Lo sguardo inesorabile di Bong Joon-Ho, tra passione ecologista e critica sociale
Il regista, sceneggiatore e produttore coreano, che ha recentemente vinto l’Oscar e la Palma d’Oro con Parasite, ha da sempre messo al centro del suo lavoro il rapporto con l’ambiente e gli animali. Le sue opere sono un racconto appassionato e spietato delle colpe dell’uomo e del capitalismo
Il recente trionfo agli Oscar con Parasite (2019), con la vittoria di quattro statuine, ha acceso i riflettori sul lavoro del regista sud coreano Bong Joon-Ho, che con soli 7 film, a cui si aggiunge l’episodio del film collettivo Tokyo e alcuni cortometraggi, si è affermato a livello mondiale per l’originalità delle sue opere.
Tra giustizia e colpa
Un artista spiazzante che si muove tra i diversi generi in maniera irriverente, quasi a suggerire la necessità di una loro destrutturazione, con una comicità amara e una satira grottesca sempre presenti, utilizzate per formulare una critica senza appelli alla società attuale, non solo coreana. Ciò ha fatto sì che si delineasse uno stile che rende Bong Joon-Ho altamente riconoscibile e unico. Molti dei suoi personaggi, come in Barking Dogs Never Bite (2000) e Mother (2009), Parasite (2019) sono ai margini, ma non sempre meritano l’empatia del regista, sono solo l’incarnamento e la rappresentazione del degrado morale, sociale e anche ambientale della società coreana; abitano uno spazio dove il confine tra giustizia e colpa sfuma diventando estremamente labile.
Metafora politica e ambientalismo
Se molto si è discusso sul suo cinema come metafora politica, praticamente nulla si è detto circa il tratto ambientalista presente nelle sue opere. Eppure l’attenzione per i temi dell’ecologia, dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua, per il mondo animale e in particolare per gli allevamenti intensivi e per la genetica, ricorrono con evidenza nei suoi film e non a caso sono al centro delle sue pellicole più dichiaratamente internazionali e “occidentali” come Snowpiercer (2012), la prima girata in lingua inglese, e Okja (2017), prodotta dal colosso Netflix.
Crisi ambientale e disuguaglianza
Snowpiercer, il film più costoso della cinematografia coreana, è ambientato in un futuro distopico, nel corso di una nuova Grande Glaciazione. I pochi sopravvissuti al disastro ambientale causato dall’uomo vivono a bordo di un treno, lo Snowpiercer, mosso da un motore a moto perpetuo, e sono costretti a un viaggio continuo.
Guarda il trailer di Snowpiercer
Fuori, l’intero pianeta è un’enorme distesa di ghiaccio. All’interno dello Snowpiercer, che raffigura una versione compatta del mondo, vige una rigida divisione. In coda al treno vivono, soffrendo fame e freddo, i più poveri, mentre in testa i ricchi e i padroni possono ancora abbandonarsi ai piaceri, alle droghe e al buon cibo. In quest’arca di Noè le tensioni non possono che crescere e sfociare in una furiosa rivolta.
Maiali ogm e animal welfare
Il discorso green di Bong continua, quattro anni dopo, con Okja, una riflessione sugli organismi geneticamente modificati, sull’animal welfare e sui diritti animali che finisce con l’affrontare il tema antispecistico della liberazione animale. La giovane Mija, vive sulle montagne della Corea del Sud e passa le sue giornate in libertà insieme a Okja un’esemplare femmina di super maiale, creata nei laboratori della multinazionale Mirando che l’ha affidata al nonno contadino della ragazza per testare diverse forme di allevamento. La povera Okja risulta presto essere la migliore tra i maiali ogm e viene reclamata dalla multinazionale per essere portata a New York ad un concorso televisivo e, successivamente, per avviare la macellazione delle migliaia di super maiali creati. Mija metterà a rischio la propria vita per salvare la “compagna”.
