Organized wilderness, può l’essere umano ricreare il selvaggio?

Un momento di Organized Wilderness, presentato al Festival Cinemambiente

A CinemAmbiente per la terza volta, la regista danese Phie Ambo torna quest’anno con «Organized wilderness» (2022), opera che mette al centro il rapporto tra uomo e natura in un Paese – la Danimarca – che, come premette la stessa regista a inizio film, si pensa che sia «un paese ecologico perché è così che appare. Ma sotto le cime degli alberi non c’è più molta natura selvaggia».

La Danimarca è infatti al secondo posto come paese più coltivato al mondo, subito dopo il Bangladesh. Si calcola che per questo motivo, negli ultimi venti anni, abbia perso l’80% delle specie esistenti.

Phie Ambo
La rgista danese Phie Ambo

 

Nel nord dello Jutland, ad Hammer Bakker, si decide di affrontare il problema varando un ambizioso progetto di rewilding, con l’obiettivo di ristabilire, almeno in parte, la biodiversità di un tempo. Ambo ha seguito lo sviluppo di questa impresa nell’arco di quattro anni, dalle riunioni iniziali alla realizzazione dei primi concreti cambiamenti, mostrando la confusione e le contraddizioni che emergono quando gli umani tentano di ristabilire una connessione con gli ecosistemi. Come osservatrice esterna, la regista ha raccolto le opinioni, i sentimenti e le testimonianze di persone coinvolte a vario titolo, da chi vive nell’area a chi progetta questo grande cambiamento nella natura. Si legge nella sinossi dell’opera:

«Gli esseri umani possono lavorare insieme per riportarla in vita? E in fondo, quanto selvaggia vogliono davvero che essa sia?».

La storia di un percorso partecipato

Suddiviso in quatto atti, «Organized wilderness», una produzione Hansen & Pedersen, Viola-Lucia Film, viene presentato nella sezione Panorama della rassegna e racconta questo percorso di inselvatichimento, fondato su una ossatura che consenta processi liberi e naturali. Il punto di partenza è la trasformazione delle piantagioni industriali, che connotano l’area, in foreste naturali, che siano libere di diventare boschi o brughiere e praterie. La decisione  è accolta dalla popolazione in maniera non unanime. C’è chi supporta il progetto, ma anche chi obietta, come fa una delle residenti, che un pino, seppur piantato per scopi industriali, è anch’esso natura ed è vivo. Ancora, un altro dei temi che maggiormente coinvolgerà la popolazione è la decisione di reintrodurre animali da lasciare liberi al pascolo.

 

La locandina originale del film

 

Con un uso sapiente delle musiche e una ripresa che mette a fuoco le emozioni che attraversano i protagonisti del racconto, Phie Ambo ci porta a ragionare sulla natura e sul legame che stringiamo con essa, ma anche sul senso di caducità che ci accompagna e che spesso ci spinge a voler vedere risultati in tempi brevi, perché la nostra vita non è lunga.

Ma quello che fa l’essere umano, osserva il biologo che segue il processo di inselvatichimento, va oltre la vita stessa del singolo uomo per influire sul futuro.

Un percorso che affonda anche le sue radici in ciò che Hammer Bakker è stato, ovvero un sito connotato di sacralità, dove gli antichi veneravano gli dei.

 

Un fotogramma del film “Organized wilderness”

 

Diplomata alla National Film School of Denmark, Phie Ambo ha esordito alla regia nel 2001 con «Family». La trilogia sul rapporto tra scienza ed esistenza umana, «Mechanical Love»(2007), «Free the Mind»(2012) e «Ripples at the Shore»(2014), è stata seguita da «Good Things Await»(2014), presentato alla 18° edizione del Festival CinemAmbiente. I più recenti «Rediscovery»(2019) e «70/30 » (2021), quest’ultimo in concorso al 24° CinemAmbiente, sono dedicati alle istanze delle nuove generazioni sulla sostenibilità ambientale.

 

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CinemAmbiente, in corso fino a domenica a Torino e alla sua 26 esima edizione, è la più importante manifestazione italiana dedicata ai film a tema ambientale, organizzata dal Museo Nazionale del Cinema e diretto da Gaetano Capizzi. Fino al 18 giugno, previa registrazione, «Organized wilderness» è disponibile gratuitamente in streaming attraverso la piattaforma OpenDDB e tramite il sito del Festival.

 

Saperenetwork è...

Marina Maffei
Marina Maffei
Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.

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