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Metti in quarantena la quarantena. Il disco dei Pavement, dieci anni dopo

Riascoltiamo "Quarantine the past", una raccolta del gruppo californiano, icona della musica indipendente americana. L'ironia caratteristica della band, a tratti velata da una leggera malinconia, straordinariamente attuale
8 Maggio, 2020
2 minuti di lettura

La quarantena è da poco terminata. Si torna poco alla volta a “uscire”. Ma riusciremo a mettere in quarantena il passato? Saremo capaci di attenerci al distanziamento sociale, per mantenere a distanza di sicurezza un eventuale nuovo lockdown? E se sì, riusciremo mai ad abituarci, almeno fino a quando non verrà trovata una cura o un vaccino, a questa nuova “normalità”? C’è un disco con il quale possiamo provare ad affrontare queste incognite con un po’ di leggerezza. È uscito nel 2010, e per una strana congiunzione astrale contiene canzoni che si agganciano in modo singolare con la realtà che stiamo vivendo. A cominciare dal titolo. 

 

 

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“Quarantine the past” è un atipico greatest hits dei californiani Pavement, alfieri e “prime movers” di quel movimento low-fi nato e sviluppatosi nei primi anni ’90 e diventato a suo modo centrale nello sviluppo delle nuove direttive del rock alternativo dopo la consunzione naturale della fiamma del grunge. La raccolta conteneva brani pubblicati tra il 1989 e il 1999, e anticipò un breve tour di reunion della band, culminato al Festival Primavera Sound di Barcellona, già all’epoca frequentatissimo, e negli ultimi anni assurto allo status di evento imperdibile per gli appassionati di musica rock, elettronica e d’avanguardia. 

Quella del Primavera Sound è un’altra coincidenza singolare: lo scorso anno, in tempi non sospetti, il tema del Festival era proprio quello di una “nuova normalità”. Una nuova normalità che dovremo inventarci a breve e che quasi certamente porterà alla cancellazione dell’edizione 2020 della celebre manifestazione musicale. Dove quest’anno era previsto come evento clou proprio un concerto dei Pavement, riuniti di nuovo per l’occasione, a dieci anni dall’ultima apparizione. Ma torniamo al disco.

Ritroviamo, condita con l’ironia caratteristica della band americana, l’attesa spasmodica per la riapertura di barbieri/parrucchieri per il tanto agognato taglio o la tinta per nascondere la ricrescita in Cut your hair: “Darlin’ don’t you go and cut your hair/Do you think it’s gonna make him change?”. 

Un’altra coincidenza singolare, almeno per noi italiani, è Two states, che ci ricorda addirittura la nuova divisione tra nord e sud a parti invertite che il Covid-19 potrebbe causare. Summer babe  ci fa pensare a come  sarà la nostra estate con lettini e tavolini sommersi dal plexiglass messo a mo’ di novello muro di Berlino: “Every time I sit around I find that I’m shocked”. E poi c’è la vita a distanza come unica soluzione cantata in Range Life ,”I want a range life/If I could settle down/If I could settle down/Then I would settle down”,  e ci sono gli appuntamenti ai grandi centri commerciali evocati in Date with Ikea.

Heaven is a Truck  ci fa addirittura rimpiangere quelle volte in cui un camion o una macchina lenta ci ostacolava su una strada impervia proprio nel momento in cui andavamo di fretta: “Heaven is a truck/It got stuck/On the breezeAsked the driver nicely/I need a lift?”. Infine i versi di Gold Soundz, “Because you’re empty and I’m empty/And you can never quarantine the past”, che danno il titolo al disco e voce alle nostre speranze di mettere in quarantena questa quarantena.

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