Quale scienza contro le epidemie? Sheila Jasanoff su The Nation

Sheila Jasanoff è docente alla John F. Kennedy School of Government di Harvard è una delle massime autorità negli studi sociali e nell’analisi dei rapporti tra scienza e democrazia (Foto: sheilajasanoff.org)

Quale scienza contro le epidemie? Sheila Jasanoff su The Nation

Le informazioni che arrivano all’opinione pubblica sulle misure da adottare contro il Covid-19  non sempre sono chiare. Gli epidemiologi e i politici hanno spesso opinioni divergenti. Ma un approccio scientifico interdisciplinare potrebbe aiutarci a comprendere meglio le emergenze sanitarie

In questi giorni difficili facciamo fatica a ricevere delle informazioni chiare circa l’evoluzione della pandemia e le possibili soluzioni. Sembrano esserci, infatti,  delle divergenza fra le proposte avanzate dagli scienziati e le soluzioni adottate dalla politica. E anche i mezzi di informazione non sempre sono in grado di interpretare lo scenario che stiamo vivendo. Come ha spiegato  Sheila Jasanoff, docente di studi scientifici e tecnologici (Sts) presso la Harvard Kennedy School, in un’intervista sulla rivista statunitense The Nation, per comprendere meglio questo cortocircuito  dovremmo avere un diverso approccio scientifico, che tenga conto delle dimensioni etiche, legali e politiche. Oltre che culturali.

Per capire ad esempio come mai la Germania e i Paesi Bassi, pur avendo un sistema economico simile, abbiano poi messo a disposizione un numero diverso di posti per la terapia intensiva, dovremmo guardare alle differenze culturali, dalle quali dipendono le diverse risposte alle questioni etiche.

«Quale vita merita di essere salvata? Quando possiamo affermare che non dovrebbero essere adottate ulteriori misure? Quando non parliamo di triage ma di decisione medica ragionevole?».

Allo stesso tempo dovremmo evidenziare i tratti comuni. In Europa e in America  c’è un forte interesse per la salute di tutti. «Le persone comprendono concetti come l’immunità del gregge, anche se non conoscono il termine tecnico. Sanno che è rischioso che un segmento della popolazione vada in giro senza protezione», ha fatto notare la scienziata indiana. Si sta riscoprendo in altre parole l’importanza di una sanità pubblica, che è qualcosa che trascende l’individuo.

Per questo motivo spiega Sheila Jasonoff, è stato istituita  l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), «che definisce ciò che rende un’epidemia e ciò che rende una pandemia per tutto il mondo». Un istituto che è diventato sempre più sofisticato, capace di monitorare oggi la diffusione del coronavirus e di fornire ai media non solo numeri, ma anche i termini per rendere le informazioni più comprensibili al pubblico.

 

 

C’è però un ulteriore aspetto che non può essere ignorato: la scienza biologica non basta, perché è attenta soltanto alle conseguenze fisiche e materiali. Per Jasonoff un ruolo importante nella lotta al coronavirus deve essere assegnato  anche agli studi sociali e comportamentali.

«Ci vuole molto tempo prima che una cura venga scoperta e poi sviluppata fino al punto in cui è affidabile. Anche se i processi sono rapidi, non avremo un vaccino che risulti efficace, senza effetti collaterali e che può essere prodotto su scala prima di 18 mesi. L’idea che la scienza venga su un cavallo bianco a portarci una soluzione scientifica non appena viene rilevato un problema è un miraggio».

La pandemia implica, in altre parole, una possibile crisi sociale, e occorrono delle strategie. Purtroppo anche se abbiamo a disposizione importanti studi sulla comunicazione del rischio e sulla comprensione pubblica della scienza, le istituzioni politiche non li considerano.  I politici preferiscono compiere scelte che in molti casi vengono percepite come autoritarie o inspiegabili. Eppure in passato alcune crisi sanitarie sono state affrontate in modo adeguato. «La commissione presidenziale negli Usa formata per studiare l’Aids ebbe un impatto considerevole, perché indirizzò l’attenzione della gente sul fatto che la trasmissione dipendeva da componenti sociali e comportamentali».

 

Guarda la pubblicità progresso contro l’Aids del Ministero della Salute nel 1990

Adesso, come allora, occorrono gruppi di esperti per affrontare le questioni legali, costituzionali e le disuguaglianze economiche e di genere. Ma per  costruire un  rapporto virtuoso fra scienza e politica, ha sottolineato la scienziata di Harvard, è necessario chiedersi, anzitutto, se la democrazia che vogliamo è quella che ha disposizione istituzioni che si prendono cura di noi nei momenti di difficoltà.

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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