Monitoraggio Covid-19 e privacy. L’intervento di Ieva Ilves sul Guardian

Ieva Ilves, consulente del presidente della Lettonia per l'informazione e la politica digitale

Monitoraggio Covid-19 e privacy. L’intervento di Ieva Ilves sul Guardian

I governi europei hanno scelto di combattere il coronavirus con il supporto delle società tecnologiche. Quali sono i rischi reali per i cittadini? Lo spiega la consulente del presidente della Lettonia per l’informazione e la politica digitale

La Lettonia ha registrato un tasso molto basso di mortalità da Covid-19. Questo risultato, secondo gli esperti, è dovuto al tracciamento aggressivo dei contatti, che all’inizio della diffusione della pandemia è avvenuto manualmente. Ieva Ilves, consulente del presidente della Lettonia per l’informazione e la politica digitale, con un intervento sul giornale britannico The Guardian, ha però spiegato che quando si è cercato di sfruttare la tecnologia per ridurre il carico di lavoro, sono emerse delle criticità importanti.

«In qualità di membro del team che ha creato la nostra app di tracciamento dei contatti — ha detto Ieva Ilve — rappresento il governo lettone nelle discussioni con Apple e Google.  Durante i negoziati ho capito che gran parte della discussione pubblica sulla ricerca dei contatti è stata semplificata, con importanti implicazioni per la nostra salute e per le istituzioni sanitarie che combattono il virus».

 

 

Si è aperto un dibattito sulla privacy, in particolare sulle modalità di archiviazione dei dati. E di come i governi li gestiscono. Si parla infatti di conflitto tra archiviazione centralizzata e archiviazione decentralizzata. Per l’esperta di politica digitale, questo è un dibattito sbagliato, generato da una concezione errata del termine “centralizzato”.

Molte persone pensano  che il governo sia collegato ad un server che racchiude tutti i contatti e le interazioni tra gli utenti delle app. Ma in realtà non è così. Ciò che chiedono i governi è una applicazione capace di compiere le stesse attività di monitoraggio che le autorità di salute pubblica compiono in modo analogico: tracciare i contatti tra individui infetti e le persone con cui entrano in contatto.

Per la tutela dell’identità delle persone «i dati raccolti e utilizzati per un periodo limitato dall’organismo nazionale di controllo delle malattie in un paese democratico non devono essere condivisi con le forze dell’ordine o venduti a un inserzionista di terze parti, come accade per tutti i dati raccolti manualmente».  Il vero problema è sapere chi decide cosa possono fare con una app gli esperti di salute pubblica. Attualmente Google e Apple hanno realizzato una interfaccia di programmazione delle applicazioni (Api) e hanno fissato i presupposti per accedere al framework di tracciamento dei contatti. Ha chiarito Ieva Ilves:

«Le società tecnologiche consentiranno solo un’app per paese, approvata dal suo governo o dalla sua autorità sanitaria nazionale, ma non consentiranno all’autorità di controllo nazionale  delle malattie  di collegare i punti che sono fondamentali per l’analisi dei dati».

Possiamo affermare che Google e Apple stabiliscono cosa possono avere i governi o le istituzioni sanitarie sulle applicazioni,  senza conoscere la natura del contatto. E pertanto risulterà difficile ricostruire la diffusione del virus. L’assenza di dati di trasmissione limita  la portata dell’analisi. In futuro, infatti, si potrebbero concedere libertà alle persone. Consentendo loro di lavorare, viaggiare e socializzare. E in questo modo si rischia di diffondere il virus.

 

Guarda la campagna di comunicazione per la app Immuni 

 

Inoltre non possiamo essere sicuri che qualcuno si metterà in quarantena per due settimane dopo una semplice notifica. Soprattutto se i test per il controllo non vengono pagati dal governo e se c’è in gioco il posto di lavoro.  Ha concluso Ieva Ilves: «L’obiettivo immediato per i governi e le società tecnologiche è di trovare il giusto equilibrio tra privacy e efficacia di un’applicazione per limitare la diffusione del Covid-19». Ma  la pandemia ci ha posto una domanda fondamentale:

fino a che punto le società tecnologiche possono condizionare le decisioni dei governi democratici?

Saperenetwork è...

Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

Sapereambiente

Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!


Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella di posta per confermare l'iscrizione

 Privacy policy


Parliamone ;-)