Il dono in versi di Mariangela Gualtieri
Una riflessione sulla fragilità della condizione umana, sui ritmi innaturali che adesso siamo obbligati a rivedere. La poetessa cesenate ha regalato al pubblico un componimento ispirato alla difficile esperienza di queste giornate
Sono molte le artiste e gli artisti che in questi giorni, fra sale chiuse e manifestazioni cancellate, offrono la propria creatività come segno di vicinanza umana e solidarietà. È delle scorse ore il contributo di Mariangela Gualtieri, la poetessa cesenate che ha fondato insieme a Cesare Ronconi lo storico “Teatro Valdoca” e che ha pubblicato in rete “Nove marzo duemilaventi”: un componimento che ci invita a riflettere sulle ore che stiamo vivendo, sulla vulnerabilità che avvertiamo, come quando eravamo bambini. Ore che ci tolgono la libertà di un abbraccio ma che – secondo Gualtieri – ci restituiscono umanità e consapevolezza di essere specie, unita.
Lo proponiamo anche dalle pagine di Sapereambiente nella convinzione che l’arte, dalla danza, al teatro e alla poesia, possa offrirsi ancora una volta come medicina, dolce e salvifica.
«Faccio il mio teatro perché questa è la bellezza che offro in risposta alla distruzione del mondo» diceva d’altro canto Julian Beck. E Pina Bausch: «Danzate, danzate altrimenti siamo perduti».
In questo solco, come la poetica di Alda Merini, si inserisce Mariangela Gualtieri con questo suo memorabile “Nove marzo duemilaventi”, poesia lucida e affilata, a portare speranza. Nell’attesa dolce di quando finalmente potremo ristringerci reciprocamente le mani, abbracciarci di nuovo.
Nove marzo duemilaventi
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro
Mariangela Gualtieri
Saperenetwork è...
- Romana, si forma come attrice tra la Capitale e Parigi. Lavora per quindici anni in teatro e in televisione partecipando a tournée in giro per il mondo. Laureata in arti e scienze dello spettacolo con una tesi sul cinema italiano, si è occupata di critica cinematografica. Contemporaneamente ha coltivato la passione ambientalista lavorando come educatrice, ha collaborato ad articoli scientifici in campo ecologico e a diversi progetti di tutela ed educazione ambientale. Ama il rock, la montagna e la poesia. Porta sempre con sé un paio di scarpette d'arrampicata.
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