La starna italica rinasce e torna in natura

La starna italica è geneticamente diversa da quella europea, al momento allevata per motivi venatori

La starna italica rinasce e torna in natura

La specie, dichiarata estinta, è tornata a popolare la Valle del Mezzano grazie al progetto Life Perdix e alle tecniche avanzate del Centro Faunistico dei Carabinieri Forestali di Bieri (LU). Ora si punta all’insediamento e alla nidificazione in natura di centinaia di nuove coppie

Che cos’è la speratura? Ce lo hanno spiegato nel centro faunistico di Bieri, in Garfagnana (LU). È la procedura che consente di capire se un uovo è stato fecondato e se l’embrione è vivo. Si fa con una lampadina, in una stanza buia, illuminando l’interno dell’uovo messo a incubare. In fretta, per non modificare troppo la temperatura e l’umidità delle uova tirate fuori dall’incubatrice. E nelle grandi macchine di Bieri, le uova sono tante: vassoi e vassoi di uova chiare appena più grandi di quelle di quaglia, numerate una per una, con il numero della gabbia di provenienza e la data di quando sono state deposte. Vassoiate di uova di starna italica, allineate sui carrelli in ordine di arrivo, perché nelle voliere del centro faunistico si contano attualmente 700 coppie di questi uccelli, parenti prossimi di pernici e fagiani, e ogni femmina depone dalle 45 alle 50 uova nella sua stagione di riproduzione, che va da marzo a giugno.

 

Il Centro Faunistico di Bieri, in Garfagnana (Foto: Alice Scialoja)
Il Centro Faunistico di Bieri, in Garfagnana (Foto: Alice Scialoja)

Life Perdix

Numeri che rappresentano una buona notizia, anzi ottima, perché non erano scontati all’inizio dell’avventura di LIFE Perdix, nel 2019. Un progetto finanziato dall’Unione europea, ormai prossimo alla conclusione prevista per la fine dell’anno, coordinato dall’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (Ispra), dal Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari (Cufaa) e da Legambiente, e dall’obiettivo ambizioso: la reintroduzione della Perdix perdix italica, estinta in natura da oltre mezzo secolo, e la stabilizzazione di alcune sue popolazioni nella Zona di protezione speciale della Valle del Mezzano, nel delta del Po.

Patrimonio genetico da recuperare

Il recupero del patrimonio genetico del ceppo autoctono, dunque, innanzitutto. Poi la scommessa della riproduzione in cattività e della sopravvivenza nell’area di rilascio. Numero totale stabilito da progetto: 27.000 reintroduzioni entro fine 2024. A quanto pare, si è fatto bingo. Secondo le stime attuali, si arriverà al rilascio di oltre 30.000 individui. Con l’obiettivo che centinaia di coppie riescano a riprodursi in natura, con piccoli nati dunque allo stato selvatico. In questa primavera 2024, secondo i conteggi, le coppie che nidificavano nella Valle del Mezzano sono più di 400.

 

Incubatrici all'interno del Centro Faunistico di Bieri (Foto: Alice Scialoja)
Incubatrici all’interno del Centro Faunistico di Bieri (Foto: Alice Scialoja)

 

Starna italica e starna europea

La starna italica è geneticamente diversa da quella europea, che al momento non è a rischio di sparire solo perché ampiamente allevata a scopo venatorio. Proprio alla caccia senza limiti è da attribuire la sparizione progressiva della starna italica dalle nostre campagne, a partire dagli anni 50 del secolo scorso; ma anche alla trasformazione del paesaggio rurale e delle modalità di coltura che hanno via via minato l’habitat di questo uccello di media taglia, camminatore e stanziale, che ama gli ambienti rurali aperti, come i pascoli con siepi basse e i campi di cereali, e anche per questo vulnerabile. La Zps della Valle del Mezzano, vicino alle Valli di Comacchio, con i suoi circa 18.000 ettari presenta caratteristiche idonee: è un’area bonificata, con estesi campi seminati, fossati e canali di irrigazione, per oltre la metà dedicata all’agricoltura biologica.

Il ritorno di una sottospecie estinta

Ma se la sottospecie è estinta, come si recupera il suo patrimonio genetico? La risposta è negli obiettivi e nella metodologia del progetto LIFE: attraverso un’accurata selezione su campioni di Dna prelevati da esemplari museali, operata dall’Ispra capofila del progetto, e la riproduzione di queste linee genetiche, incrociando esemplari di ceppo analogo sopravvissuti in cattività. Per cui sono, poi, entrati in gioco i Carabinieri del Cufaa del Centro faunistico di Bieri, con le azioni di allevamento, avviate nel 2020, per garantire la sopravvivenza della specie. Un lavoro accurato, tecniche gestionali e sanitarie.

Il centro faunistico di Bieri

All’arrivo nel Centro, per prima cosa, dopo il giro di saluti, ci si infila i calzari. Copri scarpe monouso, alti quanto uno stivale, fondamentali per evitare la diffusione involontaria di virus, ma anche di batteri e funghi che potrebbero trasmettersi ai piccoli ospiti. Nella seconda sala dell’incubatoio, buia come la prima, è tutto un pigolio. Pigola la grossa macchina incubatrice. Il led rosso della temperatura interna segna 37 gradi e mezzo. La schiusa dura quattro giorni, al termine dei quali, aperto il portellone, si tirano fuori i pulcini. Senza mai accendere la luce, perché l’uomo non deve farsi vedere e gli addetti indossano un mantellone e una lampadina in fronte. Si tirano fuori vassoiate di pulcini minuscoli, dal piumino mimetico, che mani esperte e rapidissime spostano in un altro vassoio, lasciando nel primo solo i gusci rotti. Le poche uova rimaste chiuse non schiuderanno.

 

Starne italiche
Le starne italiche tornano a popolare le campagne grazie ad un progetto europeo di recupero genetico (foto: Alice Scialoja)

 

Dalle incubatrici alla Valle del Mezzano

Per questo non bisogna sbagliare coi tempi. Il passaggio dalla prima alla seconda incubatrice si fa il ventunesimo giorno; la schiusa è al venticinquesimo, generale, sincronizzata o quasi. I pulcini si muovono subito. Non possono permettersi il lusso di rimanere fermi il tempo di crescere ancora: sono uccelli predati, non predatori. Dal vassoio si passa nelle pulcinaie, sotto il calore di lampade a infrarossi. Poi, dopo 45 giorni circa, nelle grandi voliere per un periodo della stessa durata, per imparare a cavarsela negli spazi aperti. E al termine dei tre mesi, i nascituri di questa primavera 2024 saranno portati e liberati nella Valle del Mezzano. Non senza aver fatto un “training” poiana – introdotta nella voliera con gli artigli incappucciati – perché si risvegli l’istinto della paura del predatore. Due “giri” di poiana in 45 giorni per imparare a scappare. Oltre alla presenza costante di altri rapaci che planano sopra alle voliere nel cielo della Garfagnana. Lunga vita libera in natura, starna italica! Bentornata!

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Alice Scialoja
Alice Scialoja
Alice Scialoja, giornalista, lavora presso l'ufficio stampa di Legambiente e collabora con La Stampa e con La Nuova Ecologia. Esperta di temi ambientali, si occupa di questioni sociali, in particolare di accoglienza. Ha pubblicato il libro A Lampedusa (Infinito edizioni, 2010) con Fabio Sanfilippo, e i testi Neither roof nor law e Lampedusa Chapter two nel libro Mare Morto di Detier Huber ( Kerber Verlag, 2011). È laureata in Lettere, vive a Roma.

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