Wikipedia, la pagliuzza e la trave

La tv ci ha resi incapaci di trarre vantaggio dalle possibilità di democrazia e di partecipazione che la tecnologia interattiva ci offre, scrive Beneventi (Foto: Andrea Piacquadio, pexels)

Sembra che uno dei problemi della nostra società iper informata e iper connessa sia proprio la difficoltà di gestire l’informazione, tenere conto delle connessioni e, banalmente, fare i conti con la realtà. Quando nei vecchi e nuovi media si parla di “tecnologia”, la Vita, quella vera, rimane sostanzialmente fuori e quando rientra, sulla spinta di politica, economia e cronaca, intervengono altre parole, emozioni, relazioni tra gli umani, quasi vivessimo in un reticolo di universi paralleli.

C’è un disagio di fondo che molti provano e pochi ammettono e una sostanziale rassegnazione a che le cose siano comunque fuori dalla nostra portata.

Televisione, maestra di passività

Veniamo tutti da una cultura mista di scuola e soprattutto di televisione, e già qui qualcosa non torna, perché nei discorsi, panegirici, sproloqui sul “digitale” che da molti anni rimbombano nell’opinione pubblica, di televisione non si parla quasi mai, come come se fossimo passati direttamente dalla carta stampata (ma quanti, davvero, leggevano?) al PC e all’iPhone (e quanti davvero sanno cosa sono un PC e un iPhone?). Si rimuove il sistema di informazioni e conoscenze che ha unificato l’intero pianeta della globalizzazione, basato sul consumo passivo di mondi virtuali rigorosamente da guardare e non toccare.

Questo sistema ci ha sostanzialmente resi incapaci di trarre vantaggio dalle enormi possibilità di democrazia e di partecipazione, mai viste prima nella storia, che l’odierna tecnologia interattiva ci offrirebbe.

Si ripete il mantra che la TV oggi non la guarda più nessuno, mentre nel mondo si vendono sempre più televisori e sono in tuttora in aumento gli investimenti pubblicitari sui canali che trasmettono via etere, cavo e satellite. Si fa finta che tutto cambi se il film invece che su RAI1 lo guardo su Netflix.

 

Le arene dei social

Certo, il pubblico sta moltissimo sui social network, cioè in quella parte di Rete privatizzata che fa i soldi con la pubblicità e il tracciamento dei nostri dati, e soprattutto su quelli che più stimolano l’individualismo e la competizione, rendendo difficili la condivisione e le attività insieme, replicando e moltiplicando all’infinito le risse in diretta e le sfide tra i cuochi che tanto fanno audience in TV.

E inseguendo questo pubblico, si appiattisce a livelli sempre più bassi anche l’informazione delle grandi reti.

Mentre nel mondo dell’istruzione – probabilmente in un’altra dimensione – non si ferma l’incessante flusso di segnalazioni e tutorial su hardware e software per fare di tutto e di più, di cui non si sa assolutamente se in tutti questi anni qualcuno li abbia mai usati e per farci che cosa, e periodicamente tornano discussione surreali come quella sul permettere o no l’uso del telefono cellulare nella scuola. Il che significa sostanzialmente che quell’aggeggio su cui gran parte di noi passa gran parte del suo tempo, non abbiamo idea di che cos’è, e c’è da preoccuparsi davvero!

Fuori dagli schemi classici, Wikipedia

Wikipedia è un esempio di successo diverso. Tutti la consultano e, nonostante i limiti di una enciclopedia senza redazione centrale, scritta in pratica dagli utenti, con la possibilità di intrusioni e manipolazioni teoricamente non controllabili, di fatto funziona e pare che non contenga più errori delle enciclopedie tradizionali, con il piccolo particolare che chiunque la può correggere. Si tratta di un’opera collettiva planetaria, a dimostrazione che la tecnologia corrente, non necessariamente assoggettata alle vecchie leggi mercantili della domanda e dell’offerta, alle gerarchie, alle certificazioni, per qualche meccanismo interno che si instaura tra milioni di umani che partecipano e condividono, può portare in modo quasi “naturale” alla realizzazione di prodotti comparabili, forse anche migliori, di quelli ottenuti dalla tradizionale organizzazione industriale.

 

 

Gli educatori sanno che qualcosa di simile succede nei gruppi di bambini, quando liberamente elaborando esperienze e conoscenze arrivano insieme, come i singoli difficilmente sarebbero in grado di fare, a elaborazioni culturali valide, che l’adulto può limitarsi a riordinare, senza quasi bisogno di insegnare nulla.

Forse provare a capire bene quali sono i meccanismi che fanno funzionare una cosa come Wikipedia ed altri esempi simili, meno conosciuti, potrebbe servirci a recuperare, insieme con pezzi delle nostre vite, un Web in cui non solo questionare su ogni cosa e pubblicare foto di gattini, non solo traghettare a forza ogni commercio e burocrazia anche quando non ci serve e provoca disagio, ma magari trovare sistemi nuovi, originali ed efficaci per sommare e moltiplicare le intelligenze e la capacità di fare. Chissà che forse, impegnandoci un po’… Diciamo che almeno ci potremmo provare!

Vigilanza e partecipazione

Recenti inchieste raccontano dei lati oscuri di Wikipedia, dei gruppi di potere che la utilizzano, del fatto che alla no-profit Wikimedia Foundation si è affiancata dal 2020 una società profit che vende informazioni, e via dicendo. Però dovremmo saperlo che in democrazia nessuna impresa, progetto o istituzione è al sicuro da deviazioni, senza la partecipazione attiva e il controllo costante, sotto svariate forme, da parte dei cittadini. Nel mondo poi ci sono pagliuzze e ci sono travi, e soprattutto c’è la responsabilità di tutti, di cui non si parla quasi mai.

Già McLuhan nel 1964 scriveva che nell’era “elettrica” non è più possibile guardare le cose, descriverle, giudicarle dall’esterno.

Noi dovremmo tenere conto che ogni nostra descrizione in rete modifica la realtà, come un battito d’ali di farfalla che può causare un uragano in altro continente, soprattutto quando si combina con miliardi di altri battiti da ogni angolo del pianeta. Wikipedia resta una dimostrazione che le cose si possono fare anche in un “altro” modo. Imparare a farle bene o male poi, è responsabilità di tutti noi.

Saperenetwork è...

Paolo Beneventi
Paolo Beneventi
Laureato al Dams di Bologna nel 1980, lavora sulle aree di conoscenza ed espressione attraverso cui soprattutto i bambini (ma non solo) possono partecipare da protagonisti alla società dell'informazione: Animazione teatrale, Video e audio, Fotografia, Libri e storie, Pubblicità, Ambiente, Computer, Web.
Cura laboratori e progetti in collaborazione con scuole, biblioteche, enti pubblici e privati, associazioni culturali e sociali, manifestazioni e festival, in Italia e all’estero. È autore di di video e multimediali, e di libri sia legati alla propria attività che di letteratura per bambini.
Alcuni libri: I bambini e l’ambiente, 2009; Nuova guida di animazione teatrale (con David Conati), 2010; Technology and the New Generation of Active Citizens, 2018; I Pianeti Raccontati, 2019; Il bambino che diceva le bugie, 2020. Video: La Cruzada Teatral, 2007, Costruiamo insieme il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, 2014; I film in tasca, 2017; Continuavano a chiamarlo Don Santino, film e backstage, 2018.

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