Bruxelles vuole proteggere i giornalisti, i governi nazionali un po’ meno
Il Media Freedom Act propone regole per fermare i condizionamenti editoriali e le ingerenze governative su stampa e tv. Stop anche all’uso degli spyware per tutelare la libertà dei giornalisti. Ma alcuni governi si mettono di traverso
All’inizio di un anno che porta dritti alle elezioni del 9 giugno 2024, i legislatori europei continuano ad occuparsi del tema della libertà e indipendenza dell’informazione e della protezione dei giornalisti. Eppure, sull’iter di una legge così importante, proposta dalla Commissione e resa ancora più stringente dal Parlamento, rischia di calare la spada di Damocle del Consiglio, espressione dei 27 Paesi Ue e “seconda Camera” di fatto della complessa macchina legislativa europea.
Il Media Freedom Act
Lo scorso 7 settembre, la Commissione Cultura del Parlamento Ue ha approvato un testo che vieta ogni forma di pressione o interferenza nei confronti dei giornalisti. Nello specifico, le norme mirano a tutelare l’indipendenza dei giornalisti, proibiscono che si possano forzare i cronisti a rivelare le fonti delle notizie, vietando anche di entrare nel loro dispositivi elettronici attraverso software di spionaggio. L’uso dei software spia sarebbe consentito, ma solo in via eccezionale e se ordinato dall’autorità giudiziaria in funzioni anti-terrorismo. Altri importanti passaggi previsti dalla legge riguardano l’imparzialità dei canali radio-televisivi pubblici e la loro indipendenza da governi, come anche la trasparenza che obbliga i proprietari dei media a rivelare le fonti di finanziamento, in modo da rendere visibili i possibili conflitti di interesse. A garanzia del rispetto delle regole, sarebbe istituito un board indipendente, composto dall’insieme degli enti regolatori nazionali, a cui si dovrebbe affiancare – nella proposta avanzata dal Parlamento – un gruppo di esperti indipendenti del settore media.
Lottizzazione, concentrazione, spyware
Il tema della concentrazione degli organi di stampa e del conflitto di interesse nel settore privato evocano – solo restando al panorama italiano e solo per limitarsi all’esempio più noto – quello che è stato il caso Mediaset-Berlusconi. I rischi del controllo politico dell’emittente pubblica sono sempre visibili con la lottizzazione Rai. Ma oltre all’Italia, in Europa minacce all’indipendenza dei giornalisti e dei media non mancano di certo. Il caso degli spyware installati nei telefoni di giornalisti – e non solo – di alcuni Paesi europei, tra cui Spagna, Francia, Polonia e Ungheria era stato sollevato nel 2021 a partire da un’inchiesta giornalistica pubblicata dal consorzio di giornalismo investigativo Forbidden Stories. Particolarmente grave il caso dell’Ungheria, dove Pegasus – questo il nome dello spyware di fabbricazione israeliana – sarebbe stato usato dal governo Orbàn per prendere di mira centinaia di telefoni appartenenti ad oppositori politici, editori e giornalisti. Pochi mesi dopo le rivelazioni, è emerso da un’altra inchiesta giornalistica come anche il premier polacco Marawiecki avrebbe usato fondi pubblici per utilizzare Pegasus contro gli oppositori. Infine in Grecia un altro spyware, di nome Predator, sarebbe servito per mettere sotto controllo un eurodeputato ed alcuni giornalisti.
Un regolamento che fa paura agli editori
Gl scandali hanno rappresentato l’occasione, per la Commissione, di avanzare nel giugno 2022 la proposta legislativa adesso al vaglio dell’Eurocamera. Ma bisogna tener presente che il Media Freedom Act, di cui stiamo parlando è non una direttiva, ovvero un provvedimento che ha bisogno dell’approvazione dei parlamenti nazionali per entrare effettivamente in vigore, bensì un regolamento. Questo significa che la norma, una volta licenziata da Bruxelles, diventa effettiva in ognuno dei 27 Paesi dell’Unione – compresa l’Italia, ovviamente. Ecco perché non mancano le pressioni per depotenziarla, a partire da quella delle associazioni dii categoria – come quella degli editori – che lamentano un eccesso di regolazione, ma che al momento non sembrano aver sortito effetti.
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La reazione dei singoli Stati
Più insidiose, invece, le azioni messe in atto da parte di alcuni Stati. La Germania ha ad esempio obiettato che un ente regolatorio sovrannazionale va a ledere una competenza nazionale, in questo caso attribuita ai singoli Laender della federazione. Ungheria e Polonia si sono espresse in senso contrario, in Consiglio, in evidente dissenso sul divieto di spyware. E poi c’è l’Italia, con il governo Meloni che secondo quanto rivelato dal Fatto Quotidiano, sarebbe pronta a sostenere, in sede di negoziato per la finalizzazione della legge, modifiche “suggerite” dal gruppo Mediaset con lo scopo di limitare la concorrenza da parte delle piattaforme digitali.
Ue e indipendenza editoriale
È vero che il Parlamento può dirsi soddisfatto, per ora. «Il Media Freedom Act mira a stabilire un’ampia varietà, libertà ed indipendenza editoriale per ii media europei. La libertà di stampa corre seri percoli in diversi Paesi dell’Ue, ragion per cui abbiamo rafforzato la proposta della Commissione per salvaguardare l’indipendenza dei media e proteggere i giornalisti», ha affermato dopo il voto favorevole la relatrice del provvedimento, la popolare tedesca Sabine Verheyen. Parole che suonano comunque in continuità con le intenzioni della Commissione Von der Leyen. Quanto alla volontà dei governi – e alle possibili nuove insidie per il Media Fredom Act – se ne riparlerà quando inizieranno i negoziati inter-istituzionali con il Consiglio. Non prima, però, che l’Eurocamera avrà dato il via libera definitivo, con il verdetto previsto a Strasburgo nella prossima sessione plenaria di inizio ottobre.
Saperenetwork è...
- Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.
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