Disumanità capitalista. Un racconto grottesco
Non deve trarre in inganno il tono apparentemente leggero di Okja. Quello di Bong è un giudizio severo e senza appello: la costruzione umana, capace solo di aver creato per l’intero pianeta una sola unica nazione capitalistica, è così irrazionale, priva di giustizia, da non potere essere raccontata che attraverso il comico, il grottesco.
Guarda il trailer di Okja
Il regista ritrae una società malata o meglio “modificata in laboratorio”, il cui tratto innaturale viene rappresentato con una cifra allegorica sempre spinta all’estremo e talvolta in una dimensione paradossale che meticcia il genere di appartenenza.
La Natura che si ribella
Una natura così maltrattata, sfruttata e vittima dell’ingegneria genetica non può che portare alla sua ribellione e alla rottura degli equilibri. In The Host (2007) sarà proprio un mostro creato da uno sversamento incontrollato di sostanze chimiche, da parte di un’équipe di scienziati americani, nel fiume Han che attraversa Seul, a minacciare la tranquilla vita della capitale coreana. Quello che potrebbe sembrare un film di genere diventa l’occasione per esprimere il timore del regista per le guerre e il terrorismo batteriologico.
Guarda il trailer di The Host
L’approccio ecologista, quindi, emerge dalle sue opere con forza, in una complessiva rappresentazione critica del degrado e della corruzione morale della nostra civiltà. Sono certi tessuti sociali e stili di vita che Bong Joon-Ho mette alla berlina.
Cambiamenti climatici e ingiustizie sociali
Anche il tema del cambiamento climatico in Parasite viene letto in chiave sociale, come in Snowpiercer: saranno le classi più povere a subirne le conseguenze maggiori. Un rischio che il grande cinema aveva già raccontato con Metropolis (1927), 2022: i sopravvissuti (1973), La fuga di Logan (1976), Blade Runner (1982), Elisyum (2013).
Guarda il trailer di Parasite
La scena della grande pioggia, una vera è propria bomba d’acqua è, infatti, liberatoria per la ricca famiglia Park mentre porta alla rovina la famiglia povera dei Kim. I comportamenti non sostenibili determinano squilibri ambientali e necessariamente forme di ingiustizia sociale. Anche la redenzione di un singolo non consente all’uomo di salvarsi dalle sue colpe.
Delirio antropocentrico e autodistruzione
Bon Joon-Ho preconizza un futuro in un ambiente inospitale: l’oblio della danza iniziale in un campo di grano in Mother, le fogne dove Host nasconde le sue vittime, gli scantinati dove il portiere di Barking dogs never bite cucina e mangia cani, quasi a negare, in un delirio antropocentrico, il diritto all’esistenza del non umano, e dove vive anche la famiglia povera di Parasite. Un titolo che sembra il metro di giudizio di Bong Joon-Ho per l’operato dell’uomo che sfruttando tutte le risorse, naturali e morali, porta a consunzione la terra e la sua stessa anima.
Guarda la scena di apertura di Mother
Saperenetwork è...
- Giornalista e studioso delle tematiche giuridiche agraristiche-ambientali, ha collaborato con alcuni importanti enti di ricerca (Ist. Cervi, INEA, CNR, IDAIC, ENEA, CREAA, Ismea, Univ. Sapienza, Univ. Tuscia di Viterbo). Come giornalista ha scritto per numerose testate, lavorato in uffici stampa, condotto trasmissioni radio e televisive. Ha insegnato “Diritto e legislazione dello spettacolo” presso il Conservatorio di Musica “V. Bellini” di Palermo ed è il direttore artistico del Green Movie Film Fest, festival di cinema ambientale.
Ultimi articoli
- Cinema17 Dicembre 2021Le conseguenze dell’antropocene
- Cinema1 Giugno 2021L’ambiente al centro del Riviera international film festival
- Interventi23 Febbraio 2021Energia per la gente. Per riaccendere il futuro in modo equo
- Cinema13 Maggio 2020Una pazza idea, al cinema