Roma – Tirana andata e ritorno, ovvero come funziona il sistema di accoglienza
Dalla Turco-Napolitano fino all’accordo Meloni-Rama, di cui la Corte costituzionale albanese ha da poco sospeso la ratifica. Dieci domande e risposte per mettere a fuoco di cosa parliamo quando parliamo di accoglienza dei migranti, in Italia e in Europa
Ha fatto molto discutere la recente sospensione da parte della Corte Costituzionale albanese del protocollo d’intesa Italia-Albania, firmato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama lo scorso 6 novembre, che prevedeva la creazione di due centri per migranti e richiedenti asilo italiani in territorio albanese. A ribadire l’ottimo rapporto personale con la sua omologa italiana leader di Fratelli d’Italia, sabato scorso Rama (che è esponente del partito socialista albanese) ha partecipato alla festa di Atreju, l’annuale manifestazione della destra giovanile, che quest’anno si svolge presso Castel Sant’Angelo a Roma. L’accordo di Tirana e la tendenza, non solo italiana, a controllare i flussi migratori fuori dai confini europei rappresenta l’epilogo di una lunga storia di accoglienza, passata attraverso fasi differenti.
A fronte del crescere progressivo del numero di migranti e richiedenti asilo sono seguite risposte legislative sempre più restrittive.
Mentre l’accoglienza è stata organizzata dagli apparati dello Stato non senza confusione di funzioni (e perfino di nomi) delle strutture ricettive sul territorio. Singolarmente, la lunga storia italiana dell’accoglienza, presenta oggi una sorta di andatura circolare: tutto è iniziato con lo sbarco dei primi profughi albanesi approdati sulle coste della Puglia negli anni Novanta. Nella giornata internazionale delle migrazioni, mettiamo a fuoco la questione attraverso dieci domande e risposte.
Accoglienza dei migranti in Italia: Q&A
Da quando le persone non possono viaggiare liberamente verso l’Italia?
A lungo un Paese di forte emigrazione – e solo a partire dagli anni ’70 si sono visti i primi segni in senso contrario – l’Italia ha inizialmente praticato una politica migratoria definita delle “porte aperte”. La tendenza si è invertita negli anni ’90, a partire dagli sbarchi dall’Albania. La legge Turco-Napolitano (1998) prima e Bossi-Fini (2002) poi tracciano un quadro regolatorio di tipo restrittivo sia riguardo l’accoglienza che il diritto di cittadinanza.
Come funzione l’accoglienza in Italia?
Il sistema è molto complesso e le sue articolazioni sono state modificate più volte negli anni. Schematizzando, si potrebbe dire che esso si divide in Prima e Seconda accoglienza. La Prima accoglienza avviene in centri collettivi (hotspot), dove i migranti vengono identificati, ricevono cure sanitarie e possono accedere alla protezione internazionale. Chi fa domanda di asilo viene trasferito nei Centri di prima accoglienza (CPA), dove rimane teoricamente per 48h e comunque solo il tempo necessario per individuare i luoghi di ospitalità più a lungo termine. Chi non fa domanda di asilo è destinato ai Centri di permanenza e rimpatrio (CPR), istituiti con il Decreto Minniti (2017) per essere trattenuti, in teoria, massimo novanta giorni.
La Seconda accoglienza si basa sul Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) istituito con il decreto Lamorgese nel 2020. In Italia al momento sono attivi 4 hotspot (Lampedusa, Pozzallo, Messina, Taranto), nove Cpa (Bari, Brindisi, Isola Capo Rizzuto, Gradisca d’Isonzo, Udine, Manfredonia, Caltanissetta, Messina, Treviso) e nove Cpr (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Palazzo San Gervasio, Roma, Torino, Trapani).
Come sono cambiati i nomi delle strutture di accoglienza italiane?
Hotspot e CPR hanno sostituito i precedenti Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA), Centri di accoglienza (CDA) e Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA). Il SAI ha invece preso il posto del sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI), istituti con il Decreto Sicurezza del 2018, a che a sua volta rimpiazzava il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), rimasto in vigore dal 2002 al 2018. Altro acronimo è quello per il sistema di accoglienza straordinaria (CAS), istituto nel 2015 nel caso in cui fosse esaurita la disponibilità in altre strutture. Lo spiega così il sito della Fondazione Openpolis:«vale la pena sottolineare che negli anni sono state date indicazioni diverse e in parte contraddittorie su (i Cas) come dovessero essere strutturati. Da una parte si tendeva infatti ad omologare i servizi resi nei Cas a quelli dello Sprar per favorire il progressivo passaggio all’interno del sistema ordinario di protezione (…) mentre dall’altra, con il nuovo capitolato di gara (decreto del ministero dell’Interno 7 marzo 2017), si incentivava un modello basato sulle grandi strutture collettive opposto allo Sprar»”.
Come funziona l’accoglienza dei migranti a livello europeo?
