Respinti dall’Algeria, bloccati in Niger. Il dramma di migliaia di migranti che non vogliamo vedere

Dallo scorso gennaio, circa 4.000 africani sub sahariani cacciati dall'Algeria sono arrivati a piedi ad Assamaka, città nella regione di Agadez in mezzo al deserto

Ad Assamaka, nella regione desertica di Agadez, nel cuore del Niger, le temperature possono raggiungere anche i 48 gradi centigradi. È qui, nel Sahel martoriato da siccità e conflitti, che migliaia di migranti espulsi dall’Algeria sono bloccati dai primi di gennaio. Secondo Medici Senza Frontiere, sarebbero circa 4.600 le persone arrivate a piedi dallo stato del Nord Africa, che ormai da anni respinge e deporta persone nigeriane e di altre nazionalità africane, prevalentemente sub-sahariane. L’Algeria è mastino da guardia d’Europa contro le migrazioni, come la Libia, come la Tunisia di Saied, dove proprio in questi giorni si susseguono episodi di aggressione e violenza ai danni degli africani sub sahariani, colpevoli, secondo la propaganda del governo centrale sempre più in crisi economica e di consenso, di tramare per portare una “sostituzione etnica” ai danni delle popolazioni di etnia araba. Un leit motiv che dalle nostre parti conosciamo, caro alle destre xenofobe europee, captato abilmente da Saied nel momento di maggiore bisogno.

Il Niger, porta blindata del deserto

Tornando al Niger, afflitto tra l’altro da un’epidemia di difterite, sempre secondo Medici Senza Frontiere meno del 15% dei migranti ammassati ad Assamaka ha potuto beneficiare di riparo o protezione all’arrivo al centro di transito della città. Motivo per cui l’organizzazione ha chiesto attraverso un comunicato alla Comunità Economic degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) e di assumersi le proprie responsabilità per aiutare le persone che desiderano tornare nel proprio paese d’origine. Il Centro sanitario integrato (Csi) di Assamaka, sostenuto da Msf, è sopraffatto da migliaia di migranti che vi cercano rifugio. «La situazione è molto preoccupante», dice Schemssa Kimana, coordinatrice sul campo di Msf ad Agadez.

«Oggi il centro sanitario che sosteniamo ad Assamaka è stracolmo. La maggior parte delle persone arrivate di recente nella città si sono stabilite nel complesso sanitario perché non c’è spazio nel centro di transito».

Dai raid algerini al Punto Zero

Prima di giungere in Niger, gli africani vengono individuati tramite raid da parte delle autorità algerine, nei luoghi di lavoro, nelle loro abitazioni o in strada. Dai racconti dei migranti, durante questi raid vengono derubati, picchiati e stipati in camion che li riportano al confine con il Niger. Dopodiché vengono rilasciati nel mezzo del deserto in un punto chiamato Point 0, dal quale devono raggiungere il confine nigerino a piedi, nel deserto per oltre venti chilometri, senz’acqua né cibo. Chi riesce ad arrivare nel centro sanitario di Assamaka si ritrova a cercare riparo in ogni angolo della struttura: «Alcuni hanno montato tende di fortuna all’ingresso o nel cortile, altri si sono accampati davanti al reparto maternità, sul tetto o nell’area destinata ai rifiuti», si legge sul comunicato di Msf.
Jamal Mrrouch, Capomissione di Msf in Niger lancia l’allarme:

«Come organizzazione medico-umanitaria, è nostro dovere portare l’attenzione su questa grave mancanza di assistenza e sui rischi per la salute di queste persone, compresi i bambini, completamente abbandonate nel deserto di Assamaka in condizioni di estrema insicurezza».

Il Sahel, tra stravolgimenti climatici, migrazioni e conflitti

Lo stallo dei migranti in Niger, è l’ennesimo segnale d’allarme per una regione, quella del Sahel, divenuta ormai una polveriera. Da almeno un decennio, dal periodo delle rivoluzioni arabe del 2011/2012, la zona endemicamente arida che si estende per migliaia di chilometri lungo il confine meridionale del Sahara,  è in mano a bande di uomini armati che sfruttano le tensioni etniche, la povertà e la debolezza dei governi. Il cosiddetto jihad rurale e i mercenari russi della Wagner si sono fatti strada con la forza tra le popolazioni locali, dedite alla pastorizia e all’agricoltura, dopo le morìe di bestiame e raccolti causate dagli stravolgimenti climatici degli ultimi anni. Non bisogna mai smettere di ricordare il nesso particolarmente forte in Africa tra terrorismo, conflitti, migrazioni e disastri ambientali. Il Continente paga il prezzo più alto per la crisi climatica che non ha causato, essendo responsabile solo per il 3,5% delle emissioni globali. Le temperature aumentano a un ritmo più veloce della media globale, e la situazione è aggravata da tre anni di pandemia e dalla guerra in Ucraina, a causa della quale i prezzi degli alimenti sono aumentati o triplicati. Le politiche migratorie europee, che si tratti dei naufragi sulle coste di Cutro o dei 48 gradi centigradi di Agadez, stanno facendo il resto.

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Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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