Guerra in Ucraina: “Ecco perché la corsa al riarmo rischia di espandere il conflitto”. Colloquio con Alfio Nicotra
Chi sono i costruttori di “ponti di pace”? Di certo non sono dei “filo putiniani”, come purtroppo è di moda, anche sui media, etichettarli. Lo spiega bene il co-presidente della ong “Un ponte per”: la guerra non può essere mai la soluzione
«Viviamo da 30 anni in una guerra mondiale a pezzi, l’Ucraina è l’ultimo tassello di una via crucis terribile: Iraq, Afghanistan, Cecenia, Somalia, Ex Jugoslavia, Siria, Palestina, Yemen, Etiopia, Mali, eccetera. Con la prima guerra del Golfo si è sdoganato la guerra come strumento di risoluzioni internazionali, si è emarginato l’Onu, è stato travolto il diritto internazionale».
Non ha dubbi Alfio Nicotra, giornalista e co-Presidente della ong “Un Ponte per”: la guerra non può essere mai la soluzione per risolvere i conflitti. Lo diceva durante le mobilitazioni contro le guerre nella ex Jugoslavia e del Golfo Persico, lo ha ribadito quando ha seguito le trattative di pace fra l’Esercito zapatista di liberazione nazionale e il Governo messicano.
«In tutti questi decenni Usa e Nato hanno provato a “nobilitare” e “abbellire” la guerra aggettivandola con ossimori come “guerra umanitaria”, “guerra per i diritti delle donne”, “per la democrazia e i valori di libertà” e via dicendo – spiega il pacifista.
«Ora Putin si è impossessato di questo armamentario ideologico costruito negli anni e lo ha fatto proprio (si pensi al fatto che chiama l’invasione come operazione militare speciale). Accusano il pacifismo di essere etico e astratto, invece ci troviamo davanti all’ideologia della “guerra etica” che è la fuoriuscita della politica come soluzione delle controversie. Oggi è questa deriva bellicista il nemico mortale dell’umanità: non dà soluzioni al conflitto ma lo alimenta e lo allarga in modo esponenziale».
Alfio Nicotra, quali sono le iniziative umanitarie che “Un ponte per” sta portando avanti a supporto della popolazione ucraina?
I primi di aprile abbiamo partecipato alla Carovana della pace che con oltre 70 mezzi e 200 pacifisti ha attraversato l’Europa per arrivare a Leopoli in territorio ucraino. Una iniziativa nonviolenta che ha visto la cooperazione materiale di decine di associazioni della società civile italiana che ha consegnato alla popolazione ucraina medicinali, alimenti ed altri generi di prima necessità. Abbiamo portato in Italia decine di profughi, in particolare soggetti fragili, donne e bambini. Stiamo lavorando ad altre iniziative di questo genere con l’obiettivo di raggiungere anche le città più al centro del conflitto come Odessa o la stessa Kiev. Come Un Ponte Per abbiamo lanciato una campagna di sottoscrizione per sostenere le voci pacifiste e nonviolente in Russia ed Ucraina e stiamo lavorando per mappare i gruppi della società civile dei due Paesi che rifiutano la guerra o che pensano che non esista una soluzione militare di questo conflitto.
Da trent’anni “Un ponte per” opera in molte aree del mondo al fine di costruire ponti di solidarietà e non muri, promuovendo la pace e il dialogo. In seguito allo scoppio della guerra in Ucraina i governi europei, e non solo, hanno scelto invece di inviare armi al popolo ucraino, convinti che così si possa giungere alla tregua…
Vorrei precisare che per noi il diritto di autodifesa e di resistenza di un popolo aggredito non è in discussione, è una banalizzazione caricaturale quella che sostiene che i pacifisti chiedono la resa dell’Ucraina. Il tema è il ruolo che deve svolgere l’Italia e l’Unione Europea per mediare tra le parti e imporre la via negoziale e diplomatica facendo cessare il conflitto e le stragi di civili.
Questa corsa al riarmo vede la Ue appiattita sulla Nato e sugli Usa mettendosi fuori gioco in una questione vitale per il futuro del nostro continente. L’incancrenirsi della guerra dimostra ogni giorno che non esiste una soluzione militare della crisi. Gli ucraini – nonostante le irresponsabili frasi sulla “vittoria” fatte da alcuni governi occidentali – non riusciranno a cacciare con le armi gli invasori e allo stesso tempo Putin non riuscirà a controllare un Paese di oltre 600mila chilometri quadrati e di 40 milioni di persone. La via militare porta a un vicolo cieco e rischia di espandere il conflitto ai Paesi limitrofi con il rischio anche di una escalation nucleare.
L’Europa sta rinunciando alla sua vocazione di pace?
Sì. Non si può organizzare un consiglio di guerra Nato, come quello di Ramstein, dove si sono riuniti i ministri della Difesa di 40 Paesi, nello stesso giorno – il 26 aprile – in cui il segretario generale dell’Onu si reca a Mosca e Kiev.
Così si boicotta ogni negoziato.
Gli Usa, o più specificatamente alcuni settori statunitensi legati alla lobby bellico industriale, vogliono trasformare l’Ucraina in ciò che fu l’Afghanistan per l’Urss, con una sanguinosa guerra di logoramento che duri anni. L’Europa non si può permettere un simile scenario. Questa situazione ha fatto sì che Cina, Israele e Turchia siano diventati i mediatori tra Russia e Ucraina ed è un peccato vedere questa marginalizzazione della Ue che nacque proprio per la sua vocazione di pace.
