“Nessun destino è per sempre”. Nemmeno per Taranto

“Nessun destino è per sempre”. Nemmeno per Taranto

I due mari e l’Ilva, “la fabbrica della morte”. Lo spettacolo del Teatro delle Forche e della Fondazione Feltrinelli è un viaggio nella città di Taranto, tra video interviste e nuovi materiali, per parlare di lavoro e di riscatto. Perché un “altro destino” è sempre possibile

Che voglia di ritornare a teatro. E che bello averlo fatto con un progetto sincero, profondo, corale nato tra Taranto e Milano come Nessun destino è per sempre, una produzione del Teatro delle Forche di Massafra, con la doppia regia di Erika Grillo e Gianluigi Gherzi e drammaturgia di quest’ultimo, prodotta dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Taranto, insieme a Milano, Genova, Napoli fa parte dell’Atlante degli immaginari, percorso artistico nei territori, progetto di innovazione artistica sempre voluto dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

E Taranto è, vista da lontano, una perfetta città dell’immaginario. Quella del mito antico e spartano ma anche dei delfini, simbolo di tutte le leggende legate all’antica Taras e che ancora oggi nuotano nelle acque del golfo tarantino e spiccano nel gonfalone comunale.

E c’è il mito moderno del “Dio lavoro” o del “Gesù Divin Lavoratore”,  come quello raffigurato nel mosaico che si staglia nell’abside della chiesa di Tamburi, uno dei quartieri più colpiti dall’inquinamento del siderurgico, in nome di cui una società ha deciso di sacrificare sull’altare del profitto i propri figli.  

 

 

Tra lavoro e riscatto

È proprio intorno al binomio lavoro-destino che ruotano in scena le video-testimonianze dei protagonisti raccolte sul campo. Vincenzo Fornaro, Raffaele Cataldi, Ignazio De Giorgio, Vincenzo Martini, Cataldo Ranieri, Marco Tomasicchio, Cosimo Bisignano, Walter Pulpito, Carmelo Fanizza. Chi non conosce da vicino le vicende tarantine, assisterà a una fitta storia di veleni, ingiustizie, ma anche di bellezza, riscatto e futuro. Da una parte coloro che volenti o nolenti hanno dovuto fare i conti con la “fabbrica della morte”, l’ex Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, tuttora attiva. Da chi ci ha lavorato, da chi ha perso il proprio figlio che ci stava lavorando, a chi si è ammalato e ha compreso, a proprie spese, che non ci può essere lavoro senza salute, come il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, organizzatori del Primo Maggio di Taranto. Dall’altra di chi, alla grande fabbrica ha voltato le spalle, guardando invece al mare e alla potente bellezza della natura e della città antica.  AFO6 – Spazioporto, il Jonian Dolphin Conservation, la Cooperativa Mitilicoltori “Stella Maris”, la Masseria Carmine di Vincenzo Fornato e “A Casa Vostra”. Quest’ultimo, ristorante aperto da due ex operai dell’Ilva che, come dicono, hanno deciso di “riconvertirsi” e recuperare un locale storico di Taranto.

Che provocatoriamente hanno chiamato proprio con la  locuzione che tanti di coloro che hanno cominciato a mettere in dubbio il destino dell’acciaieria si sono sentiti urlare. «Se chiude la fabbrica dove veniamo a mangiare? A casa vostra?».  

 

Racconti dalla città dei due mari

Un’ipotesi neppure così assurda. Ironia del destino proprio il 25 giugno 2021, il giorno della prima nazionale a Milano, il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani ha firmato un decreto, per fermare, per la prima volta dal 2012, proprio per mancato adeguamento alle prescrizioni ambientali, la batteria numero 12 delle cokerie, una delle parti più obsolete e inquinanti di quelle che oggi sono state rinominate le “Acciaierie d’Italia”. A cosa sarebbe servito il rispetto di quelle norme che lo stesso Stato italiano ha autorizzato a violare, già dieci anni fa? Ce lo raccontano i volti, le voci degli operai, dei pescatori, dei contadini e degli allevatori tarantini che sfilano nelle video testimonianze. Come Vincenzo Fornaro, proprietario della storica masseria Carmine, inquinata dalla diossina, che anche dopo aver visto abbattuto tutto il suo bestiame, non rinuncia tutt’oggi alla lotta per un ambiente pulito e pone l’accento sul vero dramma. «Dopo aver abbattuto le pecore, che faremo con il latte alla diossina delle madri di Taranto, abbatteremo anche loro?».

Perché nell’immobilità delle istituzioni, i dati epidemiologici di oggi, quelli sui bambini di Taranto, ci svelano la tragedia, quella vera, che si è operata nell’indifferenza generale nella città pugliese e ha colpito gli innocenti.

 

Un altro destino è sempre possibile

Tutte le testimonianze sono state raccolte e registrate sul campo, proiettate in scena e intessute tra loro da un fitto lavoro di drammaturgia tra gli interrogativi e i movimenti agili dei giovani attori- autori Giorgio Consoli, Andrea Dellai, Erika Grillo, Ermelinda Nasuto, Chiara Petillo, Fabio Zullino. Un intreccio resosi possibile anche grazie all’esperienza preziosa della regia di Gianluigi Gherzi, colui che ha narrato per primo le città fragili. In un binomio perfetto con la coraggiosa compagnia dei Teatri delle Forche, guidata dalla regista e attrice anch’essa in scena, Erika Grillo.

Ecco, sono proprio loro il simbolo di quella generazione di giovani, in questo caso artisti tarantini e pugliesi (e sono tanti) che ha scelto di restare. Anche usando la propria arte, come in questa opera, per aiutare un processo di cambiamento che richiederà, in ogni caso, molto tempo. 

Certo è che ci vuole davvero forza e lucidità per raccontare, documentare, accompagnare le fragilità, le incertezze, i desideri sia di chi soffre per essersi adeguato a un destino che sembrava già scritto, sia per offrire il palcoscenico a chi sta già osando e investendo in nuovi progetti per il futuro. È questa la chiave vincente dello spettacolo e della storia, che nonostante la profonda commozione, lascia il sorriso nello spettatore. Ci può essere un altro destino per la magnifica città dei due mari e per i suoi abitanti. Davvero, ora più che mai, nessun destino è per sempre. Non perdetevelo.

 

Saperenetwork è...

Rosy Battaglia
Rosy Battaglia
Giornalista d’inchiesta e civica, pasionaria del diritto di sapere e della trasparenza. Nata come blogger e redattrice sociale, nelle mie tante vite sono stata anche una critica teatrale. Grazie a Sapereambiente tanti fili rossi si riuniscono intorno alla bellezza e al bisogno continuo di conoscenza. Di umanità che non si arrende, nella natura, nella cultura, nella musica. Alla ricerca di buone storie all’insegna della sostenibilità e di un cambiamento possibile.

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