Da un’alimentazione all’altra…

«Sciala marito mio, ti ho cotto un uovo». È questa una frase che mia madre (nata e vissuta nella campagna del Beneventano nel primo ventennio del secolo scorso) mi citava a significare un pranzo in cui ci si accontentava di poco cibo, volendo nonostante tutto avere la sensazione di “scialare”, cioè vivere nell’abbondanza. A quell’epoca, la famosa Dieta mediterranea, povera di proteine animali, addirittura considerata patrimonio immateriale secondo l’UNESCO dal 2010, era l’unica conosciuta dalla gente comune, e non perché non avrebbero amato mangiare come i signori, ma perché non avevano alternative.

La Dieta mediterranea privilegia cereali, verdura, frutta, come grassi è utilizzato soprattutto l’olio di oliva.

Le carni rosse sono utilizzate raramente (tipicamente, una volta la settimana, il pranzo della domenica!). Vengono anche consumati moderatamente pesce, pollame, uova, legumi, latticini, vino. Come cercherò di mostrare in seguito, la dieta mediterranea era, ed è, l’approccio all’alimentazione migliore sia per la singola persona sia per l’umanità nel suo complesso.

Un patrimonio poco considerato

Tuttavia, e questa è una parte del problema, una recente indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, presentata durante la Giornata Mondiale dell’alimentazione del 16 ottobre u.s., mostra anche che la dieta mediterranea è seguita in maniera accurata da piccole percentuali del campione esaminato (il 5% circa) mentre la stragrande maggioranza la segue in maniera non accurata e l’11% non la segue affatto. Certamente l’organizzazione della propria giornata di lavoro, per cui spesso si mangia alla bell’e meglio fuori casa, non contribuisce ad avere un’alimentazione sana.

Il 16 novembre 2010, la Dieta mediterranea viene iscritta nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO

Queste considerazioni mi sono venute in mente perché, guardando i miei appunti, mi sono reso conto che non è semplice parlare di agricoltura e che questa non può esser disgiunta dagli stili di alimentazione (propri o indotti) e da come ognuno di noi si nutre. Il mio tentativo, con le pillole collegate all’agricoltura e al cibo, è essenzialmente quello di far capire come i problemi siano tutti interrelati e non esistano soluzioni semplici per problemi complessi. Bisogna dapprima capire tutte le implicazioni e le ramificazioni, tenendo comunque conto che l’agricoltura moderna (o meglio l’agroindustria) è una delle attività che più contribuiscono al degrado dell’ambiente e all’effetto serra.

Regimi alimentari

Da cent’anni a questa parte, è cambiato enormemente il modo di mangiare, ma anche e soprattutto forse quello di produrre il cibo, arrivando a una situazione per cui più c’è richiesta di cibo, in una situazione di aumentato benessere, più produco, più cibo ho a disposizione e più consumo e così via. Se prima solo i “signori” si potevano permettere di essere bene in carne o obesi adesso, democraticamente, tutti (prevalentemente nel mondo occidentale) abbiamo la possibilità di ammazzarci con il cibo. I problemi e le disfunzioni dell’agricoltura non possono essere comunque separati da quelli delle differenze nella disponibilità di cibo per le varie persone, oltre che dagli stili di vita alimentari. Tutte le previsioni che ho visto fare sulle necessità di cibo, anche considerando il maggior numero di abitanti futuri, implicano che il modo di produrre e di consumare i prodotti alimentari resti lo stesso, con tutte le disfunzioni che esistono.

Si lanciano allarmi sulla necessità di incrementare la produzione agricola, per supportare anche la popolazione futura ma non ci si interroga mai su cosa ci sia di sbagliato nella maniera attuale di produrre e consumare.

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Campioni di spreco

E c’è evidentemente qualcosa di sbagliato nella catena del cibo se, come ricordato in una precedente pillola, tutte le stime indicano che un terzo del cibo va sprecato. In Italia, secondo Eurostat lo spreco alimentare vale oltre 13 miliardi di euro con il solo spreco domestico che incide per quasi 7,5 miliardi (a cui va aggiunto quello nella distribuzione di quasi 4 miliardi e quello in campo e nell’industria, più contenuto). Stando a citato rapporto, lo spreco alimentare riguarda particolarmente le città e i grandi Comuni (+ 8%), e interessa soprattutto le famiglie senza figli (+3%).

Insomma, ci sono circa 800 milioni di persone denutrite nel mondo e d’altra parte il tasso di obesità nei paesi più opulenti supera il 10 %.

Secondo i dati 2022 dell’Italian Obesity Barometer Summit, l’11,4% della popolazione italiana è obeso, ma dovremmo anche considerare il sovrappeso che riguarda circa un altro 35% delle persone. Vale la pena di integrare questi dati con quelli del rapporto realizzato recentemente da OpinionWay/Smartway, che identifica nella categoria dei giovani uomini con età tra 18 e 25 anni la parte di popolazione più sprecona. È interessante notare che, tra le fila di chi spreca di più, sono presenti anche e soprattutto i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%), un fenomeno più accentuato al Sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e meno al Nord (- 6%).

Chi contrasta la sana alimentazione?

Allo stato attuale della produzione agricola, la quantità di prodotti disponibili permetterebbe di sfamare tutti gli abitanti, ed anche più, senza le sacche di malnutrizione, e mantenendo un’alimentazione sana, e quindi senza obesità o sovrappeso. Contro le ambizioni a un’alimentazione sana combattono con grande efficacia anche le grandi catene di ristorazione, prevalentemente originate negli Stati Uniti, che riescono a offrire cibo insalubre a basso costo, per cui la percentuale di obesità è superiore nelle fasce di popolazione a basso reddito, che si basa su tale tipo di cibo, che in quelle ad alto reddito. Allo stesso modo, i cibi messi in vendita dalle grandi multinazionali dell’alimentare sono spesso basati su prodotti ultraprocessati, bevande troppo zuccherate e così via.

