Endurance, storia di una nave ritrovata
Il suo nome tradotto in italiano significa “resistenza”. Così si chiamava la nave portata all’estremo Sud dall’esploratore britannico Sir Ernest Shackleton agli inizi del ‘900. E in effetti ha resistito. Inabissata per oltre cento anni nel Mare di Weddell, la nave leggendaria è stata ritrovata da una spedizione di ricerca lo scorso 5 marzo
La spedizione era partita agli inizi di febbraio, grazie a un finanziamento del Falklands Maritime Heritage Trust, il fondo britannico per la conservazione della storia marittima delle isole Falkland. L’obiettivo: localizzare e filmare il relitto dell’Endurance, la nave affondata nell’antartico il 21 novembre 1915, durante l’esplorazione guidata dal britannico Ernest Shackleton.
Immagini dagli abissi
A bordo della S. A. Agulhas II, una delle più grandi e moderne navi di ricerca polare al mondo, oltre a esploratori e archeologi, c’erano fisici, ingegneri e oceanografi impegnati nella raccolta di dati meteorologici e sulla copertura del ghiaccio. Per circa un mese la nave ha navigato nelle acque gelide del Mare di Weddell facendosi largo fra i blocchi di ghiaccio, mentre due veicoli subacquei ibridi, governabili da remoto e al tempo stesso capaci di muoversi autonomamente, scandagliavano il fondale creando modelli tridimensionali di tutto ciò che incontravano. E alla fine, lo scorso 9 marzo, l’hanno trovata. Adagiata a 3008 metri di profondità, l’Endurance aspettava solo di essere riscoperta.
«La spedizione ha raggiunto il suo obiettivo. Abbiamo fatto la storia polare e completato con successo una delle più impegnative ricerche di relitti al mondo», racconta entusiasta John Shears, comandante della spedizione, annunciando il ritrovamento.
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Le prime immagini raccontano di una nave, un veliero a tre alberi di oltre 40 metri, che pur mostrando le ferite del naufragio si è perfettamente conservata nelle acque gelide. «Il più bel relitto in legno che abbia mai visto. È eretto, fiero sul fondo del mare, intatto e in un ottimo stato di conservazione», sottolinea Mensun Bound, direttore della spedizione. A poppa, in lettere dorate, la scritta Endurance è rimasta la stessa di cento anni fa. La scoperta rappresenta una pietra miliare nella storia polare, ma per i suoi autori non si tratta solo di passato:
«Stiamo portando la storia dell’Endurance e di Shackleton a un nuovo pubblico e alle prossime generazioni» dicono.
Sfida all’antartico
«Cercasi equipaggio per viaggio pericoloso. Paga misera. Freddo intenso. Lunghi mesi di oscurità totale. Ritorno non garantito. In caso di successo: fama e onore». Così nella primavera del 1914 il celebre esploratore britannico Ernest Henry Shackleton reclutava l’equipaggio. L’obiettivo era di realizzare la prima traversata del continente antartico, dal Mare di Weddell fino al Mare di Ross, passando per il Polo Sud. Il 9 agosto del 1914, dal porto di Plymouth nel Regno Unito, 28 uomini partirono in direzione dell’Antartide e, proprio come la missione di ricerca del relitto, il viaggio dell’Endurance inseguiva importanti obiettivi scientifici. Fra i membri dell’equipaggio vi erano infatti un biologo, un geologo e un fisico. Come era usanza per le spedizioni dell’epoca, Shackleton portò con sé anche un artista e un fotografo, il giovane Frank Hurley, che riprese e immortalò i momenti più significativi del viaggio.
Le lastre fotografiche negative, tenacemente protette dal fotografo, vengono oggi custodite alla Royal Geographical Society di Londra e sono fra le poche cose dell’Endurance a essersi salvate.
Giunta nel Mare di Weddell agli inizi di dicembre, la spedizione si arrestò il 18 gennaio del 1915, quando l’Endurance rimase bloccata nel ghiaccio della banchisa. Impossibilitato a proseguire il suo viaggio, Shackleton aspettò per dieci mesi l’arrivo della primavera antartica accampato intorno alla nave, che intanto era diventata un tutt’uno con il paesaggio polare. Aspettò fino alla fine di ottobre, quando ormai gravemente danneggiata dalla pressione del ghiaccio che ne stava stritolando la poppa, ordinò di abbandonare la nave. In quei giorni l’esploratore scrisse nel suo diario:
«Siamo costretti ad abbandonare la nave, che è schiacciata oltre ogni speranza di essere raddrizzata. Il compito ora è quello di raggiungere la terra con tutti i membri della spedizione».
Il 21 novembre del 1915 la nave si spezzò, inabissandosi nel Mare di Weddell.
Salvataggio miracoloso
Finì così, almeno fino ad oggi, la storia dell’Endurance e ne iniziò una nuova. Quella del suo capitano e del viaggio per portare in salvo l’equipaggio. Shackleton e i suoi uomini, con poche scorte e trascinando alcune scialuppe, attraversarono il ghiaccio marino per arrivare al mare aperto e da lì raggiungere Elephant Island, una piccola e gelida isola al largo delle coste antartiche. Dall’isola, completamente disabitata, il capitano e cinque uomini scelti partirono in direzione della Georgia del Sud per lanciare l’allarme e avviare i soccorsi.
Un viaggio di oltre 1.300 km a bordo di una scialuppa di appena sette metri, attraverso acque gelide e in balia dei Cinquanta urlanti, i forti venti che soffiano lungo il 50° parallelo dell’emisfero meridionale.
Lanciato l’allarme, le operazioni di salvataggio impiegarono diversi mesi e vari tentativi per vincere il ghiaccio marino e raggiungere il resto dell’equipaggio, rimasto in attesa allo stremo delle forze su Elephant Island. Finalmente, il 30 agosto del 1916, a due anni dalla partenza dell’Endurance, tutti i membri della spedizione furono tratti in salvo.
Raccontato in diversi libri, come Sud. La spedizione dell’Endurance, opera dello stesso Shackleton edita per l’Italia da Nutrimenti (2009) o Endurance: l’incredibile viaggio di Shackleton al Polo Sud di Alfred Lansing (2003), soggetto di diversi documentari e lungometraggi, il viaggio di Shackleton e dei suoi uomini rimane uno dei più incredibili della storia polare.
E la storia dell’Endurance invece continuerà sul fondale del Mare di Weddell, protetta come Sito Storico e Monumento del Trattato Antartico.
Saperenetwork è...
- Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare
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