di Nove e dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Zarpellon da sempre affianca alla pittura lavori plastici e scultorei, realizzati con i più svariati materiali.
Nella cava di Rubbio, in un periodo di personale inquietudine, Zarpellon ha trovato l’ambiente per dare spazio alla creatività e allo stesso tempo ha realizzato un’opera artistica di valore didattico-educativo che celebra la rinascita di luoghi sfruttati e dimenticati.
In questo contesto, il visitatore è spinto a porsi domande riguardo al rapporto dell’essere umano moderno con la natura.
L’idea di attuare l’opera di recupero delle cave abbandonate si è concretizzata dopo la mostra personale che l’artista fece nel 1988 a Rubbio. L’area, dopo l’intensa rielaborazione artistica durata alcuni anni, è stata nuovamente dimenticata. Oggi, nonostante versi in stato di abbandono, le opere mantengono un fascino immutato. I sentieri che scendono ripidi lungo le pendici della montagna, per accedere a questo museo all’aperto, sono stati risistemati e i turisti sono ritornati ad ammirare le opere dell’artista.
Le maschere tenebrose di Cava abitata
La cava che si scorge scendendo dal monte è chiamata “Cava abitata”: è stata realizzata nel 1990 e il visitatore la vede con uno sguardo dall’alto, in quanto l’accesso è posto molto più in basso, dopo la Cava dipinta. L’attività di estrazione della pietra ha formato un grande anfiteatro roccioso che è diventato una coinvolgente scenografia per maschere e volti.
L’artista ha realizzato circa 150 opere scultoree, utilizzando materiale da recupero, in particolare rifiuti ferrosi.
Taniche arrugginite, bidoni metallici, serbatoi e marmitte d’auto, tubi rielaborati con sapienti tagli e buchi e assemblati fra loro, sono stati trasformati alcuni in animali fantastici, altri in volti dalle sembianze umane, oppure in macabri teschi. Rifiuti rinati a nuova vita, come tenebrose opere d’arte. All’ingresso della cava un masso di pietra riporta, come fosse una pagina di un diario, un monito: “liberazione dai miti e dagli incubi della civiltà industriale e dei consumi”. Ed è l’inquietudine, la sensazione che proviamo davanti alla parete di pietra calcarea: le sculture ricordano la morte e suggeriscono riflessioni sul futuro cui andiamo incontro se non cambiamo il modo di rapportarci con il pianeta e non adottiamo uno stile di vita nuovo, improntato sulla sostenibilità.
Le figure fantastiche di Cava dipinta
Il sentiero risale nella fitta boscaglia di alberi a fusto medio fino ad affacciarsi alla “Cava Dipinta”, l’area che a un primo impatto risulta essere la più affascinante di tutto il complesso. Qui l’anfiteatro di roccia, formatosi a seguito dell’attività di estrazione e i grandi massi di pietra rotolati e lasciati nell’area in modo disordinato, sono stati dipinti con estrema creatività e lasciati nel loro luogo originale. Il sentiero si snoda fra le opere, ed è affascinante passeggiare fra un tripudio di figure dai colori sgargianti che si possono osservare da vicino e toccare con mano. L’artista è riuscito a trasformare le pietre e i grandi massi squadrati in personaggi meravigliosi. Ecco apparire fra la vegetazione fantastici volti umani che ci guardano con grandi occhi. Non mancano gli animali, coloratissimi: pesci che sembrano usciti da un mare tropicale, variopinti uccelli, serpenti dai colori irreali, ma anche strani soggetti fantastici. Figure di un teatro muto e fantastico, che osservano il visitatore e lo invitano ancora una volta a meditare. «E’ spettacolare quello che l’artista è riuscito a creare», dice un escursionista. «Già negli anni Ottanta e Novanta sentiva il bisogno di farci riflettere sui temi del consumismo, della distruzione della natura, dell’erosione del suolo. Problemi che poi si sono successivamente manifestati in modo dirompente, con il rischio del non ritorno».
Anche in questa cava un masso riporta, in caratteri maiuscoli, frasi sul nostro rapporto con il pianeta e la natura, e sulla società moderna dove tutto è improntato sull’usa e getta. Il concetto usa e getta è la storia stessa di queste cave, usate e poi lasciate al degrado, storia che si è conclusa in modo felice e originale grazie al finale scritto da Zarpellon.
La natura si mescola all’arte
C’è chi, come due turiste, è ritornato dopo 30 anni a rivedere la Cava Dipinta. «E’ una galleria d’arte all’aperto, ma ciò che affascina maggiormente è il significato dell’opera: la rinascita di un luogo abbandonato. Noi l’abbiamo visitata quando l’artista l’aveva appena realizzata, non c’era tutta questa vegetazione, ma sono contenta di vedere questa esuberanza della natura che rinasce e si riprende gli spazi che le erano stati rubati». Il sentiero scende più in basso, nascosto dalla vegetazione che negli anni è diventata così rigogliosa, tanto da quasi sommergere la Cava Laboratorio e la Cava Teatro. La Cava Laboratorio è stata realizzata dall’artista nel 2009, come area dove i visitatori potevano sperimentare e creare anche loro opere artistiche, mentre la Cava Teatro era un luogo adibito alle attività da proporre ai bambini in visita al museo all’aperto. L’esuberante artista, ora ottantenne, ha realizzato un’opera d’arte di grande impatto visivo ed emotivo. Nelle Cave di Rubbio scopriamo la nostra identità, il nostro essere una piccolissima particella dell’Universo capace di distruggere equilibri, ma talvolta anche di riparare agli errori commessi, grazie all’arte e alla creatività. Ma occorre pensare al futuro, prevenire situazioni di sfruttamento, abbandono e degrado. Perché storie come questa delle Cave di Rubbio, non sempre hanno la possibilità di avere un lieto fine.
Saperenetwork è...
- Stefania Bernardotto vive a Vicenza, insegnante, si è laureata in Archeologia all’Università degli Studi di Padova, è appassionata di storia e di arte. Ama scrivere poesie e alcune sono state pubblicate. Pratica Mindfulness di cui ha titolo di facilitatore. Le sue passioni sono la pittura e la fotografia. Ama gli animali, le piante e i fiori. Il giardino e l’orto biologico sono i suoi hobby insieme al nordic walking che preferisce praticare immersa nella natura, nel silenzio delle montagne o ammirando il tramonto sul mare, momenti che ispirano i suoi versi.
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