Secondo l’OCSE, nei 28 Paesi UE le donne e gli uomini che rientrano nella fascia di reddito più bassa hanno rispettivamente una probabilità più alta del 90% e del 50% di essere obesi rispetto alle persone che percepiscono redditi più alti, accrescendo le diseguaglianze di salute.

L’epidemia dell’obesità, insieme all’invecchiamento, è una seria minaccia ai sistemi sanitari, tanto da voler includere, nelle patologie considerate dal sistema sanitario, l’obesità come malattia cronica non trasmissibile (NCD: Non communicable diseases) a sé stante, innanzitutto per favorire la presa di coscienza e un’educazione sanitaria ed alimentare. Infatti, il peso eccessivo può causare diabete di tipo 2 (dovuto all’alimentazione), ipertensione, malattie cardiovascolari e ictus, alcuni tipi di tumori, malattie del fegato e dei reni, problemi respiratori, osteoartriti, problemi durante la gravidanza ma anche (a volare terra terra) perdita di giornate di lavoro. Ci rendiamo conto del costo, in termini di salute personale e di costo per il sistema sanitario, prodotto da questa “malattia”? La dieta mediterranea dovrebbe essere imposta per legge!!!

Quanto ci costa mangiare male

I paesi dell’area OCSE spendono, mediamente, l’8,4% del bilancio del sistema sanitario per curare le malattie legate al sovrappeso. In media, il sovrappeso è responsabile del 71% di tutti i costi delle cure per il diabete, del 23% dei costi delle cure per le malattie cardiovascolari e del 9% dei costi delle cure per i tumori. E quindi sarebbe, paradossalmente, necessario occuparsi più del sovrappeso e dell’alimentazione sbagliata che della scarsa alimentazione!

All’instaurarsi di buone abitudini si oppongono strenuamente ad esempio i produttori di bevande zuccherate, che sono riusciti, in Italia, a impedire che venisse ridotta la quantità di zucchero nelle bevande, anche se sono dimostrati gli effetti negativi dell’ingestione di zuccheri in quantità.

Ma oltre Manica non stanno fermi! In ottobre, il primo ministro inglese Starmer ha posto l’accento sull’aumento dell’obesità e del sovrappeso, sempre in crescita. Infatti, secondo uno studio pubblicato dal Telegraph il 64% dei britannici è in sovrappeso e un quarto della popolazione è obeso, e Starmer vorrebbe fornire a tutti gli obesi farmaci per ridurre il peso. L’obesità è infatti percepita come un grosso problema per il sistema sanitario britannico, il National Health Service, afflitto da anni, come il sistema sanitario italiano, da tagli, burocrazia, mancanza di fondi e lunghe liste di attesa.

La soluzione è prevenire

D’altra parte, si valuta che il 40% delle patologie possono essere prevenute con uno stile di vita più sano. Per inciso (e come vedete tutto quadra) la scarsa attività fisica, e l’aver posto al centro della società la mobilità individuale tramite l’automobile, contribuisce a tale stato di cose. E tanto per continuare a citare altre cattive abitudini, che hanno comunque influenza sia sulle nostre diete sia sulle emissioni, ricordo il fatto che si è persa, insieme alle stagioni, che “non sono più quelle di una volta”, anche un’alimentazione basata sui prodotti di stagione e a km zero. E quindi, sulle nostre tavole sempre frutta tropicale, ciliege d’inverno, o pesche e zucchine fuori stagione. Ciò implica maggiori costi di produzione (in serre riscaldate, ad esempio) o lunghi viaggi dei prodotti, dalla zona di produzione a noi.

Da questo si vede che modificare anche di poco le nostre abitudini alimentari potrebbe ridurre le emissioni e i nostri consumi.

Già mi immagino “il grido di dolore” delle persone che si sentono deprivate delle possibilità di farsi del male, tramite un cibo sbagliato e/o tramite un aumento dei consumi e delle emissioni, che fanno globalmente male alla vita sulla terra: «Tu stai chiedendoci di andare verso una decrescita!! Dove vanno allora a finire le “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria?» Mi rendo conto che le mie considerazioni possono sembrare “prediche”, e siamo allergici alle prediche, ma aiutatemi, cari lettori, suggerendomi come fare presenti questi concetti senza sembrare un seccatore e un menagramo!!!

 

Saperenetwork è...

Tommaso D'Alessio
Tommaso D'Alessio
Ambientalista da sempre, che ha letto, all’epoca, il libro I limiti dello sviluppo, e quindi sta aspettando la catastrofe da 50 anni. Ma nonostante tutto, visto che serve Pensare globalmente Agire localmente, affligge chi gli sta vicino con l’intento di ridurre i consumi, di tutto: cibo, acqua, energia etc. e non cessa di operare per il miglioramento dell’ambiente, soprattutto urbano, nel contesto di Legambiente. È Presidente del Circolo Garbatella di Legambiente che dal 2012 ha in affidamento il Parco Garbatella in Roma, un’area di 40.000 m2, che il Circolo gestisce senza nessun contributo da parte del Comune. Da queste pluriennali esperienze ha avviato la sua strada di ambientalista estremo.

Sapereambiente

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