Bentornati a scuola, anche all’agrario Ciuffelli. Fra smart-learning e lavoro sui campi

La fattoria didattica durante la vendemmia all'Istituto agrario Ciuffelli di Todi (Pg)

Bentornati a scuola, anche all’agrario Ciuffelli. Fra smart-learning e lavoro sui campi

Un istituto d’eccellenza, nel cuore dell’Umbria, si prepara a riaprire i battenti, come le altre scuole d’Italia. L’esperienza della formazione a distanza e i processi d’innovazione verso l’agricoltura sostenibile. A colloquio con il responsabile della fattoria didattica, Gilberto Santucci

L’emergenza Coronavirus ha imposto un profondo ripensamento nel mondo della scuola che si appresta, fra molte incertezze, a riaprire i battenti con date diverse nelle varie regioni. Ad essere coinvolti sono anche gli istituti agrari, fondamentale raccordo tra formazione, ricerca e sperimentazione in agricoltura. Ma come si è declinato il cosiddetto smart-learning in questa tipologia di scuola, così legata alle pratiche colturali e a un rapporto diretto con l’ambiente? Ne abbiamo parlato con Gilberto Santucci,  responsabile della fattoria didattica dell’Istituto agrario Ciuffelli di Todi (Pg), ospitato nell’ex monastero medievale di Montecristo: la scuola di agricoltura più antica d’Italia, risalente al 1863, che comprende un’azienda di 75 ettari con cantina, caseificio, allevamenti, vigneti, oliveti, frutteti, serre, frantoio, laboratorio per il miele, una bottega e un progetto per 800 metri quadrati di nuovi laboratori territoriali per la trasformazione agroalimentare.

 

 

Professor Santucci, facciamo un passo indietro… In che modo l’istituto Ciuffelli ha garantito durante i mesi più difficili del lockdown la didattica e lo svolgimento delle numerose attività extra scolastiche?
Le attività scolastiche sono state risolte in maniera certamente efficace, come dimostrano i dati del rilevamento promosso dal nostro dirigente scolastico, Marcello Rinaldi, sull’intero polo scolastico che comprende 64 classi, 1350 studenti e circa duecento docenti:  il 98% degli allievi è stato raggiunto giornalmente, in varie forme, da diversi insegnanti. Molti studenti inoltre, insofferenti alla didattica in presenza, hanno trovato queste nuove possibilità più attraenti, come emerge nel 20% delle classi. Certo, alcune criticità si sono registrate per esempio nell’inclusione dei ragazzi disabili e con difficoltà di apprendimento.

 

L'istituto agrario Ciuffelli di Todi (Pg) visto dal drone
L’istituto agrario Ciuffelli di Todi (Pg) visto dal drone

Ma altre preoccupazioni, come quella dei necessari supporti tecnologici o della connettività, si sono rivelate meno significative di quanto si temesse: solo il 3% degli iscritti ha avuto bisogno di supporto da parte della scuola.

Situazione diversa per le attività extrascolastiche, che all’inizio sono state tutte necessariamente sospese. Ad aprile, preso atto che il lockdown si sarebbe prolungato, ne abbiamo riprese alcune attraverso una serie webinar settimanali con esperti esterni, anche al fine di restituire la dimensione comunitaria e sociale, come luogo di vita, conoscenza, appartenenza e partecipazione della nostra scuola. Le attività legate all’azienda agricola, infine, non si sono mai fermate, perché chiudere un’aula o un laboratorio dalla sera alla mattina è un conto, ben diverso è bloccare un’attività agroalimentare, a meno di costi incalcolabili. Sono proseguite tutte potature, semine, concimazioni, imbottigliamenti, produzione di formaggi, manutenzione del verde, lavori in serra, attività del punto vendita nonché progetti legati a sperimentazione e innovazione. Inoltre è stato possibile, data la gestione informatizzata dell’azienda, accedere ai singoli dati anche tramite georeferenziazione relativi allo stato delle varie colture tramite le immagini del sistema satellitare Sentinel. Possiamo certamente affermare che la continuità dell’azienda agraria dimostra quale straordinario laboratorio rappresentino le fattorie degli istituti nel contesto nazionale.

 

Guarda il video sulla storia dell’Istituto agrario Ciuffelli

 

Che cosa ha insegnato questa esperienza rispetto al ruolo che possono giocare la sfera digitale,  i social e  le nuove “agro tecnologie” nello sviluppo delle attività d’istituto?  E quanto le nuove tecnologie possono orientare l’agricoltura  verso modelli colturali legati alla sostenibilità come quelli della bioagricoltura?
Pensare all’agricoltura senza guardare alla tecnologia e al digitale non era possibile già prima dell’emergenza Covid e non lo sarà a maggior ragione in futuro. Si tratta di strumenti fondamentali per assicurare modelli di agricoltura socialmente ed economicamente sostenibili e inclusivi. La sfida, anche in questo caso, sta nello spingere verso tecnologie scalabili e alla portata di tutti.

Le applicazioni digitali possono aumentare la redditività e diminuire l’utilizzo della chimica visto che permettono di ottimizzare controlli e trattamenti rendendo meno duro e faticoso il lavoro sui campi.

Il Ciuffelli a riguardo sta costituendo un centro di ricerca in collaborazione con il Digital Transformation Institute guidato dal professor Stefano Epifani, proprio per introdurre tecnologie come la cloud e l’intelligenza artificiale in realtà imprenditoriali piccole e medie. Già adesso, secondo l’Osservatorio smart agrifood della School of Management del Politecnico di Milano, l’agricoltura è uno dei settori a più alto tasso di vitalità in termini d’innovazione, con un numero elevato di start-up. L’innovazione può supportare il settore e garantire sostenibilità ambientale, economica e sociale anche in forme di agricoltura meno intensive rendendo il biologico praticabile su più vasta scala, perché se rimane una nicchia non produrrà mai quel cambio di paradigma verso il quale l’emergenza coronavirus sta spingendo i consumatori.