L’Unione europea si è dotata di norme comuni soprattutto in seguito alle ondate migratorie seguite alle Primavere arabe del 2011. Lo ha fatto con il Regolamento di Dublino (2013), il cui criterio più controverso prevede che la “competenza sul migrante” sia del primo Stato Ue dove il migrante arriva. I Paesi esposti agli sbarchi nel mediterraneo, tra cui l’Italia, sono quelli che sono stati messi più sotto pressione. Per questo hanno ripetutamente provato a modificare il trattato di Dublino, appellandosi a meccanismi di solidarietà degli altri Paesi Ue, finora con scarsi risultati.
Cosa ha fatto l’Ue per gli sbarchi nel Mediterraneo?
Ha messo in campo diverse missioni navali per le operazioni di salvataggio dei migranti in mare coordinate dall’agenzia europea Frontex con sede a Varsavia. Inizialmente c’è stata Mare Nostrum (2013/14), poi rinominata Triton (dal 2014) e infine Themis (dal 2018), e parallelamente dal 2015 al 2020 Sophia: operazioni diverse nei tempi e nel mandato.
Da cosa fuggono i migranti?
A livello emergenziale, dalle guerre o dalla violenza, come nel caso della Siria (soprattutto diretti verso Germania e Austria), più recentemente dall’Ucraina e come potrebbe accadere presto di nuovo dal Medio Oriente. Fuggono dalle situazioni di diseguaglianza economica, conflitto sociale e instabilità politica endemiche in molte realtà fuori dall’Europa. Ma anche dalla crisi climatica che provoca sempre più spesso siccità e inondazioni e che rende sempre più difficile vivere in molti Paesi della fascia equatoriale, tropicale e in prospettiva anche di quella temperata in cui l’Italia stessa è collocata. L’Organizzazione mondiale delle migrazioni (OIM) stima che entro il 2050 saranno almeno 200 milioni i profughi per cause climatiche nel mondo.
La politica fa distinzione tra richiedenti asilo e rifugiati da un lato e migranti economici dall’altro. È possibile distinguere?
È molto difficile tracciare una linea di confine tra l’una e l’altra categoria. Spesso si tratta di definizioni orientate da una visione politica improntata o meno all’accoglienza o al respingimento. Certamente, un migrante può fare domanda d’asilo in un Paese Ue quando fugge da emergenze come quelle sopra descritte per chiedere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra (1951) che all’articolo 1 definisce rifugiato «chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato».
A che proposito si parla di Fortezza Europa?
Se ne parla in termini giornalistici per indicare l’atteggiamento di chiusura da parte dei Paesi europei nei confronti dei flussi migratori. Questo riguarda innanzitutto la temporanea sospensione del Trattato di libera circolazione (Schengen, 1985) ovvero le frontiere interne – come ha fatto recentemente l’Italia rispetto alla Slovenia. Ma anche una politica di protezione rispetto ai flussi migratori in arrivo verso l’Ue.
Si pensi soltanto all’accordo con la Turchia del 2016 che prevede contributi economici in cambio della gestione e il trattenimento dei migranti prima delle partenze verso i confini europei. Da parte sua, l’Italia ha firmato nel 2017 (governo Gentiloni) un memorandum con la Libia “per il contrasto all’immigrazione illegale… e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere” tra Libia e Italia. Infine, lo scorso luglio, l’Ue ha siglato un nuovo memorandum, questa volta con la Tunisia, che però al momento rimane inapplicato a causa delle critiche mosse da una delle parti, ovvero dal presidente tunisino Saied.
Esiste infine la tendenza di diversi Paesi Ue all’esternalizzazione delle procedure d’asilo. È quello che ha appena fatto l’Italia (vedi sotto) e in questi giorni se ne discute in particolare in Germania.
E l’accordo tra Italia e Albania?
È quello firmato lo scorso 6 novembre dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama. Si tratta di un protocollo d’intesa che prevede che i migranti soccorsi nel Mediterraneo dalle navi italiane saranno portati in due strutture gestite dall’Italia in territorio albanese, con tutti i problemi legali che ne derivano, i rischi di infrazione di norme europee e nazionali e di violazioni dei diritti umani a danno dei migranti. L’accordo prevede la costruzione di due centri, uno nei pressi del porto di Schegjin – 70 Km a nord di Tirana – e l’altro nel villaggio di Gjader. Nel primo centro si dovrebbero svolgere le procedure di sbarco, identificazione e prima accoglienza per i richiedenti asilo, mentre il secondo sarà simile ad un Cpr e ospiterà chi non ha i requisiti per la richiesta di asilo.
Quando sarà operativo?
Al momento non è chiaro. Il 13 dicembre, la Corte Costituzionale albanese ha sospeso la ratifica dell’accordo sull’immigrazione firmato con l’Italia. La Corte è stata a chiamata a decidere su due ricorsi presentati dai partiti di opposizione in cui si sostiene che l’accordo viola la costituzione e gli accordi internazionali a cui l’Albania aderisce. La sentenza è attesa entro tre mesi.
Saperenetwork è...
- Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.
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