L’elefante rosso, la colomba azzurra e quel volto di Vladimir Ilich
In questi giorni di strette e prolungate convivenze in molti stiamo sperimentando l’importanza del rispetto degli spazi dell’altro. La casa studio di Diego Rivera e Frida Kahlo progettata dall’architetto Juan O’Gorman facilitava materialmente il rispetto della distanza. Con un ponte che era innanzitutto un simbolo: un invito a frenarci prima di invadere l’altro
Dopo giorni e giorni di convivenza chiusi in appartamenti non sempre spaziosi, in molti non sanno più dove infilarsi o meglio ancora dove scappare! Tra figli che seguono lezioni a distanza, partner presi da corsi di yoga e pilates, aperitivi con amici in videocall e compleanni in streaming, a volte diventa difficile trovare un angolo di casa dove fermarsi un attimo, leggere un libro o semplicemente ascoltare il silenzio.
Camminando su un filo sempre più fragile cerchiamo di ritagliarci spazi fisici e mentali dove recuperare un briciolo di ciò che forse eravamo.
Così mentre chi sta in completa solitudine ormai da un mese, non vede l’ora di trovarsi a tu per tu con un volto che non sia il proprio riflesso nello specchio, chi vive in piccoli appartamenti con tutta la famiglia intorno vorrebbe tanto trovare un angoletto nello specchio in cui scorgere solo il proprio riflesso. E mentre gli hashtag continuano a proporci il #distantimavicini, in tanti questa distanza non sanno proprio dove trovarla.
Beh, diciamolo, chi non passerebbe volentieri la quarantena in una casa come la casa-studio di Diego Rivera e Frida Kahlo nel quartiere Sant Angel di Città del Messico?
Guarda il video sulla casa di Diego Rivera e Frida Kahlo
La forma della narrazione
Aveva solo 26 anni l’architetto Juan O’Gorman quando Diego Rivera gli commissionò la realizzazione della casa studio che avrebbe dovuto accogliere le vite dei due artisti più famosi del Messico.
Legato all’architettura funzionalista e allo stile di Le Corbusier il giovane Jan non si fece intimorire da un incarico così importante e mise subito su carta il risultato dei suoi studi e delle sue convinzioni: «Form follows function». La forma segue la funzione. Non sapeva che quell’opera si sarebbe spinta ben oltre i concetti dell’architettura funzionalista per diventare narrazione, espletazione materica della potenza delle vite da cui sarebbe stata abitata, immagine esemplificativa del rapporto più romanzato della storia dell’arte messicana.
L’Elefante e la Colomba, come furono spesso definiti i due artisti messicani, si stabilirono nella casa-studio disegnata da O’Gorman nel 1934 al ritorno dall’esperienza statunitense.
L’edificio era diviso in due ali: una dipinta in rosso per l’elefante Diego e l’altra di azzurro per la colomba Frida. Tra le due ali correva un ponte alla quota del solaio che collegava le aree dei due artisti.
Sopra il ponte
Per accedere al ponte bisogna salire attraverso delle scale esterne poste sui due lati degli edifici e raggiungere la terrazza. Insomma il percorso non era immediato come aprire la porta di una stanza. Prima di decidere di lasciare il proprio mondo per raggiungere quello del partner entrambi dovevano chiedersi se davvero volevano farlo, se ne valeva la pena, e poi simbolicamente mettersi in viaggio: lasciare la zona della propria libera espressione, passare dall’interno all’esterno, salire e discendere scale e poi infilarsi come ospiti nella zona dell’altro.
La casa-studio è il simbolo della loro relazione: due artisti indipendenti, ma inevitabilmente collegati, in grado di stimolarsi, ma anche di lasciarsi il giusto spazio espressivo.
Il ponte, più di ogni altro elemento della casa-studio sa essere immagine del percorso biografico della loro relazione. Sarà proprio attraversando il ponte che Frida sorprenderà Diego mentre la tradisce con sua sorella.
Quel passaggio sopraelevato segna quindi la rottura tra i due e il loro divorzio nel 1939. Ma se il ponte è manifestazione materica di sana distanza, è anche simbolo indiscusso di legame. Così, dopo aver ratificato il distacco attraverso i documenti del divorzio, un anno dopo i due folli artisti decidono di risposarsi.
Ritrovarsi nello sguardo dell’altro
O’Gorman conosceva intimamente i due artisti e seppe disegnare per ognuno il luogo adatto. Lo studio di Rivera a doppia altezza era aperto sul lato nord con un’ampia vetrata inclinata. Lo spazio di lavoro della Kahlo era invece aperto su tre lati per permettere alla luce di entrare durante le ore del giorno seguendo inclinazioni diverse. Dalle tende alle finestre, alle scale che portavano al ponte, ai colori delle pareti, ogni dettaglio insieme a ogni forma strutturale raccontava il diverso cromatismo dei due artisti.
Lo studio di Diego solido e ampio testimoniava la crescente affermazione internazionale dell’artista che forte della stabilità economica e affettiva produceva senza sosta. In seguito al soggiorno negli Usa, dove aveva scandalizzato e affascinato da Detroit a New York a San Francisco, era tornato in Messico come l’artista che aveva tenuto testa ai Rockefeller.
La forza di Frida era principalmente interiore, espressa nella capacità di convivere con la sofferenza fisica e l’incertezza. Il suo gioioso slancio vitale era costantemente spezzato dal dolore, dai continui ricoveri e dall’impossibilità di portare a termine le tanto desiderate gravidanze.
Eppure fu proprio lei, reduce dal ricovero all’Henry Ford Hospital di Detroit, a riportare il grande Rivera alla forza dei suoi ideali: quando i Rockefeller gli chiesero di sostituire il volto di Lenin da un suo murale, con uno di un operaio anonimo, la prima a dichiararsi contraria fu proprio Frida. Il murale realizzato da Rivera all’interno di Radio City fu smantellato, ma oggi quest’opera invisibile esprime il valore immateriale della determinazione politica della coppia di artisti messicani.
Perché quando conosci l’altro e lo rispetti, quando sai guardarlo attraverso la distanza senza renderlo una tua proiezione mentale, allora hai la responsabilità di conservare la sua immagine più autentica e riportargliela quando il mondo tenta di commercializzarla.
Saperenetwork è...
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Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.
Bellissimo articolo. Complimenti