Inquinamento: la Corte Ue, l’Italia e quell’aria “violata”
La corte di giustizia europea il 12 maggio ha condannato l’Italia per la violazione «sistematica e continuativa» del limite di NO2 (biossido di azoto). Solo diciotto mesi fa una sentenza molto simile ha interessato le concentrazioni di PM10 nella penisola
Pochi giorni fa, nell’ambito di una procedura di infrazione iniziata tre anni fa per il superamento dei limiti di biossido di azoto, la Corte di giustizia Ue ha accolto il ricorso della Commissione europea e ha condannato l’Italia. I valori (trasgrediti) degli inquinanti atmosferici sono indicati nella Direttiva 2008/50, “relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”.
Sulla base di tale direttiva l’Italia negli anni scorsi è incorsa in tre procedure d’infrazione per eccesso di PM10, PM 2,5 e NO2. Per il biossido di azoto di cui si occupa quest’ultima sentenza, gli alti livelli sono stati rilevati nelle zone urbane di Milano, Bergamo, Brescia, Torino, Firenze, Roma, Genova e Catania, in aree industriali e nella pianura padana.
Le sanzioni relative al superamento del limite del biossido di azoto interessano ben diciannove paesi europei. L’iter prevede come primo step la messa in mora da parte della Commissione per la violazione della Direttiva (mancato rispetto dei valori limite). A seguito delle risposte ricevute dal paese messo in mora, la Commissione può emettere un parere motivato in cui propone il ricorso alla Corte di Giustizia, che lo accoglie o meno arrivando alla sentenza finale.
Nella sentenza di giovedì scorso, così come in quella relativa alla concentrazione di PM10 del novembre 2020, pesano le espressioni che mettono a fuoco le motivazioni della condanna. La violazione «sistematica e continuativa» dei limiti e la «non adozione di misure appropriate» sia «per garantire il rispetto dei valori limite» sia «affinché il periodo di superamento di detto valore limite fosse il più breve possibile».
Risulta evidente che la gestione dell’inquinamento dell’aria, e potremmo dire in generale delle questioni ambientali, richiede un cambio di approccio radicale e strutturale, come ha commentato il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti: «Invece di prendere decisioni efficaci e strutturali per arginare il problema in maniera trasversale e integrata, il nostro Paese continua a perdere questa partita, sia in termini di vite umane che dal punto di vista economico»
Nonostante l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) sottolinei negli ultimi report un miglioramento graduale e generale della qualità dell’aria (nel lungo periodo), attualmente i costi sociali e sanitari dell’inquinamento atmosferico sono alti. In Italia 64mila morti premature solo nel 2019 secondo la stessa EEA, e circa 90mila l’anno, invece, secondo la stima della Società italiana di medicina ambientale (Sima) riportata da Zampetti:
«Punta dell’iceberg del problema sanitario connesso con l’inquinamento atmosferico. Da un punto di vista economico, parliamo di diverse decine di miliardi all’anno (stimate tra i 47 e i 142 miliardi di euro/anno) tra spese sanitarie e giornate di lavoro perse».
Intanto lo scorso settembre l’Organizzazione mondiale della sanità ha rivisto al ribasso i valori degli inquinanti atmosferici, rispetto a quelli stabiliti dalla Commissione europea. A sottolineare l’urgenza di concrete inversioni di rotta nel modello di produzione, di vita e di consumo, anche in Italia.
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