La guerra sta avendo degli effetti anche sulle zone povere del mondo? Cosa state riscontrando nelle aree in cui operate?
Le previsioni già oggi ci dicono che a fine mese in Tunisia non ci sarà più farina per panificare. Tutto il Maghreb dipende dal grano ucraino. Le ripercussioni della guerra saranno disastrose per molte aree del pianeta. Non dimentichiamoci che i russi sono presenti in Libia e in Siria anche con contingenti militari e qui il rischio di “contatto” con le potenze Nato rischia di produrre incidenti e tensioni. Esiste un solo modo per contenere gli effetti negativi del conflitto: che si fermi il prima possibile.
L’attenzione sulla guerra in Ucraina ci sta facendo dimenticare che esistono altri conflitti armati nel mondo?
La guerra in Ucraina è l’ultima di una lunga e sanguinosa lista che ha caratterizzato il mondo post guerra fredda. Siamo davanti a quella che il subcomandante Marcos già nel 1999 parlava di guerra mondiale a pezzi, frase oggi rilanciata da Papa Francesco. L’esistenza stessa dei patti militari, Nato in primis, è una minaccia alla libertà e alla sicurezza dei popoli.
Dal 2001 ad oggi la spesa militare mondiale è raddoppiata. Domando: siamo diventati più sicuri avendo speso così tanto in armi e armati? Io penso di no. Anzi. Occorrerebbe allora ritornare all’Onu e a una visione multilaterale, riprendere quel discorso sulla sua riforma che invece la guerra in Jugoslavia spazzò via.
La guerra mondiale a pezzi può essere contrastata solo da una pace globale intesa, come ci ricordava il compianto Padre Eugenio Melandri, come edificazione di un nuovo sistema di giustizia. Ricostruire un sistema di sicurezza condiviso significa rompere la logica amico-nemico, comprendere il fatto che i militarismi si alimentano l’un l’altro. Occorre rovesciare i paradigmi dominanti, preparare la guerra investendo in armi significa che prima o poi la guerra la fai sul serio. Solo la pace è un buon investimento.
Oggi la guerra viene raccontata soprattutto dai giornalisti embedded, che rischiano di diffondere notizie distorte, manipolate dall’alto. Le testimonianze delle associazioni umanitarie potrebbero essere un’alternativa valida per chi cerca la trasparenza delle informazioni?
La militarizzazione dell’informazione è uno degli aspetti più deleteri della guerra. Chiunque prova a ragionare e ad avanzare dubbi sul fatto che sia stata una cosa saggia allargare la Nato ad est rilanciandola come gendarme globale, viene additato come amico di Putin.
Noi di “Un Ponte Per” non abbiamo nessuna simpatia per Putin: siamo stati tra i pochi a denunciarne i crimini in Siria.
Il fatto che le redazioni siano diventate una trincea del conflitto e che molti, troppi colleghi, perché di mestiere faccio il giornalista, abbiano calzato l’elmetto è però segno che la battaglia delle idee e per la verità dei fatti è tutt’ora aperta nella nostra società. Certo, il pacifismo storico mostra i suoi limiti, ma vedo avanzare nelle nuove generazioni una sensibilità neo pacifista che magari parte dalla difesa ambientale del pianeta per estendersi ad un ragionamento più complessivo sulle cause dei conflitti: prime fra tutte il controllo delle fonti energetiche fondamentali per tenere in vita questo sistema capitalistico. Nelle Carovane della pace ci sono molti giovani, specialmente ragazze, segno che la semina è in corso e sta dando i suoi frutti.
Chi sono in questo momento storico i costruttori di ponti di pace?
Chiunque non si rassegna alla logica che l’umanità sia destinata a scannarsi. Chiunque non si fa comprimere il cervello dall’elmetto che vorrebbero che calzassimo tutti. Chiunque parta dallo stare sempre e comunque dalla parte delle vittime dei conflitti e accolga i profughi e i rifugiati di guerra senza fare distinzioni di colori della pelle e nazionalità. Da quello che capisco, e come suggeriscono anche i sondaggi, larga parte del popolo italiano non vuole l’invio di armi o l’adesione alla guerra. È una riserva democratica da cui il Paese dovrebbe attingere per cambiare lo stato delle cose esistenti.
Sulle questioni della guerra e della pace c’è sempre stato un divorzio tra paese reale e paese legale. L’ingresso dell’Italia nella guerra in Iraq del 2003 venne fatta con larghissima parte dell’opinione pubblica contraria, con decine di migliaia di bandiere arcobaleno alle finestre e con una manifestazione di tre milioni e mezzo di persone a Roma: chiedevamo di fermare il massacro.
Questo divorzio tra popolo e palazzo perdura anche oggi con un aggravante: non esistono in Parlamento, a differenza di allora, forze politiche di una certa dimensione, in grado di rappresentare questa maggioranza nel Paese. (Alfio Nicotra è stato Dirigente di Democrazia proletaria, Rifondazione Comunista nonché portavoce del Genoa Social Forum durante la mobilitazione contro il G8 del 2001 n.d.r). Per questo è necessario che, dal basso e con pazienza, gli italiani e le italiane riprendano a fare politica, costruiscano luoghi di partecipazione in grado di porre rimedio a questo vulnus alla nostra democrazia.
Saperenetwork è...
- Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.
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