Teatro comunitario a Cuba

Il teatro, la comunità, le persone, oggi

Di ritorno dal’edizione 2024 della cubana Tropa de Cambolo, una riflessione sull’arte condivisa e su quei momenti comunitari che ci offrono la concretezza dello stare nella società e nelle relazioni, mentre binari rigorosamente individuali ci catapultano altrove

Da un po’ di tempo, tra le notizie automatiche che emergono dal telefonino, tante ci parlano di Cuba: manca questo e quello, tutto aumenta, la vita è diventata insostenibile, ci sono proteste di popolo… Andato e tornato da Cuba adesso, dal 3 e 19 aprile, per l’edizione 2024 della Tropa de Cambolo, che l’anno scorso è durata 2 settimane, tutta nel municipio Boyeros dell’Avana – a proposito, è pronto e pubblicato il film ¡Hagámoslo! in versione 30 minuti – e quest’anno tre settimane, 5 municipi all’Avana, e poi Sancti Spiritus e Trinidad, e che per il 2025 si sta programmando di estendere a 4 settimane, includendo a ovest Pinar del Rio e a est a Camaguey.

 

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Stiamo parlando di un evento che si è svolto praticamente senza un riconoscimento pubblico, con solo piccole collaborazioni locali, gruppi teatrali, case della cultura, delegati di zona.

L’arte partecipata del Teatro Comunitario

Il teatro comunitario è importante e necessario, e non solo in America latina dove, per lo più giocoso e tranquillo a Cuba, a volte militante e rischioso in paesi meno pacifici in cui la povertà si accompagna a una violenza diffusa, svolge un ruolo importante nel riunire le collettività attorno al bisogno primario delle società umane di arte e di cultura: ritrovarsi attorno e dentro a uno spettacolo, guardare, pensare, ridere insieme, riconoscersi come parte di qualcosa che unisce e che, almeno per quanto dura l’evento, ci fa stare bene.

 

Un momento de La Tropa de Cambolo 2024

 

Qui da noi a teatro non succede quasi più, e ancora meno ovviamente succede al cinema, o nelle case davanti alla televisione o agli schermi digitali, sempre più orientati a un consumo individuale che ci consente di accedere praticamente a tutto in tempi brevissimi, ma al costo di una solitudine che spesso asciuga la vita. Succede ancora un po’ nei grandi concerti, quando cantare tutti insieme con gli artisti restituisce forse una parvenza di socialità. Succede ovviamente per fortuna nei piccoli gruppi che condividono amicizia, gioco, sport, interessi culturali, sempre più isolati però da tempi e modi di vita che rincorrono senza speranza un’ideologia tecnocratica dominante quasi completamente orientata dal mercato, tra ignoranza programmata, rassegnazione e un disagio generalizzato che provoca conflitti crescenti tra gli individui, i gruppi, le etnie, i popoli, le nazioni.

Non è nella banda larga e nell’intelligenza artificiale che possiamo trovare le soluzioni ai problemi del tempo presente.

 

Creatività individuale…

La tecnologia oggi può fornire strumenti potentissimi e meravigliosi praticamente a tutti ma solo se, oltre che ovviamente imparare davvero a usarla (cosa che sistematicamente per decenni non abbiamo fatto) sappiamo riportare al centro della nostra attenzione le persone, non come consumatori individuali, ma come cittadini attivi che sanno interagire e collaborare con le altre persone, a partire dalla propria vita vera, il corpo, gli ambienti di vita, la natura, le emozioni, i sentimenti, la capacità e necessità di comunicare davvero e non solo esprimere accenni di creatività in un rivolo infinito di post e di reel che, consegnati al tritatutto dei social network, alla fine non fanno che confermare la propria e la nostra inutilità.

… e creatività collettiva.

Il teatro si nutre del conflitto ma, come nelle arene della Grecia antica e nella Londra di Shakespeare, lo rende in forma di arte e, comunicazione tra persone vive e presenti, può farlo in modo sociale e consente se non di risolverlo almeno di affrontarlo, elaborarlo insieme. Magari tra cittadini, non tra individui in perenne competizione tra di loro, che per ogni sciocchezza ricorrono a regole automatiche imposte dell’alto e agli avvocati.