 

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Le aziende agricole secondo lei hanno fatto tesoro del periodo che stiamo attraversando affidandosi  in maniera sempre maggiore a canali di vendita come la consegna a domicilio, la vendita on-line e altre forme che prevedano un minore contatto tra operatori e clientela ?
L’emergenza coronavirus ha contributo a far esplodere tutte le criticità del comparto agroalimentare. Va detto, almeno per quanto riguarda le tante aziende con le quali l’istituto ha rapporti, che la maggior parte ha subito reagito, sia per la continuità operativa che per la programmazione del futuro. Siamo al centro di una serie di reti che ci portano ad essere coinvolti in molti incontri finalizzati a strutturare una reazione futura. Due i temi che hanno prevalso: il primo è quello di favorire una maggiore cooperazione tra le diverse aziende, anche attraverso gli istituendi distretti del cibo, il secondo sta nello sviluppo dell’e-commerce che vede un ritorno anche da coloro che si erano approcciati alle vendite online e ne erano rimasti delusi. Oggi c’è una maggiore consapevolezza in materia e la maggiore disponibilità a collaborare potrebbe fare la differenza. Non a caso, anche il nostro istituto ha ritirato fuori dal cassetto un progetto, denominato Eat, che prevedeva un marchio “ombrello” per le produzioni locali, la produzione e commercializzazione collaborativa.

 

 

La situazione creata dall’emergenza sanitaria ha messo in seria difficoltà il comparto agroalimentare per la mancanza di manodopera stagionale addetta alla raccolta dei prodotti agricoli nonché il mancato  approvvigionamento delle derrate alimentari. Come crede ci si debba muovere per ovviare a questa problematica ?  L’istruzione agraria può inserirsi in questo fondamentale segmento della filiera agricola?
Quello del fabbisogno della manovalanza è un altro di quei nodi che la crisi ha fatto venire al pettine. Il dibattito di queste settimane non è che brilli per originalità delle proposte e delle soluzioni, peraltro non è un dibattito che fa bene alla percezione del comparto presso l’opinione pubblica. Altra cosa sarebbe discutere della necessità d’introdurre nell’agrifood conoscenze, competenze, professionalità e qualificazione, elementi di cui ci sarebbe ugualmente bisogno e che potrebbero orientare meglio l’organizzazione delle nuove agricolture. Rispondere alla sfida dell’innovazione e della sostenibilità digitale significa guardare con grande attenzione ai percorsi di formazione degli istituti agrari e degli istituti tecnici superiori, oltre ovviamente a quelli universitari.

Per l’agricoltura sostenibile servono ingegneri, certo, ma anche e soprattutto periti agrari, agrotecnici ed agronomi preparati che conoscano le soluzioni tecnologiche e sappiano portarle nelle piccole e medie imprese che non potranno mai permettersi di esternalizzare.

Va curata la formazione dei giovani imprenditori agricoli, per far comprendere loro come oggi non possa esistere agricoltura sostenibile senza l’innovazione e la trasformazione digitale. Altro fattore che può enormemente aiutare le nuove agricolture è il consumo consapevole che da solo metterebbe fuori mercato prodotti dal prezzo basso ma scadenti in qualità e che creerebbe un circuito virtuoso che premierebbe chi produce alimenti salubri e di qualità, con eticità e professionalità. E qui non possiamo non parlare del ruolo fondamentale, decisivo che potrebbe avere la formazione: un’agricoltura moderna, che vuole contribuire alla tutela delle risorse e alla sostenibilità del sistema produttivo, ha bisogno – direi soprattutto – di maggiori conoscenze e competenze.

 

Gli studenti del Ciuffelli di Todi, fra le altre attività, praticano la vendemmia
Gli studenti del Ciuffelli di Todi, fra le altre attività, praticano la vendemmia

 

Quali cambiamenti prevede per il  l’istruzione agraria e per le filiere agroalimentari dopo la Covid?
Siamo in una situazione del tutto nuova che richiede per il momento un supplemento di responsabilità e di misura da parte di tutti. Ci sono uffici studi, organizzazioni di categorie e tanti altri che stanno cercando di delineare il futuro del comparto. L’unica cosa certa è che in agricoltura bisognerà smettere di pensare e dire che si è sempre fatto così. L’emergenza che stiamo vivendo imporrà cambiamenti veloci e continui. Il mestiere più antico del mondo, per richiamare il titolo di un libro di agricoltura, non sarà più quello di una volta.

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Domenico Aloia
Nato ad Assisi, risiede da sempre a Perugia. Dopo il diploma conseguito presso il liceo classico cittadino, si è iscritto alla facoltà di agraria dell’Università degli Studi di Perugia, conseguendo la laurea triennale. Si è avvicinato al mondo del giornalismo dopo aver svolto il servizio civile presso la biblioteca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Umbria e Marche a Perugia. Ha collaborato con riviste on line e cartacee scrivendo di agricoltura, ambiente, energie, rinnovabili, enogastronomia, politica agricola, export vitivinicolo. Tra le riviste per le quali ha scritto, Green me, Rinnovabili.it, Terra è Vita, Vigna e Cantina, ecc. Si interessa del mondo agricolo, viaggi, sport e informazione.

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