Roberto Ghezzi e l’arte di far dipingere la natura

L'artista Roberto Ghezzi in Groenlandia per il suo Greenland Project

Roberto Ghezzi e l’arte di far dipingere la natura

L’artista toscano ha creato una raffinata tecnica che si basa sull’interazione fra le tele che dipinge e gli effetti della natura. Bagnandole nelle nelle acque dei torrenti o del mare, ricoprendole di terra, appendendole agli alberi perché subiscano gli agenti atmosferici. A Roma, fino al 3 dicembre, una sua personale

Dai paesi dell’Aspromonte alla Laguna di Venezia, dal Nord della Macedonia, alla Terra del Fuoco. E poi ancora il deserto della Tunisia, il Sud Africa e uno sguardo particolare alle terre ghiacciate: dall’Islanda, all’Alaska fino al suo ultimo progetto portato avanti quest’estate in Groenlandia, l’artista toscano Roberto Ghezzi, classe 1978, ha creato negli anni una raffinata tecnica artistica alla quale ha dato il nome di Naturografia, a sottolineare come il segno grafico sulle sue tele sia solo quello lasciato effettivamente dalla natura.

Naturografie, opere a quattro mani

I suoi progetti si basano su residenze d’artista atte a permettere che la natura si racconti e per farlo Ghezzi lascia letteralmente carta bianca all’acqua, alla terra e a tutti gli agenti atmosferici di un territorio. Le sue tele vengono quindi immerse nei torrenti, o nel mare, sepolte sotto terra, appese a intelaiature tra alberi e pietre e lasciate in custodia della natura, perché lei, con i suoi tempi, componga l’opera raccontandosi. I primi esperimenti di questo tipo risalgono a circa 20 anni fa ed inizialmente erano eseguiti in maniera grezza, semplicemente lasciando tessuti di vario genere immersi in contesti naturali per un certo tempo. Oggi la tecnica si è affinata e l’artista è in grado ormai di prevedere diversi segni, per questo ama definire i suoi lavori “opere a quattro mani”.

 

Roberto Ghezzi (Foto: robertoghezzi.it)

 

L’apporto umano è principalmente tecnico e concettuale. Tecnico in quanto all’artista spetta scegliere supporti, luoghi e tempi, che possono andare dalle poche settimane, ai mesi o addirittura agli anni. Concettuale in quanto i territori scelti hanno sempre una storia da raccontare, una storia che sappia porre l’essere umano in ascolto e permettere alla natura di esprimersi attraverso i suoi processi e le sue trasformazioni più o meno legate ai comportamenti umani. Ne derivano opere processuali in quanto ogni fase dei progetti ha un suo valore artistico: le installazioni seguono uno sguardo compositivo d’insieme testimoniato da una ricca documentazione fotografica; i diari sul campo, arricchiti dalla presenza di reperti, contengono elementi pittorici, ed infine le tele e le carte affidate alla natura vengono ritagliate e incorniciate per essere esposte. 

Fra arte e scienza

«La mia formazione è artistica, le mie conoscenze chimiche, biologiche e naturalistiche sono tutte di carattere empirico», sottolinea Ghezzi che con il mondo della ricerca scientifica e naturalistica ormai ha un assiduo rapporto.

Diversi suoi progetti sono seguiti dalle Arpa o dal Cnr. A Venezia, ad esempio, è in corso un importante progetto con il Cnr Ismar sulla Laguna. Qui Ghezzi ha installato diverse tele sia in aree più naturali e meno antropomorfizzate che in zone a contatto con la vita umana, come ad esempio l’Arsenale. Il progetto andrà in mostra a dicembre al T Fondaco dei Tedeschi, ma al tempo stesso sarà utilizzato dal Cnr per rilevamenti e analisi a partire dalle Naturografie stesse. Il Cnr Iom e il Wwf Italia hanno collaborato al progetto friulano Naturografie: ăquae inaugurato a Udine nella primavera passata e incentrato sulle acque e i territori delle coste nord adriatiche tra Italia, Slovenia e Croazia. Vediamo ancora coinvolto il Cnr, con il professor Biagio di Mauro dell’Istituto di Scienze Polari, nella residenza artistica del progetto groenlandese che Ghezzi ha portato avanti quest’estate per raccogliere le testimonianze dei ghiacciai in scioglimento. Una personale dell’autore, intitolata Impermanente, è inoltre a Roma, fino al 3 dicembre, presso la Galleria d’arte Faber.

 

The Greenland Project

«Sono partito per la Groenlandia con l’idea di raccontare lo scioglimento dei ghiacciai e ho scelto di farlo utilizzando l’antica tecnica delle cianotipie». La cianotipia è una tecnica precedente alla fotografia che sfrutta la reazione del ferrocianuro e dell’ossido d’argento: cospargendo questi sali su un foglio bianco ed esponendolo poi alla luce, questo diventerà azzurro in pochi minuti. «La cianotipia può essere considerata, nella modalità in cui l’ho utilizzata in Groenlandia, una Naturografia anch’essa. Qui, a differenza della tecnica base che prevede l’asciugatura dei sali prima della loro esposizione alla luce, ho messo sotto il ghiaccio dei fogli fotosensibilizzati, ma freschi, non ancora asciutti. In questo modo il ghiaccio ha potuto lasciare le sue tracce anche durante il cambiamento di stato, passando dal solido al liquido. Trasgredendo le regole della tecnica ho potuto fissare l’immagine dello scioglimento».

Alghe sul ghiaccio

Questa ricerca è stata particolarmente interessante perché ha riguardato sia il ghiaccio bianco che il ghiaccio invaso dall’alga rossa che sta popolando buona parte della Groenlandia (e anche le nostre Alpi). Il ghiaccio invaso dall’alga rossa ha una maggiore capacità di assorbimento dei raggi solari e quindi di riscaldamento e scioglimento. Le cianotipie hanno descritto questo fenomeno in maniera molto più forte di quanto non potrebbe fare una fotografia. «La fotografia mostra una situazione in un preciso momento e poi eventualmente dal confronto di più foto si possono notare sviluppi di determinate situazioni. Invece le cianotipie poste dentro il ghiaccio sono una sorta di radiografia che racconta il ghiacciaio dall’interno. Ed è evidente come le cianotipie poste dentro i ghiacciai con presenza di alghe rosse hanno mostrato una densità minore e uno scioglimento molto più rapido». Ne conseguono due serie di cianotipie, che con le loro gocciolature più o meno dense raccontano lo scioglimento dei ghiacciai.

 

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Un anno fa su queste pagine abbiamo recensito Come pensano le foreste opera rivoluzionaria dell’antropologo canadese Eduardo Khon . Oggi, nel lavoro artistico di Ghezzi troviamo risonanza a questa consapevolezza: se l’antropos non è l’unico essere vivente del nostro Pianeta in grado di pensare, le Naturografie ci mostrano come anche le capacità artistiche non siano esclusivo appannaggio umano. A noi esseri umani spetta la responsabilità di compiere un rispettoso passo indietro, capovolgendo il nostro sguardo antropocentrico, per poter tornare ad ascoltare i pensieri delle foreste e ammirare le pennellate dei torrenti. 

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Dafne Crocella
Dafne Crocella
Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.

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