Volo Senza Un Grido, il caso Pinelli in una graphic novel
In occasione dell’anniversario di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969, rileggiamo per voi un libro grafico del 2021 scritto da Ilaria Jovine e Roberto Mariotti con le tavole di Marco Cabras. Pubblicata da Becco Giallo, racconta la lotta per la verità della moglie dell’anarchico ingiustamente accusato
Una mano che spunta, afferra qualcosa. Poi il volto di una donna che si arrampica. E’ Licia Pinelli, moglie dell’anarchico Pino Pinelli, volato da una finestra della questura di Milano nella notte tra il 15 e 16 dicembre 1969. E’ sola, nel suo immenso sforzo di arrampicarsi su una superficie verticale. Nelle tonalità del rosso e del nero appare l’immagine a tutta pagina di una statua. Nella destra tiene una bilancia. Nella sinistra una spada. Gli occhi sono bendati. Licia si arrampica sui drappi rossi del suo vestito fino a raggiungerne la punta del naso e da lì strappa la benda che copre gli occhi ritrovandosi davanti a uno sguardo vuoto, malato, incapace di vedere la verità. Sono le tavole di Marco Cabras con cui si apre Volo Senza Un Grido, la graphic novel scritta da Ilaria Jovine e Roberto Mariotti e pubblicata da Becco Giallo nel 2021. Un lavoro che racconta la lotta di Licia Pinelli contro giornali e magistratura per far luce su quanto avvenne quella notte durante un interrogatorio seguito alla Strage di piazza Fontana.
Da Spoon River a Turigliano
La grande statua su cui si arrampica Licia Pinelli è la rappresentazione grafica della “donna bellissima, con gli occhi bendati ritta sui gradini di un tempio marmoreo” descritta nell’Epitaffio di Carl Hamblin dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. E’ la poesia che i compagni di Giuseppe Pinelli fecero incidere sulla sua lapide quando il suo corpo fu trasferito nel cimitero di Turigliano, vicino a Carrara. Era stato proprio Pinelli, anarchico idealista, a regalare questo libro al commissario Calabresi qualche mese prima della sua morte. Un gesto che mostrava l’apertura mentale e il desiderio di condivisone che lo caratterizzavano. Racconterà Licia in un’intervista con Scaramucci ricordando l’episodio dello scambio di libri tra il poliziotto e il marito: «La differenza tra me e Pino era questa: per me il poliziotto era il diverso che non volevo neppure mettesse un piede in casa mia, per lui invece era un uomo. Lui dava a tutti la possibilità di esprimersi perché in tutti vedeva del buono».
Non mi sento sconfitta
«Non mi sento sconfitta. Ho fatto tutto quello che potevo fare nell’ambito della legalità. E’ lo Stato a doversi sentire sconfitto. Uno Stato che non è in grado di riconoscere la verità è uno Stato che ha perduto». Su queste frasi si aprono le prime pagine della graphic novel, frasi che dovrebbero rimbombare come un’ulteriore esplosione nel cuore di chiunque. Poi dalla scalata sulla statua cambiano i toni, dal rosso e nero si passa agli ocra e Licia inizia a raccontare la sua vita in un lungo monologo rivolto a un Pino in ascolto. Ne emerge una coppia come tante, una piccola famiglia che si andava creando con intorno amici e politica, come succedeva spesso in quegli anni. Nessun estremismo. Tanti ideali. «Vivevo in una torre d’avorio: i miei libri, i miei amici, le mie bambine, il lavoro da fare… Le cose fuori mi sfioravano appena. Poi di colpo sono precipitata dentro».
E’ dal 12 dicembre del 1969, dalla strage di piazza Fontana, che Licia Pinelli si ritrova catapultata nella Storia, quella con la S maiuscola, una storia che ha bisogno della sua lotta per essere riscritta.
Nella graphic novel iniziano a comparire i personaggi di Pietro Valpreda, Antonio Sottosanti, il commissario Calabresi, i giornalisti Pansa e Cederna, il giudice Caizzi… in un infittirsi di trama che si va mescolando ai desideri, ai temi scolastici e alle preghiere di due bambine alle quali Licia tenta di spiegare l’inspiegabile.
Lottare, raccontare
La lotta di Licia Pinelli cresce in un climax che va dal salotto di casa agli uffici della magistratura, dalle banalità quotidiane di una sciarpa ai ferri, alla quale stava lavorando quando le arrivò l’ultima telefonata del marito, ai calunnianti titoli di giornali, dai ricordi di frasi e giochi con Pino all’assurda definizione di “raptus suicida” con la quale viene archiviato il caso. Sotto i colpi del martello della magistratura riappare nelle ultime pagine l’immagine della grande statua che, seguendo il tracciato dell’Antologia di Spoon River, inizia a colpire a caso intorno a sé con la spada stretta nella mano sinistra. Licia è ai suoi piedi, urla, ma non viene sentita: oltre ad essere cieca la grande donna è anche sorda.
Licia riprende ad arrampicarsi sul suo corpo fino a raggiungerne il volto e strappare definitivamente il drappo che le copre gli occhi: «Provavo vergogna per tutti loro e pena per la nostra Repubblica, nata dalla Resistenza, ancora così impregnata, in realtà, della dittatura che l’aveva preceduta».
Oggi, grazie alla lotta di Licia e delle sue figlie Silvia e Claudia, la storia di Giuseppe Pinelli è nota. Riportata in libri e canzoni, in opere teatrali e quadri, e anche nelle 109 tavole di questa graphic novel. E’ la storia della Verità che lotta per venire alla luce, ma anche la storia delle tante donne che, come dirà Licia, «subiscono sempre ciò che capita a figli, mariti, fratelli. Oltre quello che capita a loro stesse». Eppure questa ferita è anche, come diranno le figlie, «un solco di semina per nuovi raccolti». A ognuno va la responsabilità di raccontare e tramandare la verità.
Saperenetwork è...
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Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.
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