Il mondo è nelle nostre mani. E nei nostri piatti
Per frenare la perdita di biodiversità è necessaria, quanto prima, una trasformazione radicale dei sistemi alimentari. Mangiare meno e meglio, smettere di iperprodurre. È il monito lanciato da un recente rapporto di Chatham House
Che cosa c’entra un pacchetto di patatine con la tigre del bengala? E una confezione di merendine con l’orango? Molto. Quello che scegliamo di mangiare non si ripercuote solo sul nostro benessere fisico e mentale, ma anche su quello degli altri organismi in viaggio con noi su questo pianeta. Gli ingredienti che compongono i nostri piatti, infatti, arrivano spesso da luoghi remoti, dove sono stati prodotti con metodi che hanno un impatto devastante sull’ambiente. Tigri e oranghi sono due specie iconiche, ma gli organismi a rischio di estinzione, anche a causa delle nostre abitudini alimentari, sono in realtà tantissimi e distribuiti su tutto il pianeta: la biodiversità a livello globale sta infatti declinando a velocità impressionante.
Il Report di Chatham House
Tornando alla domanda iniziale, che cosa c’entra quello che mangiamo con la ricchezza di specie che vivono sulla Terra? Una risposta forte e chiara la dà il report di Chatham House, Gli impatti dei sistemi alimentari sulla perdita di biodiversità, che, dati alla mano, evidenzia la gravità della situazione e propone tre azioni per il cambiamento: orientare la dieta verso alimenti a basso impatto ambientale (per esempio, mangiando meno carne e più proteine vegetali “bio” e locali), mantenere fette più ampie di territorio allo stato naturale e incentivare le pratiche agricole sostenibili, come le colture biologiche e le policolture.
Analisi geopolitiche e benessere animale
Il report è stato presentato il 3 febbraio durante un evento online organizzato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), dall’associazione Compassion in World Farming (Ciwf), uno dei maggiori enti per la tutela del benessere degli animali in particolare negli allevamenti, e dallo stesso Chatham House, autorevole centro studi britannico che si occupa di analisi geopolitiche e socioeconomiche globali.
Noi e la possibilità di scegliere
«Lo stato di emergenza in cui ci troviamo è dovuto anche ai nostri sistemi alimentari – esordisce Susan Gardner, direttrice della divisione ecosistemi dell’Unep – e per uscirne dobbiamo cambiare alla radice il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo». Questa trasformazione radicale non è solo nelle mani dei produttori e dei governi, ma anche nelle nostre. Possiamo diventare consumatori responsabili, cambiare le nostre abitudini alimentari scegliendo cibi sani per noi e per la natura, chiedendoci come e dove è stato prodotto il cibo che acquistiamo, come è stato lavorato e imballato, in che modo è stato trasportato fino a noi.
Produrre il cibo giusto nel modo giusto
Insiste sul cambio di prospettiva anche Tim Benton, direttore della ricerca sui rischi emergenti di Chatham House e uno degli autori del report: «Il sistema alimentare globale non deve puntare a produrre sempre più cibo, bensì il cibo giusto nel modo giusto». La corsa all’iperproduzione di cibo a prezzi sempre più bassi, in atto dal dopoguerra, ha infatti portato non solo a un aumento vertiginoso degli sprechi e dell’obesità, ma anche a un degrado degli ecosistemi e a una perdita galoppante di biodiversità, via via che gli ambienti naturali venivano distrutti per fare spazio ai campi coltivati e agli allevamenti.
Si aggancia a queste considerazioni Philip Lymbery, direttore generale di Compassion in World Farming, che sottolinea come il problema cruciale sia rappresentato dalle colture e dagli allevamenti intensivi. Gli slogan di Lymbery sono brevi e incisivi: «Eat less and better, eat more plants and less meat», mangiamo meno e meglio, arricchendo la nostra dieta di verdure e legumi e riducendo il consumo di carne.
Scelte consapevoli e produzioni virtuose
«Gli anni che ho trascorso nella foresta equatoriale mi hanno insegnato una cosa fondamentale, ossia che tutto è interconnesso», afferma Jane Goodall, la celeberrima “signora degli scimpanzé” e messaggera di pace delle Nazioni Unite. Gli uomini sono parte integrante del mondo naturale e quindi il sovrasfruttamento delle risorse si ripercuote anche su di noi. Ecco perché è importante educare, coinvolgere, agire in prima persona, tenendo presente che le nostre scelte a livello locale producono un effetto a livello globale.
Il ruolo di chi produce
Ma è chiaro che non dipende tutto solo dalle scelte consapevoli dei consumatori. La transizione verso un sistema alimentare sostenibile deve partire dai produttori ed essere incentivata anche dai governi, attraverso interventi mirati al settore produttivo e concertati su scala mondiale. Un esempio virtuoso di questo cambio di paradigma è dato dal Progetto Cacao, lanciato dalla giovane chef, coltivatrice e imprenditrice Louise Mabulo, che ha portato i produttori di cacao filippini a orientarsi verso metodi di coltura più equi e rispettosi della natura e della biodiversità.
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Saperenetwork è...
- Naturalista di formazione, multiculturale per vocazione, da diversi anni lavora nel settore dell’editoria scientifica dove si occupa di progettazione e redazione di testi divulgativi e didattici. Come consulente ambientale e della sostenibilità ha sviluppato, gestito e coordinato progetti nazionali e internazionali sui temi dell’ecologia, della conservazione e dello sviluppo sostenibile per università ed enti di ricerca, organizzazioni governative e non governative e organismi internazionali. Spirito eclettico e curioso, con una passione atavica per la natura nelle sue molteplici forme ed espressioni, negli anni ha spaziato dai territori più tecnici e scientifici a quelli più arcaici e olistici, muovendosi sempre con l’entusiasmo dell’esploratore. Oltre al mondo naturale tout court, la appassionano il lifestyle eco-sostenibile e le innovazioni green, la letteratura e le espressioni artistiche e tutto ciò che è fusione tra natura e cultura. Con un gusto pionieristico per il viaggio, soprattutto se di esplorazione e scoperta.
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