 

Un momento de La Tropa de Cambolo 2024

 

Se ci pensiamo, il nostro approccio oggi ai problemi sociali (violenza sulle donne, bullismo e via dicendo) è per lo più informativo (cioè qualcun altro si racconta e ci spiega, con il risultato che spesso la “pubblicità” fa apparire le cose più importanti di quel che sono), repressivo (leggi sempre più mirate e pedanti e comunque poco efficaci), medicale (se non la pillola, contro il mal di di vivere c’è lo psicologo!). In altre parole, si dà per scontato che come singoli e come gruppi non possiamo affrontare le questioni per conto nostro e dobbiamo essere sempre più “protetti” e sotto tutela. In questo modo però non solo i problemi non si risolvono ma anche, sistematicamente fuggendo dalle responsabilità, la nostra vita dipende sempre meno da noi, si sostiene su protesi, medicine per dormire, dimagrire, “integrare” il corpo e la mente, e poi “app per tutto”, regole del politicamente corretto che ci dettano automaticamente pensieri e parole…

Un problema sociale affrontato insieme nel teatro

Forse in un altro universo, tra pagliacci, danza, musica, circo, giochi, magia, risate salutari e meraviglia, incontrando comunità e persone che, piene di problemi, però cercano di vivere, quest’anno la Tropa de Cambolo ha proposto anche una storia teatrale ispirata a un problema diffuso, l’alcolismo e le sue conseguenze sulle famiglie. Al pubblico a partire dalla scuola media si chiedeva di intervenire direttamente sullo svolgimento di situazioni semplici e comuni, prendere posizione, decidere che cosa sarebbe successo. Banale forse, ma serve magari a ricordarci che la nostra vita alla fine dipende soprattutto da noi, dalle nostre scelte, e che scegliere, con il rischio anche di sbagliare, è quello che ci fa sentire vivi e umani.

Solo in un contesto di esseri umani interi e consapevoli si può decidere davvero di lavoro, economia, pace e guerra, tecnologia, intelligenza artificiale, e soprattutto relazioni tra le persone, che è probabilmente il problema principale oggi.

Con il teatro nelle piazze, nelle scuole e in mezzo alla gente intesa come comunità forse lo si può fare; con le istruzioni ai singoli consumatori su come avere tanti follower nei social network o come usare gli algoritmi per promuovere vere o supposte attività commerciali, sicuramente no. Così tornare magari la nostra vita a raccontarcela noi in prima persona, provare a capirla insieme, vedere come possiamo viverla meglio modificando con responsabilità piccole cose o atteggiamenti, e non solo questionare su come ci viene raccontata sempre da qualcun altro, come se non ci appartenesse più.

 

Attestato di partecipazione alla Tropa de Cambolo 2024

 

Di ritorno da una Cuba, dove ci raccontano che manca tutto, la conferma che, volendo, si può fare.

 

Saperenetwork è...

Paolo Beneventi
Paolo Beneventi
Laureato al Dams di Bologna nel 1980, lavora sulle aree di conoscenza ed espressione attraverso cui soprattutto i bambini (ma non solo) possono partecipare da protagonisti alla società dell'informazione: Animazione teatrale, Video e audio, Fotografia, Libri e storie, Pubblicità, Ambiente, Computer, Web.
Cura laboratori e progetti in collaborazione con scuole, biblioteche, enti pubblici e privati, associazioni culturali e sociali, manifestazioni e festival, in Italia e all’estero. È autore di di video e multimediali, e di libri sia legati alla propria attività che di letteratura per bambini.
Alcuni libri: I bambini e l’ambiente, 2009; Nuova guida di animazione teatrale (con David Conati), 2010; Technology and the New Generation of Active Citizens, 2018; I Pianeti Raccontati, 2019; Il bambino che diceva le bugie, 2020. Video: La Cruzada Teatral, 2007, Costruiamo insieme il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, 2014; I film in tasca, 2017; Continuavano a chiamarlo Don Santino, film e backstage, 2018.

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