L’Africa che non c’è: viaggio nel continente raccontato dai media

L’Africa che non c’è: viaggio nel continente raccontato dai media

Se ne parla poco e male, prevalentemente attraverso stereotipi pietistici e folklore; l’Africa raccontata dai media occidentali rimane un continente tenuto a distanza. Per Amref, che lancia il nuovo claim anti luoghi comuni, è necessario cambiare l’approccio, per arrivare a una comunicazione più articolata

Quanta e quale Africa vediamo attraverso i media italiani? Poca, sicuramente. E quella che c’è non va quasi mai oltre gli schemi del pietismo e del folklore, delle guerre e dei diritti umani. 

I dati del rapporto L’Africa MEDIAta, presentato recentemente a Roma da Amref Health Africa-Italia, in occasione del primo World Development Information Day dell’Onu, parlano chiaro.

La ricerca, relativa a tv, stampa, social e fiction, nel primo semestre del 2019, condotta dall’Osservatorio di Pavia ha analizzato 30 episodi di serie televisive, 65 programmi di informazione di sette reti generaliste, 80.000 notizie passate sui telegiornali di nove reti generaliste, 800 notizie di prima pagina su sei quotidiani nazionali, 21.600 post su Facebook, 50.000 tweet di otto testate giornalistiche.

Nei telegiornali di prima serata, la copertura per le notizie provenienti dall’Africa è del 2,4%, a cui si aggiunge un 10% se le notizie sono sull’Africa “qui da noi”.

Sulle prime pagine dei quotidiani, l’Africa è presente con ventidue titoli al mese; più di otto articoli su dieci trattano di flussi migratori e fatti di cronaca. Tra i 2.290 riferimenti all’Africa nei programmi di informazione, il 76% è riconducibile all’Africa qui da noi, il 24% alle notizie dal continente africano. Il 44% delle 538 notizie date nei programmi di informazione e infotainment sono sulla Libia.

Fermate quel treno, c’è un nero a bordo! Era il macchinista!

Si può comprendere meglio il rapporto tra media (italiani, ma in generale occidentali) e Africa, citando il titolo di una “notizia” di Lercio, il celebre sito di satira: «Fermate il treno, c’è un nero a bordo! Era il macchinista!».

Perché esattamente come la falsa “notizia” di Lercio, gli ingredienti più usati dai generi televisivi nella narrazione dell’Africa sono l’afro pessimismo nelle rubriche informative, il folklore esotico nei documentari naturalistici, l’eurocentrismo e il distacco nei talk show. Nei programmi tv al primo posto ci sono la guerra e i conflitti con il 29%, seguono diritti umani, questioni di genere, rapimenti con il 19% e ambiente, cultura, turismo al 17%.

Non va meglio nelle fiction, dove gli africani sono di rado i protagonisti. Il livello culturale è decisamente più elevato per i personaggi occidentali che per il 26% appartengono a professioni intellettuali, per gli africani la percentuale è del 17,4%. Tra gli operai rappresentati gli occidentali sono lo 0.5%, gli africani il 5,8%. I temi trattati sono il razzismo per il 37%, i diritti umani per il 30%, le migrazioni per il  23%.

Negli account Facebook e Twitter delle principali testate giornalistiche analizzate solo nei mesi di maggio e giugno, su 21.600 post/articoli su Facebook, l’1,4% si concentra sull’Africa, il 4,1% sull’immigrazione. Su twitter le percentuali sono lo 0.9% e il 2,9% su 54.000 tweet analizzati. C’è scarso interesse sui social per l’Africa, ma tutto cambia quando l’utente percepisce “conseguenze a casa nostra”.

Cambiare l’informazione

Per Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa-Italia, è ora di cambiare direzione: «È tempo di immettere una dose di fiducia, dopo il clima di diffidenza nei confronti delle ong dovuto al trattamento mediatico del fenomeno dell’immigrazione e degli sbarchi». Micucci sottolinea l’importanza di diffondere maggiore conoscenza sulle tante opportunità che l’Africa può offrire, prendendo spunto anche dai consigli redatti nel Decalogo per un corretta informazione sull’Africa allegato al rapporto. «Esiste uno spazio – continua il direttore – per stringere un patto di lealtà con gli organi di informazione ed intrattenimento per restituire all’Africa una narrazione libera da cliché e pregiudizi». 

Africa rapporto media
Presentazione del rapporto “L’Africa MEDIAta. Come fiction, tv, stampa e social raccontano il continente in Italia” presso Binario F, Roma (23 ottobre 2019).

Un cambio di paradigma necessario nel mondo dell’informazione, come ammette Maria Cuffaro, volto noto del TG3, ideatrice e conduttrice di TG3 Mondo, ad oggi probabilmente il programma più virtuoso in termini di copertura diversificata dell’Africa con 25 paesi africani citati almeno una volta. Per Cuffaro il nuovo approccio culturale passa anche attraverso “la scelta dei collaboratori in Africa privilegiando il rapporto con le ong e i volontari”.

Non aiutateci per carità

Ancora una volta l’ironia ci viene incontro, con Giacomo Ciarrapico, autore della serie televisiva Boris, che, interpellato a proposito del rapporto, si dice pronto a voltare pagina rigettando il solito ruolo pietistico affidato agli africani nelle fiction: «Nella prossima serie – scherza l’autore – sarà presente un “nero figlio di puttana”». Un passo politicamente scorretto ma efficacemente realistico verso una maggiore paritàUna “parità” agognata da molti, nella vita del nostro Paese: Sonny Olumati, trentunenne romano attivista del Movimento italiani senza cittadinanza, figlio di migranti, ricorda come in questo paese “non esiste una legge adeguata per regolarizzare la posizione di tante persone” nella sua posizione.

Una questione, quella delle seconde generazioni e dello ius soli, che incredibilmente fa ancora paura a chi governa. Ed è anche per questo che la comunicazione va cambiata. L’esempio lo dà proprio Amref. Se infatti negli anni novanta il claim dell’associazione era il celebre e efficace “Basta poco, che ce vo'” di Giobbe Covatta, adesso è arrivato il momento di andare oltre. «Ci sono voluti sei mesi – spiega il direttore Micucci – per decidere se inserire o meno la carità nel claim, per non ricadere nello stereotipo caritatevole nel chiedere aiuti per l’Africa». Alla fine però, è arrivata l’intuizione giusta: Non aiutateci per carità.

Un gioco di parole che scavalca l’ironia e costruisce consapevolezza, oltre il moralismo convenzionale. Perché la carità è una cosa seria.

 La campagna di comunicazione sociale “Non aiutateci per carità”

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Ludovico Basili
Ludovico Basili
Attivista ambientale. Ha lottato contro la centrale nucleare di Montalto di Castro. Collaboratore, in passato, di riviste settimanale e mensili. Redattore e coordinatore editoriale per case editrici del gruppo il Saggiatore e associazioni attente ai temi ambientali e del disagio sociale, delle quali, in qualche caso è stato fondatore. Impegnato nel volontariato con una associazione che si occupa del disagio a vivere di minori.
Ha collaborato con CISP [Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli] per campagne di divulgazione della Convenzione Internazionale dei Diritti de Minori, in Etiopia e nei campi Sahrawi. Ha preso parte in progetti di divulgazione su temi ambientali nelle periferie romane. Organizzatore di festival e rassegne letterarie.

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