Guida ai fiumi di Roma, tra storia, bellezza e ferite della modernità

Il fiume Almone alla Caffarella (Foto: Wikimedia Commons)

L’antropizzazione selvaggia ha modificato i paesaggi, ha colpito al cuore la nostra memoria collettiva, ha stravolto il rapporto autentico dell’uomo con la natura, custode degli elementi primordiali. A partire dall’acqua: preziosa per la vita, necessaria per lo sviluppo e l’incontro delle civiltà, mitica e sacra. Custodita nei secoli dai fiumi che oggi rischiano di scomparire o che già non ci sono più, come ci spiega Stefano Marinucci nel libro “Guida ai Fiumi di Roma” (Intra Moenia, 2024).

Nomi e (per)corsi, tra passato e presente

Del fiume Almone, ad esempio, sembra rimaner vivo soltanto il nome, inghiottito ormai dentro una cloaca. L’Arrone è invece un habitat per gatti radioattivi, chiuso. È scomparsa la fauna, ma è ancora possibile passeggiare tra le rovine etrusche di Careia. Con una narrazione che incuriosisce il lettore e smuove le coscienze e la morale, Marinucci nel suo nuovo lavoro ci propone sentieri e percorsi naturalistici, scorci di mondi obliati, come l’Oasi Bosco Foce dell’Arrone: una delle costiere tirreniche laziali più intatte. Il viaggio prosegue, si toccano le acque del distretto più inquinato d’Europa. Malagrotta è una ferita ecologica aperta. Nella valle Galeria dove non c’è più l’antichissima famiglia patrizia Galeria, si vede soltanto un paesaggio deturpato, occupato da discariche e depositi di carburante. Muoiono intanto i pesci nelle acque del Melfa. Un fiume violentato per interessi economici. Eppure è stato un luogo di culto per i popoli italici: Marsi, Peligni, Sanniti, Volsci. Conosciuto per il tempio dedicato alla dea Mefite. Il Melfa non ce la fa a resistere, anche se continua a costeggiare i ruderi del Castello dei Conti d’Aquino, dove sarebbe nato nel 1225 il filosofo e teologo Tommaso. Qualcuno prova a esplorare il fiume a piedi, ma dell’antico corso d’acqua rimane solo un torrente in estinzione!

 

Stefano Marinucci (Foto Youtube, @reteoro)

 

Archeologia e futuro delle popolazioni

Trascorrono i mesi, le stagioni. E scopriamo tra le pagine del libro di inchiesta che dopotutto dietro l’aspetto vigoroso del Tevere c’è un enorme sistema idrografico ecosistemico. Territori noti, altri riconoscibili dai più esperti, spesso isolati. Preservati soltanto dalla memoria e dal mistero. E così di Allia, delle antiche fonti che bagnavano Crustumerium, non troviamo tracce. Ci attrae tuttavia la sua storia: riviviamo battaglie, e il rapimento di donne e fanciulle durante le celebrazioni dedicate al dio Conso. C’è chi sostiene che proprio nelle campagne intorno Crustumium siano state girate le scene dei film “I nuovi mostri” e “La banda del gobbo”. C’è chi invece vede soltanto una zona adibita a coltivazioni, l’autostrada e la via Salaria.

Il progresso non incontra lo sviluppo, il fascismo dei consumi si scontra con la tutela ambientale. Da una parte la velocità, la ferrovia, le auto, il DDT, epidemie e tumori, dall’altra parchi urbani e siti archeologici.

Scelte che segnano per sempre il futuro delle popolazioni, come quelle della Valle del Sacco. Qui soltanto le associazioni ambientaliste, gruppi di volontari e cittadini preoccupati hanno provato a fermare i mostri del postfordismo, dell’industria militare, i veleni e la frustrazione diffusa. Nessuno parla del santuario della Grotta di Ceccano, degli insediamenti di età neolitica di Anagni, dei 50 siti di interesse storico nel tratto tra Zagarolo e Cassino. Ai politici rimangono soltanto parole biascicate.

Natura, legalità, umanità

Sono 26 i fiumi raccontati da Marinucci, e non si può non citare il fiume Marta, dove le anguille che piacevano tanto a Papa Martino IV rischiano ora l’estinzione. «Negli ultimi due decenni la popolazione di anguille si è ridotta del 90% e per evitare che scompaia per sempre, la legislazione UE in vigore obbliga i pescatori a rimettere in acqua il 40% dei riproduttori catturati. Viene ancora pescata, catturata indiscriminatamente, mangiata». È un lontano ricordo l’immagine di Sophia Loren nel film “La donna del fiume” del 1954. Drammaticamente attuale è invece la storia dell’Ufente, nella Pianura Pontina. Nato per essere tranquillo, generoso, pronto ad assicurare il benessere a chi vive presso di lui, oggi è un sentiero che ci porta dritti all’inferno, tra discariche e cielo aperto e carcasse di animali. Ma dal fiume si percorre una strada che sembra quasi una via di uscita.Una fuga verso la salvezza dentro i container per lo scalo merci. Unica redenzione per antichi poeti, giornalisti anarchici, viaggiatori africani che sognano Parigi. Ma Ufente è anche il volto dei braccianti pakistani sfruttati, ingannati dalle promesse della globalizzazione e dal liberismo che non reagisce di fronte alle morti sul lavoro, che rinnega l’umanità e la legalità. E cede il passo all’indifferenza.

 

 

Saperenetwork è...

Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

Sapereambiente

Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!


Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella di posta per confermare l'iscrizione

 Privacy policy


Parliamone ;-)