Covid-19. L’Africa rischia la catastrofe
Il numero dei contagi nel continente è raddoppiato nel giro di pochi giorni. E l’epidemia rischia di diventare una catastrofe per un’area già messa a dura prova da instabilità politiche, cambiamenti climatici, emergenza idrica e sanitaria
Partiamo dai numeri, aggiornati al 9 aprile. I casi di contagio in Africa sono 11.400, raddoppiati in nove giorni, con quattro nazioni a guidare la classifica: Sud Africa (1.845), Algeria (1.572), Egitto (1.560) e Marocco (1.275). E dopo l’annuncio di un paziente anche in Sud Sudan, gli unici stati “coronavirus free” sono rimasti le Comore e il Lesotho. I morti sono 574. Sembrano pochi per un continente intero e sono già troppi. Inoltre, lo sappiamo, diventeranno esponenziali a breve.
Emergenza perenne
Insieme alle locuste e alla siccità, alle inondazioni, alle violazioni dei diritti, alle emergenze socio-politiche e sanitarie sempre presenti per l’Africa, il rischio è quello di una catastrofe dove a pagare il prezzo più caro saranno, ancora una volta, i più poveri. Perché le strutture sanitarie sono quel che sono e le frontiere chiuse impediscono di portare assistenza (nella Repubblica Centrafricana, il 70% dei servizi sanitari è sostenuto dalle organizzazioni umanitarie e non va troppo meglio in molti altri Stati). Perché l’emergenza medica qui più che altrove diventa emergenza economica e dunque sociale (i dati dell’Uneca dicono che l’Africa dimezzerà il suo Pil a causa del Covid-19). Perché per milioni di persone il lockdown significa non riuscire a portare a casa la cena. Dunque: «È meglio morire di fame oggi o di coronavirus domani?» è la domanda difficile di queste settimane.
Guarda il video sull’instabilità della Repubblica centrafricana
I vaccini, le sperimentazioni e l’ombra del razzismo
E non aiutano le dichiarazioni a dir poco incaute di qualche giorno fa di Jean Paul Mira, capo del Servizio di rianimazione dell’ospedale Cochin di Parigi sull’eventualità di trattare il Covid-19 in Africa con un’iniezione del vaccino già in uso contro la tubercolosi. Le reazioni non si sono fatte attendere: 80mila utenti hanno protestato via Twitter, capitanati da due leggende del calcio come Didier Drogba e Samuel Eto’o. In 26mila hanno firmato la petizione di Change.org. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ex Ministro della Sanità etiope, ha parlato di proposta “vergognosa e spaventosa”, vero “residuo della mentalità coloniale”.
#Coronavirus Furia Drogba ed Eto’o: “Gli africani non sono cavie”. Protesta degli ex campioni contro l’idea di sperimentare i vaccini in Africa #COVID19Pandemic #ANSA https://t.co/Pzr8aiNqnI
— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) April 3, 2020
Il Club des Avocats au Maroc ha annunciato di voler denunciare Jean-Paul Mira per diffamazione razziale. Anche se i francesi hanno corretto il tiro e presentato imbarazzate scuse, il clamore suscitato dalla vicenda offre due motivi di riflessioni. Uno è il sentore razzista sotto traccia, velato eppur vitale, pronto a tornare in scena in momenti particolarmente gravi come quello attuale, che in Africa ha autorizzato sperimentazioni aberranti, come testimonia un articolo appena pubblicato da Voci Globali.
Un’ulteriore iniezione di fragilità
L’altro è il rischio che la polemica offuschi il vero tema, ovvero l’impatto, l’emergenza e i rischi della pandemia da Covid-19 nel continente africano. Se il virus travolge l’economia del “primo mondo”, ne mette a repentaglio le strutture ospedaliere e la tenuta sociale, cosa può accadere in Africa? Se “qui” viaggiamo sul crinale pericolosissimo della deriva autoritaria e accettiamo limitazioni alla privacy e politiche illiberali come unico rimedio alla paura, cosa può accadere alle democrazie fragili e ai regimi autoritari di tanti stati africani? Un primo tentativo di panorama globale è stata la videoconferenza organizzata qualche giorno fa dalla rivista Africa, con collegamenti da diversi stati e alcuni approfondimenti sul fronte economico e medico. Tra questi l’intervento di Vittorio Colizzi, immunologo dell’Università di Roma Tor Vergata che sulla questione “vaccini razzisti” è stato perentorio:
«L’industria svilupperà il vaccino in Europa, Usa e Cina per testarlo prevalentemente sulle nostre popolazioni, altrimenti i vari istituti del farmaco europeo, cinese o americano non li approveranno e non si potranno somministrare. Sarà piuttosto l’Africa a chiedercelo, come è stato per Ebola e la crisi del Congo terminata poco fa».
Continente frammentato
Ma cosa vive dietro le cifre del contagio? Una situazione polarizzata, sullo sfondo drammaticamente eterogeneo della povertà, dell’assoluta insufficienza di personale specializzato e di posti letto, per non parlare delle postazioni di terapia intensiva (non più di dieci nella maggior parte degli ospedali africani). E ancora, dei pochissimi laboratori in grado di effettuare i test (erano solo sette lo scorso febbraio) e di una co-morbilità pericolosissima (l’Hiv/Aids, la turbercolosi che è ancora la seconda causa di morte, la malaria, le infezioni respiratorie e intestinali, la febbre di Lassa… ) senza contare le scarse condizioni igieniche.
#COVID19
An officer in South Africa fires rubber bullets to impose a lockdown in the township of Alexandra on Tuesday.but is there “odechi’ (african bullet proof) against rubber bullet?
Photo: REUTERS pic.twitter.com/aGasghYbqv
— Temi-Tope (@MaMoTeE_Elijah) April 4, 2020
Nel continente dei contrasti, il Covid 19 rafforza le spaccature. Quella tra ricchi e poveri, innanzi tutto, con questo virus che è arrivato portato dai benestanti, i businessmen e i turisti europei che possono viaggiare, mentre il resto della popolazione combatte per sopravvivere. Così le township nere del Sudafrica sono circondate dall’esercito in tenuta da guerra e a Nairobi sono già aumentate le rapine alle ville di quel 30% della popolazione che può permettersi di stare in quarantena mentre gli altri si arrabattano, nei mercati superaffollati, naturalmente senz’acqua corrente.
Quella tra le metropoli e le aree rurali, dove è ancora più difficile verificare la situazione e dove sarà difficilissimo poter curare chi si ammalerà; e quella tra paura e inconsapevolezza, spesso espressione (ancora una volta) di appartenenza socio-culturale. E poi le differenze tra Stato e Stato: al Cairo, nonostante l’Egitto sia stato il primo paese a denunciare il contagio, i mezzi pubblici sono frequentatissimi e tutto il settore privato è alacremente al lavoro, mentre Harare, è deserta e in tutto lo Zimbabwe regna un clima di timor panico.
Saperenetwork è...
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Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.
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