Re-creatures. Gli animali tornano al Mattatoio. E si riscattano

Re-creatures. Gli animali tornano al Mattatoio. E si riscattano

A Roma, il Mattatoio di Testaccio ospita una mostra con video, installazioni e performance che hanno per protagonisti gli animali e il nostro rapporto con loro e con la Natura, in generale. Un ritorno di creature ancestrali, che suscita emozioni forti e riflessioni necessarie

 

Dalla fine di giugno alla fine di agosto, la Pelanda e gli spazi esterni del Mattatoio a Roma accolgono le apparizioni di re–creatures una programmazione di video, installazioni e performance a cura di Ilaria Mancia. L’interno del vecchio pelatoio, uno spazio di cinquemila metri quadrati dedicato un tempo alla lavorazione di suini, è occupato da tre grandi installazioni video dove creature animali devono farci riflettere sul nostro essere umani. L’effetto straniante del progetto artistico si avverte già solo attraversando il grande cancello principale dell’ex mattatoio capitolino costruito alla fine dell’Ottocento e dismesso nel 1975 (raggiunti i tre milioni di abitanti, Roma necessitava di una nuova struttura, costruita nella zona di Tor Sapienza): sono ormai più di dieci anni che ospita mostre ed eventi artistici, eppure i ganci, le vasche, le attrezzature metalliche continuano a produrre nel visitatore più suggestionabile un sentimento di oppressione e, in fondo, di repulsione.
I luoghi della mattazione sono ora chiamati ad accogliere un ritorno degli animali «concepito come un immaginario riscatto, segnato da un’ambivalenza che combina dramma e ironia», spiega la curatrice.

 

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Oltre Ciacco e Cerbero. Nuove forme di contatto

Ecco allora che nel primo Foyer della Pelanda ci si imbatte nella rilettura che Valentina Furian ha fatto del VI Canto della prima Cantica dantesca: Ciacco, come ha intitolato il suo video di quasi sette minuti, significa porco, maiale; è il nome di uno dei golosi del III Cerchio dell’Inferno. Per contrappasso in quanto simili a bestie in vita, la loro punizione li vuole accovacciati a terra come animali, nella loro acqua sporca e flagellati dalle intemperie. Nei fotogrammi, cani che si inseguono tra le piante, inseguiti a loro volta dall’obiettivo dell’artista, in acqua, sotto la pioggia, nella notte. «Ciacco è lo sguardo attraverso cui siamo spettatori, protagonisti e cani. Gli occhi di un dannato colpito incessantemente da una tempesta ciclica di immagini, istinti, pioggia. Un dannato che giace sotto le tormente bestiali di Cerbero, cane gigantesco e spaventoso, triade ferina. Tre, il numero si ripete: trina è la belva, triplice l’ambientazione in cui naviga. Come fossimo nell’anfiteatro dell’inferno dantesco, seduti sulle ginocchia di Ciacco osserviamo lo spettacolo dal terzo ordine di gradoni. Sul palco il supplizio dei dannati rivelato dalla stessa messa in scena e dall’ambiente naturale che diviene epico. I luoghi del film diventano tappe esplorative dello spettatore, in questa “lunga notte del mondo” che stiamo vivendo»spiega Furian, da sempre interessata a esplorare “l’addomesticamento come forma di contratto dell’essere umano, sia su sé stesso che nel confronto del mondo animale”.

Connessioni visive ed emozioni

Svoltato l’angolo si raggiunge la Galleria delle Vasche: al centro un grande schermo a Led dove viene proiettato The Odds (Part I) del duo artistico di base a Londra Revital Cohen & Tuur Van Balen. Il video, sovrapposto a formazioni di luce pulsante ispirate alle tecniche di persuasione visiva di Las Vegas, mostra cavalli da corsa anestetizzati, showgirl di un casinò di Macao appartenente al più grande finanziatore della politica del mondo, una performance di Steve Ignorant, membro della band anarcopunk Crass, nella hall di un bingo, costruita come un cinema e pensata per assomigliare a una chiesa: cose non correlate tra loro ma che attraverso la loro ripetizione – e il luogo in cui vengono mostrate – tendono a produrre nello spettatore delle connessioni di significato. Gambe di cavalli, gambe di ballerine, piume di marabù e gargoyle, pulpiti e tavoli operatori si susseguono senza soluzione di continuità generando in chi guarda attesa, angoscia, ansia amplificate dalle grandi vasche di ferro che incombono con il ricordo del sangue che hanno raccolto.

Antiche creature, nuovi scambi di vita

Infine, nel Foyer 2 è la volta di Human Mask, di Pierre Huyghe, che da anni indaga alternative alla prospettiva antropocentrica. Il film del 2014 gioca col ribaltamento di quella prospettiva. Nella zona radioattiva intorno a Fukushima, una scimmia con indosso una maschera che ricorda quelle del Teatro Nō, o il volto degli androidi, si aggira all’interno di un ristorante abbandonato. Ripete senza uno scopo apparente i compiti per cui è stata addestrata, si ferma, sembra annoiarsi, appare in preda alla paura, alterna gesti istintivi a comportamenti indotti dall’addestramento. Un addestramento a cui l’altro sopravvissuto, un grasso gatto tigrato, non è stato sottoposto; resta al centro della scena, nella sua indifferenza tutta felina. A chiudere la Prima apparizione (a cui seguirà un secondo ciclo dal 20 luglio), il neon di Tim Etchells all’ingresso del Mattatoio di largo Marzi con alcune parole tratte dal Pillow Book scritto poco dopo l’anno Mille dalla scrittrice e poeta giapponese Sei Shōnagon (alle Note del guanciale si è ispirato Peter Greenaway per il suo I racconti del cuscino del 1996): «Things that make the heart beat faster»un invito a pensare a quello che suscita emozioni. Etchells si muove da anni tra text-sculpture, fotografia, neon signs e video, e ha dato vita a una serie di opere che ruotano intorno al tema del futuro e al desiderio umano di prepararsi a quello che verrà. L’animalità, dunque, è trattata in modo diverso dalle diverse opere d’arte presenti al Mattatoio: re-creatures permette, infatti, diversi livelli di lettura e di percezione. «Presenze che ci richiamano all’ambiguità del nostro rapporto con l’ambiente – spiega ancora Ilaria Mancia – fatto di meravigliosi scambi vitali quanto di devastante, irreparabile violenza». Che gli animali possano aiutarci a re-immaginare quel rapporto, in nome del migliore dei mondi possibili, è auspicio non solo della curatrice: al momento, però – inutile a dirsi – ne sembriamo ancora molto lontani.

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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