In silenzio davanti alla finestra. Le stanze di Edward
La Camera di Vincent, che abbiamo visitato la settimana scorsa, era un rifugio squinternato dalle linee traballanti e la prospettiva poco rassicurante. Stavolta gli interni di Edward Hopper sono stabili contenitori dalle linee prospettiche ineccepibili. Dove si sgretola il sogno americano, si dissolve in una nuvola evanescente l’idea di benessere materiale
Dopo le prime settimane di quarantena possiamo dire di aver finalmente varcato la soglia della nostra casa, di essere entrati in quella home page poco frequentata che contiene la barra della nostra navigazione. Abbiamo trovato il tempo di lasciarci scivolare tra le mani libri che non ricordavamo di avere, forse abbiamo ascoltato con lo stereo un vecchio cd, magari alcuni addirittura un vinile e riattaccato quell’orecchia di poster che chiedeva da mesi una semplice puntina.
Abbiamo insomma riscoperto il nostro contenitore, quella zona fisica in grado di tenere insieme la molteplicità del nostro essere.
L’eco dei pensieri
Ora, dopo aver ripulito bagni e fornelli come mai avevamo immaginato di saper fare, ci stiamo inoltrando nel livello successivo di questa esperienza d’isolamento e la casa da semplice contenitore si sta mostrando specchio del nostro spazio mentale. In silenzio tra mura cariche di vissuti ascoltiamo l’eco dei pensieri. Un po’ come i personaggi di Edward Hopper, che in questi giorni non a caso stanno comparendo come fiori di campo a primavera tra le pagine dei social.
Hopper già sapeva.. pic.twitter.com/pkOdGjCQvq
— sabry (@ziaaby) March 25, 2020
Donne e uomini chiusi in silenzi densi di pensieri. Così ci appaiono questi personaggi dai volti imperscrutabili. Come pesci ai quali era stato promesso il mare aperto, si muovono rassegnati tra le pareti di un acquario. Ecco il risultato del sogno americano: un set cinematografico dove ognuno recita la parte che gli è stata assegnata convinto di essere il padrone del proprio libero arbitrio. Lo spazio tempo è fermo, in un presente dilatato che si ripete uguale a se stesso nel vano tentativo di essere rassicurante.
L’ordine destabilizzante
Le equilibrate geometrie e l’arredo minimal, sostenute dalle tonalità uniformi di pareti e pavimenti, dovrebbero comunicare un senso di pace e armonia, di ordine mentale e sicurezza. Proprio come sostenuto dalla nostra società dei consumi: quanto più gli aspetti materiali sono presenti e solidi, tanto più la qualità della vita ne gioverà. Sappiamo che non è così e Hopper sa raccontarcelo con silenziosa immediatezza.
A questo vuoto esistenziale fanno eco gli ambienti semivuoti dove letti, spesso troppo ordinati, raccontano il fluire di un tempo svuotato di significato e carico d’illusioni. È proprio l’ordine degli spazi a destabilizzare e svuotare di ogni senso lo scorrere delle vite che li abitano.
Nelle stanze di Jo
Ma se in molti sappiamo riconoscere senza troppe esitazioni le opere di Hopper, ben poco sappiamo sull’enigmatica Jo.
È a Josephine Verstille Nivison, moglie dell’artista e sua principale modella femminile che Edward affida il ruolo di protagonista di questa silenziosa narrazione. La troviamo spesso solitaria davanti alla finestra, lo sguardo rivolto altrove e il corpo nudo. Intima nella sua nudità ed estranea al tempo stesso nell’indifferenza del volto. Vicina ma irraggiungibile.
Un’artista anche lei, questo lo sanno in pochi, che ha sacrificato il suo talento per entrare nelle tele del marito. Da Eleven A. M. del 1926, passando per Morning in a City e per il capolavoro Morning Sun, la vediamo invecchiare fino ai settantotto anni in Woman in the Sun. Sempre lei, sempre sola davanti alla finestra come la giovane Eveline protagonista del primo racconto dei Dubliners del suo contemporaneo James Joyce.
L’incomunicabile solitudine dell’età contemporanea
Mentre Edward Hopper dipingeva a pieno ritmo le sue solitarie monadi, in Europa James Joyce era intento a riportare su carta la corrente dei pensieri inconsci dei protagonisti dei suoi romanzi. Era l’essere umano dell’Età contemporanea che si andava mostrando e definendo mentre nascondeva in un crescente benessere materiale la sua profonda e incomunicabile solitudine.
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I fiumi di pensieri raccolti su carta dallo scrittore irlandese, messi in moto da un gesto o un oggetto quotidiano, sembrano essere la trasposizione letteraria dei soliloqui dei personaggi di Hopper. Così la tazza abbandonata sul tavolino spoglio di un bar, l’asciugamano scivolato a terra o la rivista semi sgualcita diventano incipit di narrazioni mentali segrete. Sconosciute forse anche all’ignaro protagonista dell’opera, che in una corrente d’inconsapevoli allusioni si troverà arenato su lidi lontani ignaro del viaggio che lo ha condotto fin là.
Come i personaggi di Hopper e di Joyce anche noi in questi giorni ci ritroviamo risucchiati dai nostri pensieri, fermi davanti alle finestre della nostra vita, impossibilitati all’azione.
Un po’ osservatori, un po’ osservati entriamo nel quadro della nostra stanza ascoltando la pagina della narrazione personale che ne emerge.
Saperenetwork è...
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Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.