Guerra in Ucraina e politiche migratorie. A tu per tu con Filippo Miraglia e Alice Basiglini
Il racconto della guerra, in questi giorni, sta (giustamente) mettendo al centro la tragedia dei tanti profughi ucraini. Ma perché l’Europa continua a negare accoglienza, status di rifugiato e spazi abitativi a chi fugge da altre guerre? Ne abbiamo parlato con Filippo Miraglia dell’Arci e Alice Basiglini di Baobab Experience
La pace si fa, la pace si costruisce. È un processo lento che coinvolge tutti: la politica, i governi, i cittadini. Non è certo un pranzo di gala. È un impegno quotidiano che richiede delle prese di posizioni chiare e decise. E le manifestazioni dei giorni scorsi sono un un segnale di cambiamento. Ma la pace va difesa. Soprattutto da chi vuole promuovere a tutti i costi, come soluzione all’invasione russa, la via dello scontro armato. Lo ha spiegato a Sapereambiente il responsabile migrazione dell’Arci, Filippo Miraglia: «Supportare militarmente gli ucraini non è una soluzione. Per renderla efficace bisognerebbe scatenare una Terza Guerra Mondiale. Cioè fare una guerra contro la Russia, accettando il fatto che la soluzione è una guerra totale. Mandare le armi non farà altro che aumentare le violenze e la morte. Perché i russi non si fermeranno di fronte a questo. Bisognerebbe perseguire una via di mediazione in maniera convinta, rispondendo anche alle esigenze e alle richieste che non sono quelle del popolo russo ma sono di un dittatore, Putin, che l’Europa e gli Stati Uniti non hanno voluto fermare, come non stanno fermando Erdogan, Al Sisi, e tanti altri dittatori con i quali facciamo volentieri affari. Salvo poi scoprire che sono nostri nemici. La pace si fa in due, pertanto bisogna ascoltare le ragioni, per quanto sbagliate, di Putin».
La guerre non dovrebbe allora stupirci. Sono spesso infatti il risultato di politiche sbagliate compiute nel corso di anni, di decenni. Sono conti sospesi con la Storia.
«Il racconto della guerra dovrebbe tener conto delle cause –continua Miraglia – Di come l’Italia e l’Europa abbiano in questi anni continuato ad alimentare con l’aumento della spesa per le armi e l’esercito (oltre al sostegno alla Nato e alla sua espansione), la cultura della guerra e non una cultura di pace. Perché non è chiaro il ruolo della Nato dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine del Patto di Varsavia. Bisognerebbe affidarsi alle istituzioni internazionali come l’Unione europea e le Nazioni Unite per dar seguito a quello che è scritto nell’Articolo 11 della nostra Costituzione. Continueremo a costruire la pace non solo in Europa ma anche nel resto del mondo dove le guerre proliferano a causa anche della vendita di armi e degli interessi economici».
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Dall’altra parte dovremmo biasimare il nostro modo, senza dubbio etnocentrico, di affrontare gli effetti delle guerre nel mondo. Che sta rivelando la fragilità dell’Europa, la sua mancanza di unità, il suo ostracismo nei confronti delle persone che cercano aiuto non solo dall’Ucraina.
Lo abbiamo visto ad esempio con l’esternalizzazione delle frontiere sempre più militarizzate, con il programma Frontex che consegna i migranti nelle mani dei trafficanti di uomini. Con la voce di chi considera gli extracomunitari pericolosi.
«È evidente che è un popolo che sta subendo una invasione violenta, senza precedenti, con la violazione dei diritti umani che va fermata. È evidente che violenze dello stesso genere, in alcuni casi, peggiori le stanno subendo altre popolazioni, e noi abbiamo uno strabismo legato alla diffusa ideologia razzista che permea le forze politiche in Europa e in Occidente. Penso al muro voluto da Trump in Messico, ai governi di Visegrad, alle tante destre xenofobe nelle grandi democrazie europee: Italia, Francia, Germania – prosegue Miraglia – E penso alle tante forze democratiche che hanno trainato le ideologie xenofobe. Abbiamo usato parametri e condizioni diverse per siriani, afghani, iracheni, e quelli che scappavano dalle torture e dalla morte in Libia. Mentre sugli ucraini, che sono bianchi e europei, scopriamo che esistono i profughi, e coloro che hanno diritto alla protezione e all’accoglienza».
Stiamo assistendo in queste ore a una vere e propria discriminazione, che non conviene agli Stati, ma soltanto ad alcune forze politiche che trovano la loro forza nella costruzione del nemico. Un’ ideologia che sta avendo delle gravi conseguenze sulle persone che erano presenti in Ucraina stabilmente o non stabilmente, come gli studenti universitari.
«Persone che stanno cercando di raggiungere parenti e amici in altri Paesi europei, che scappano dalle bombe, e che vengono fermate alle frontiere dell’Unione europea soltanto perché hanno la pelle nera. E adesso vedremo quale sarà l’applicazione della direttiva 55/2001 per loro, visto che i governi Ue si sono arresi alle ideologie di Orban, Salvini…»
Di fatti, la massiccia presenza ai confini di persone in fuga dall’Est ha spinto gli Stati europei ad adottare la Direttiva sulla Protezione Temporanea. Uno strumento operativo per intervenire nel caso di flussi straordinari di persone che arrivano da una Paese o da un’area.
Molte associazioni avevano chiesto di attivarla nel 2011 con le Primavere arabe, nel caso della Siria e dell’Afghanistan, ma non è stato fatto.
