D come distanza, domanda, dono. Per un’ecopedagogia del dopo
Come spiegare ai bambini che dovremo abituarci ad un nuovo modus vivendi, che “dopo” non li potremo più abbracciare liberamente? La quarta lettera del nostro viaggio alla ricerca di un nuovo equilibrio fra noi, l’infanzia, il mondo. Dove D indica anche una vitamina preziosa…
È passata la Pasqua, il Pesach, il passaggio e il clima sono cambiati. Scalpitiamo. Perché vorremmo vedere la fine del deserto e invece siamo abbagliati e confusi dai miraggi. Vorremmo avere un Mosè e dieci leggi dieci, non di più, a guidarci senza farci sentire solo un gregge. È passata la Pasqua: com’è andata? Ci può essere la festa se non c’è il lavoro? Il tempo senza la festa? Perché è la festa, è il sacro, che fonda e scandisce il tempo, lo piega e gli dà senso. Nella festa scorrono passato e futuro e con la festa usciamo dal presente e da noi stessi.
Abbiamo sentito che era un giorno “diverso”, in cui smettere la tuta per provare l’ebbrezza di una camicia e, udite udite!, persino le scarpe? Comunque sia, siamo tornati: il tempo ha ricominciato a scorrere. Il non-tempo del lockdown ha i non-minuti contati. O no?
Nella distopia dei diktact, alla lettera D di questo alfabeto di eco-pedagogia per la quarantena (e oltre) piovono tante parole che ci corrispondono. In primis la D, signora delle vitamine, quella del sole che fa bene alle ossa, al bioritmo e ai nostri bambini reclusi e deprivati di tutto ciò che fa loro bene. Lo sentono il loro disagio, che dentro le case e dentro di loro non è più tollerabile, non più sostenibile?
Domande bollenti
Come gli gnocchi, ribollono tante domande. Ed è un bene. Sono le domande che ci mettono in moto – e non è un caso che i bambini e poi i ragazzi ne producano a ciclo continuo. La prima: e dopo? Quando usciremo, come sarà? Come saremo? Perché non potremo tollerare che sia tutto come prima. Che le città si ripopolino, la produzione riparta, il lavoro di tutti ricominci così, come se il mondo non l’avessimo fermato, come se tutto il dolore che ci ha pervasi e che molti hanno sperimentato sulla pelle, con la propria malattia o la morte di persone care, mitigato solo grazie all’abnegazione di chi si è preso cura della cura, non fosse servito a nulla. Che si riparta facendo finta di niente. Mentendo.
Perché come si porta incontro, ad un bambino, il dolore per la perdita di un nonno, se non cercando in noi la verità? Come spiegheremo loro che la distanza a cui ci ha costretto la quarantena sarà il nuovo modus vivendi a cui dovremo abituarci? Che “dopo” non li potremo più abbracciare liberamente come solo un paio di mesi fa, loro che della fisicità e del contatto hanno bisogno più del pane?
Ora che ci siamo accontentati di quei surrogati di incontro che sono i collegamenti via computer saremo imbarazzati, “dopo”, nella terra promessa della Fase 2? Dopo è una parola che i bambini usano tantissimo non appena mettono piede sul pianeta Tempo e interiorizzano i concetti di passato e futuro. È la domanda che punteggia ogni narrazione sospesa e molte esperienze di diversa natura, ma può diventare il sintomo evidente di una fragilità attentiva: non hai ancora finito di spiegare qualcosa, stiamo ancora facendo un qualunque esercizio che il bambino l’abbiamo già perso, si è già perso. «Dopo che facciamo?». Perché quando permanere nella corporeità è troppo doloroso, riescono ad abitare solo un irraggiungibile dopo, un altro dove.
Essere o non essere
Non essere “qui e ora” è un atteggiamento abituale anche per molti adulti, ma nel bambino e nell’adolescente parla di e porta a un disorientamento nel tempo e nello spazio che influisce pesantemente sugli apprendimenti. È la radice di tutte i disturbi da “dis” che riguardano quasi 300mila studenti, il 4% della popolazione scolastica, ogni anno in aumento, come conferma il rapporto “Eu kids online 2020”. Alleato numero uno della diversione continua? Il cellulare, con quei continui trilletti di notifiche, messaggi, twittate e navigazione illimitata in territori spesso incontrollati.
New report “EU Kids Online 2020” on online experiences of 9-16 year olds from 19 European countries. Have a look?▶️https://t.co/Pl7HPKm5MS. #research #onlineexperiences #opportunites #risks #harm #SID2020 pic.twitter.com/J0MRq4zeGA
— EUKIDSONLINE (@EUKIDSONLINE) February 11, 2020
Potremo anche solo immaginare che “dopo” il cellulare non sia più una presenza automatica perché questo tempo lento, faticoso ma speriamo anche fecondo accanto ai nostri bambini, ai nostri ragazzi, ci ha insegnato a fidarci di più di loro, a conoscerli meglio, a non vicariare più così tanto, così spesso, la nostra presenza e la nostra funzione di educatori? L’abbiamo messo a frutto cercandoli, cercando un dialogo? Sembra utopia pensare di ridurre l’esposizione al digitale, proprio adesso che la didattica è tutta virtuale, tutta a distanza pure lei, con le difficoltà che manifestano proprio gli alunni più bisognosi, per non parlare delle disuguaglianze socio-economiche e del divario Nord-Sud che la scuola online ha messo in luce e che ci si ostina a non prendere in considerazione quando si parla delle valutazioni finali e degli esami di fine ciclo.
Guarda il servizio di Report sull’uso degli smartphone da parte dei bambini
Un destino diverso
Eppure, è adesso che ci possiamo autorizzare a concepire un altro destino, ora che siamo pure noi disorientati, costretti in uno spazio immobile e ancorati ad un tempo sospeso, possiamo dare inizio al domani.
Se siamo passati, se il seme della crisi ha cominciato a mettere radici, possiamo provare a balbettare una risposta: e dopo? Dopo sarà diverso solo se impareremo ad essere l’uno per l’altro un dono.
Appendice poetica
Amore dopo amore
di Derek Walcott
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
Dopo
di Erri De Luca
Non quelli dentro il bunker.
non quelli con le scorte alimentari, nessuna città,
si salveranno indios, balti, masai,
beduini protetti dal vento, mongoli su cavalli,
e poi uno di Napoli nascosto nel Vesuvio,
un ebreo avvolto in uno sciame di parole,
per tradizione illesi dentro fornaci ardenti.
Si salveranno più donne che uomini,
più pesci che mammiferi,
sparirà il rock and roll, resteranno le preghiere,
scomparirà il denaro, torneranno le conchiglie.
L’umanità sarà poca, meticcia, zingara
e andrà a piedi. Avrà per bottino la vita
la più grande ricchezza da trasmettere ai figli.
Saperenetwork è...
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Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
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