Nel libero mondo degli schiavi moderni
L’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite lancia l’allarme con l’ultimo rapporto. Cinquanta milioni di sfruttati, dieci milioni in più dal 2016. A rischio migranti, minoranze, donne, bambini. Unico antidoto: rafforzare la protezione sociale
L’antitesi della giustizia sociale, ma anche dello sviluppo sostenibile è sotto i nostri occhi anche quando non la riconosciamo o facciamo finta di non vederla. Si chiama schiavitù, ancora, e non ce ne siamo affatto liberati. Anzi. Secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) delle Nazioni Unite, nel solo 2021 ogni giorno ci sono stati 50 milioni di persone costrette a lavorare contro la loro volontà e a sposarsi forzatamente.
Si legge nel Global Estimates of Modern Slavery che dal 2016 ci sono 10 milioni di nuovi schiavi in più, per un totale di 46,9 milioni, di cui il 54% sono donne. La pandemia e la crisi climatica sono tra le maggiori cause di peggioramento della situazione.
Fondamentalmente il rapporto individua due macro gruppi: il primo è formato da circa 27,6 milioni di persone costrette a lavori forzati, pericolosi, degradanti, sottopagati o addirittura non pagati. Del secondo gruppo fanno parte i circa 22 milioni di donne costrette ai matrimoni forzati.
Presente in quasi tutti i Paesi (inclusi quelli del ricco Occidente, e d’altra parte si pensi alla prostituzione…) questa umanità disperata è fatta di gruppi minoritari, emarginati, migranti, donne e minori. Gli schiavi moderni sono invisibili. Basti pensare al caporalato nelle nostre campagne. Ma anche all’ancora più terribile prostituzione dei minori migranti non accompagnati, spesso forzata se non materialmente dalle condizioni di totale indigenza e solitudine. I migranti hanno ovviamente una probabilità tripla di essere schiavizzati, in quanto privi di documenti validi e quindi di diritti di cittadinanza. Invisibili, appunto.
E d’altra parte, da dove e perché migrano queste persone, se non per e da guerre, conflitti decennali di cui non sappiamo quasi nulla, e stravolgimenti climatici che negli ultimi anni hanno devastato intere parti del mondo?
«Una realtà sconvolgente», la definisce Guy Ryder, il direttore generale dell’Ilo. «Nulla può giustificare la persistenza di questo abuso fondamentale dei diritti umani».
Leggendo il rapporto, si scopre che: «L’86% dei casi si riscontra nel settore privato, mentre i casi compresi in settori diversi dallo sfruttamento sessuale commerciale rappresentano il 63% del totale. Lo sfruttamento sessuale commerciale, invece, rappresenta il 23% di tutto il lavoro forzato e quasi quattro su cinque delle persone sfruttate sessualmente sono donne o ragazze».
Il nostro opulento Occidente è pieno di casi di neo schiavi (un capitolo a parte meriterebbe la questione di chi, migranti o non, lavora per le multinazionali delle consegne a domicilio, o per colossi come Amazon etc.): il rapporto mette in luce che più della metà (52%) del lavoro forzato e un quarto di tutti i matrimoni forzati si concentrano nei paesi a reddito alto o medio-alto. «L’86% dei casi si riscontra nel settore privato – spiega lo studio – mentre i casi compresi in settori diversi dallo sfruttamento sessuale commerciale rappresentano il 63% del totale. Lo sfruttamento sessuale commerciale, invece, rappresenta il 23% di tutto il lavoro forzato e quasi quattro su cinque delle persone sfruttate sessualmente sono donne o ragazze».
Guarda il video dell’Ilo
Per quanto riguarda i matrimoni forzati, è quasi certo che l’incidenza reale del fenomeno sia ben più alta di quella messa in evidenza dal rapporto, così come dalle statistiche in generale, soprattutto per quanto riguarda i minori di 16 anni, altri invisibili, in quanto privi della possibilità di esprimere un consenso legale.
I numeri fanno paura: oltre l’85% dei matrimoni forzati sono determinati da pressioni famigliari, con i due terzi dei casi che si verificano in Asia e nel Pacifico. Ma anche negli stati arabi, con percentuali molto alte.
Le raccomandazioni presenti nel rapporto seguono le norme del buon senso e dell’etica: migliorare l’applicazione delle leggi e delle ispezioni del lavoro, porre fine al lavoro forzato imposto dallo Stato, estendere la protezione sociale e rafforzare le tutele legali, compreso l’innalzamento dell’età legale del matrimonio a 18 anni senza eccezioni. Favorire un maggiore sostegno alle donne, alle ragazze e alle persone maggiormente vulnerabili.
Facile a dirsi? Probabilmente molto meno difficile a farsi di quel che siamo abituati pigramente a pensare. «Sappiamo cosa bisogna fare e sappiamo che si può fare», continua Guy Ryder.
«Politiche e normative nazionali sono fondamentali. Ma i governi non possono fare da soli. Le norme internazionali forniscono una base solida ed è necessario un approccio che coinvolga tutti. I sindacati, le organizzazioni dei datori di lavoro, la società civile e la gente comune: hanno tutti un ruolo fondamentale». Una chiamata alle armi per la società civile, in un momento storico oscuro.
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Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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