Ora si parla di crisi, ma in realtà, ci fa notare Alice Basiglini, responsabile di Baobab Experience, l’associazione romana che prova a colmare i vuoti istituzionali nella cura e nell’assistenza degli invisibili e degli ultimi: «Il concetto di “crisi” in sé implica che il movimento dei profughi ucraini abbia un impatto, appunto, “critico” sugli Stati ospitanti. La “crisi” è una condizione che vive chi è costretto a lasciare la propria dimensione per trovare protezione altrove. Per chi ospita e accoglie i rifugiati è semplicemente una questione di volontà e gestione. Lo stiamo vedendo ora più che mai proprio con l’invasione russa dell’Ucraina. A tutti i livelli istituzionali – europei, nazionali, regionali, comunali – c’è una mobilitazione tesa a garantire l’accoglienza dei profughi ucraini, attraverso la previsione di misure ad hoc volte ad agevolare l’ingresso nei paesi Ue, a facilitare il riconoscimento della protezione e del permesso di soggiorno e a realizzare spazi idonei all’accoglienza. La “crisi” c’è quando lo Stato e le realtà sovranazionali si girano dall’altra parte o adottano pratiche ostili: la “crisi” c’è ad esempio in Libia, dove i profughi vengono torturati, sottoposti a schiavitù, abusati, privati di ogni diritto e dignità. Con la complicità italiana e europea».
L’arrivo di milioni di ucraini potrebbe accentuare la mancanza di una vera cultura dell’integrazione, dell’accoglienza, della solidarietà. «La cosa peggiore che può accadere è che sia realizzata una solidarietà selettiva, cosa che sta già prendendo piede- continua Basiglini- C’è chi ha parlato di guerre “vere” e guerre “finte”, di profughi “veri” e di “profughi “finti”, ma d’altra parte l’intero sistema europeo e italiano si stanno muovendo secondo un doppio standard. Ci sono migliaia di donne, uomini e bambini bloccati e respinti violentemente al confine tra Bosnia e Croazia. Ci sono migliaia di richiedenti asilo e rifugiati in Libia che denunciano i soprusi subiti e chiedono disperatamente di essere evacuati. E alcuni richiedenti asilo e rifugiati di serie b sono sul nostro territorio nazionale, privati anche delle tutele minime. Sarà difficile spiegare perché da una parte si da il benvenuto e dall’altra si lascia morire in mare o nei lager libici. Sarà difficile spiegare perché per alcune persone i confini sono aperti, mentre per altre sono muri invalicabili. Sarà difficile spiegare perché alcuni profughi hanno immediata disponibilità alloggiativa e altri sono costretti alla strada per mesi».
Sembra piuttosto evidente, in questo scenario, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare una nuova sfida: riformare le politiche migratorie, di lavorare affinché spostarsi in uno Stato straniero non sia più un pericolo per nessun essere umano.
«A oggi Baobab si trova costretta a realizzare progetti abitativi e di inclusione sociale per rifugiati e richiedenti asilo afgani, sudanesi, pakistani esclusi dal circuito formale di accoglienza, a portare soccorso alle persone costrette alla strada per lungaggini inspiegabili nelle procedure per il riconoscimento della Protezione e nell’assegnazione di un centro. La conseguenza è che i profughi sono costretti a una vita di strada, senza titolo di soggiorno e quindi senza possibilità di poter lavorare legalmente, per mesi o anni. Questa è una “crisi”. Ci auguriamo che i meccanismi virtuosi previsti per l’accoglienza dei rifugiati ucraini siano effettivamente realizzati e messi a sistema e che ne possano beneficiare anche gli aventi diritto non ucraini».
Siamo di fronte a una trasformazione epocale, quindi, che per molto tempo abbiamo fatto finta di non vedere. La mobilitazione delle persone non può essere limitata dalla logica dei confini nazionali. Un modello che la globalizzazione avrebbe dovuto soppiantare. «Il tema della migrazione va affrontato come fenomeno e non come problema, smettendo di farne uno spauracchio politico, colmando la pochezza dei programmi di partiti e movimenti. Occorre utilizzare le risorse, impiegate per difendere i confini esterni e interni, nella realizzazione di un sistema di accoglienza e inclusione sociale dignitosi. Realizzando passaggi sicuri, anziché continuare a foraggiare il traffico e la tratta di esseri umani. Non è questione di risorse economiche, ma di come si sceglie di impiegarle. Pensiamo ai milioni dati al Governo di Tripoli, ai costi del Memorandum Italia-Libia, ai fondi riconosciuti a Frontex. Il dramma ucraino ha in questo senso scoperto le carte, dimostrando che aprire le frontiera e prevedere passaggi legali e quindi sicuri sia esclusivamente una questione di volontà».
E conclude: «L’accoglienza è un processo che non si esaurisce nel valico di un confine. Ma è un processo che se realizzato con cognizione può essere virtuoso per chi ospita e a chi è ospitato. Che della mobilitazione operativa ed emotiva per i profughi ucraini possano beneficiare anche i profughi originari di altri Paesi: ad esempio, mettendo a sistema nuovi spazi alloggiativi. Sono anni che denunciamo la carenza quantitativa e qualitativa dei centri di accoglienza e sembra che finalmente questa rete verrà potenziata. Speriamo senza alcuna discriminazione in funzione del Paese d’origine. Insomma, speriamo che adesso, il grande “elefante nella stanza” sia apparso a tutti”».
Saperenetwork è...
- Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.
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