Preceduta da un gran boato, la scossa di magnitudo 4.4 è stata avvertita in tutta Napoli intorno all’1.30 dello scorso 13 marzo. In soli 20 secondi la città si è risvegliata nella paura: è stata, a quanto pare, insieme a quella dello scorso maggio 2024, la scossa più forte degli ultimi quarant’anni, seguita da uno sciame sismico con scosse che hanno raggiunto, l’altro ieri, la magnitudo 3.9. Una situazione in qualche modo annunciata, come ben sanno gli abitanti e come si legge sul sito dell’Ingv che, nella sintesi dell’ultimo bollettino del mese riporta:


«Durante il mese di febbraio 2025 nell’area dei Campi Flegrei sono stati registrati 1813 terremoti con una Magnitudo massima=3.9±0.3».
Suolo ardente
I Campi Flegrei, ossia la zona da dove è partita la scossa, sono un’area vulcanica attiva nel golfo di Pozzuoli, che comprende i comuni di Bacoli, Giugliano, Monte di Procida, Napoli, Pozzuoli e Quarto. Che si tratti di una zona caratterizzata da attività vulcanica è chiaro sin dal nome: Flegrei deriva dal greco flègo che significa “ardo”, dunque i campi ardenti sono luoghi brucianti noti sin dall’antichità.
Più pericolosi del Vesuvio secondo molti, tra cui Mario Tozzi, geologo, primo ricercatore del Cnr e noto divulgatore scientifico, che in un’intervista al Corriere della Sera durante le scosse del maggio del 2024 spiegava la pericolosità dei Campi Flegrei rispetto al Vesuvio, soffermandosi sul concetto di supervulcano e sui rischi per la popolazione: «I Campi Flegrei sono il nostro supervulcano, quello davvero pericoloso, più del Vesuvio, quello suscettibile di attività devastanti. E ci vivono 500-600 mila persone». Per supervulcano, spiega il geologo, si intende «(…) un pentolone sotterraneo pieno di magma ribollente, in grado di sprigionare eruzioni esplosive, in linea teorica devastanti. Nello scenario più catastrofico al momento non ipotizzabile, pur essendo possibile, dovremo parlare di esodo non evacuazione».


I piani di evacuazione
La pericolosità spiegata da Tozzi, deriva dal fatto che non si tratta di un vulcano come l’Etna o il Vesuvio, ma di un intero campo vulcanico, attivo da oltre 80mila anni, con numerose fumarole e acque termali, d’altronde ben note e sfruttate per le loro proprietà sin dai tempi antichi. Come sottolineato da Tozzi, nella zona dei Campi Flegrei vivono circa cinquecentomila persone: dal 2012 la “Commissione grandi rischi” ha fatto passare da verde a giallo il livello di allarme per aumento di sismi ed emissioni e sollevamento del suolo e ci sono due piani di emergenza della Protezione Civile, che prevedono, in caso di possibile eruzione l’allontanamento nel giro di 72 ore di chi vive a Pozzuoli, Bacoli e altri Comuni confinanti, oltre ai quartieri occidentali di Napoli. Per quanto riguarda il rischio sismico la zona rossa riguarda l’abitato del centro di Pozzuoli e le aree limitrofe.
Rischio strutturale
Posto che contro eruzioni esplosive come quelle possibili in zone come i Campi Flegrei l’unica cosa da fare è andarsene, i dubbi su come e quanto sia stato fatto per scongiurare o se non altro per ridurre al minimo le conseguenze catastrofiche di simili eventualità sono tanti. Per una zona storicamente e strutturalmente a rischio, colpita in modo indelebile, con tutti gli annessi e connessi del caso, dal terremoto dell’Irpinia nel 1980, le precauzioni non sono mai abbastanza. E invece, chiunque quelle zone le conosca o ci si trovi anche solo di passaggio senza i prosciutti sugli occhi sa bene o può riscontrare quanto poco sia stato fatto.


Anarchia edilizia
Costruire bene e non ovunque, con amministratori che facciano rispettare le regole, ma anche con cittadini e cittadine disposti a non perpetrare nell’atavico vizio dell’anarchia edilizia tipica del Meridione: dovrebbe essere un principio base, un’ovvietà, una cosa pleonastica, così come è ovvio che costruzioni rispettose dei criteri anti-sismici possono salvare molte vite, almeno durante i terremoti. Ad oggi (al netto dei manufatti da abbattere nell’area e ad Ischia come da protocollo d’intesa tra la Procura della Repubblica di Napoli, la Regione Campania e i sindaci dei Comuni di Bacoli, Barano d’Ischia, Forio d’Ischia, Ischia, Pozzuoli e Quarto per il “Coordinamento delle opere di demolizione dei manufatti abusivi”), circa il 20% delle abitazioni della zona rossa è abusivo: case spesso fatiscenti, vecchie, pericolose.
Emergenza abusiva
Il punto forse sta proprio nell’abuso della parola emergenza, che vive della stessa natura effimera e taroccata della parola maltempo. Per quanto vero e indiscutibile che determinati fenomeni naturali ci siano, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, e sono, nonostante i progressi delle scienze applicate e delle capacità di previsione, per loro stessa natura sostanzialmente imprevedibili, quanto di quello che facciamo, costruiamo, votiamo in quanto cittadini e cittadine può, come si diceva sopra, ovviare, ridurre l’ampiezza e le proporzioni di tali eventi?


Il segreto di Pulcinella
L’emergenza in quelle zone è concettualmente un assurdo, per il semplice motivo che emergenza a Napoli, nei Campi Flegrei (ma anche in molte altre parti del Meridione, per motivi analoghi e diversi) è normalità. Se un territorio è per sua natura conformato in un certo modo, se si sa che, da quando ne abbiamo contezza, dai tempi dei Romani o anche prima, che è soggetto a eruzioni e bradisismi, allora la parola emergenza è un segreto di Pulcinella, è, dovrebbe essere, normale amministrazione. Che però a Napoli (al Sud), vuol dire perlopiù tirare a campare, attendere la sorte convivendo con la morte, con la sua presenza aleggiante.
Il legame con la morte
Il rapporto con la morte, tra devozione post pagana, drammaticità da Magna Grecia e ironia dissacrante, è fortissimo a Napoli come forse in nessun’altra parte d’Italia, eccezion fatta per la Sicilia, con il suo culto dei morti che tornano (o meglio che mai se ne sono andati) per fare regali ai più piccoli nel giorno della loro ricorrenza.
È un legame, ironia della sorte, anche “edilizio”, fisico, nella struttura stessa della città, fatta a strati, con le catacombe, il Cimitero delle Fontanelle e il culto delle Anime Pezzentelle. Femori, tibie, teschi (le “capuzzelle“), spesso conservati in piccole teche e che hanno anche dei nomi (come la celebre Donna Concetta ‘a capa che suda).
Paura e responsabilità
D’altronde la morte e i suoi orpelli sono presenti nell’iconografia malavitosa della camorra, così come nel folklore come testimoniano leggende e miti raccolti, tra gli altri, da Matilde Serao e Benedetto Croce; si pensi a personaggi come il munaciello o la Bella ‘Mbriana, presenze spiritiche casalinghe annoverate già da Basile in epoca barocca, precursori dei “questi fantasmi” eduardiani. Un groviglio antropologico affascinante, che attutisce la paura, ma non può cancellare la realtà né la necessità di responsabilizzarsi.
Almeno non dovrebbe.

