Terry Hall e lo ska che faceva politica

Gli Specials in concerto dopo una delle ultime reunion

«Adoro dannatamente avere 60 anni. Ho sempre pensato che la mia musica migliore l’avrei fatta tra i 60 e i 70 anni». Aveva detto così, in una recente intervista Terry Hall, frontman degli Specials. Un pronostico che non si è avverato, almeno non del tutto, dato che Hall è morto a soli 63 anni pochi giorni fa per una breve malattia (non specificata, ma che molto probabilmente lo ha colpito al pancreas senza pietà), come si legge sui canali social del gruppo. Se ne va, con Hall, non solo uno dei protagonisti delle scena britannica degli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80, punk o post punk, comunque la si voglia chiamare. Scompare anche una figura “speciale”, nel vero senso della parola. Un uomo dall’espressione enigmatica, poco incline al sorriso, forse per l’infanzia a dir poco drammatica che non era mai del tutto riuscito a lasciarsi alle spalle, forse perché come dicevano voci di corridoio, affetto da una strana patologia che impediva ai suoi muscoli facciali di contrarsi.

 

 

 

Tra ska, punk e antirazzismo

A lui e alla storica band che ha capeggiato, giovanissimo,  si deve la fortuna dello ska, anzi, la sua rinascita sotto forma di 2 Tone ska, come si chiamò questo strano miscuglio interrazziale, suonato da giovani, per lo più proletari e arrabbiati, bianchi e neri, che mescolavano il ritmo dello ska giamaicano approdato in Gran Bretagna con le migrazioni post coloniali degli anni ’60 alla genuina rudezza del primo punk. Nascono nel 1977, infatti, gli Specials, grazie a Jerry Dammers, tastierista che volle fortemente il diciannovenne Terry Hall come cantante del gruppo. Sono quelli anni di impegno politico ma già segnati dalla disillusione, dallo sgretolarsi del sogno sessantottino, dall’inondazione massiccia delle droghe pesanti.  E se in paesi che vengono da dittature come Germania e Italia, è il periodo segnato dal piombo del terrorismo, nel regno di sua Maestà Elisabetta il 1977 è l’anno del Giubileo e dei Sex Pistols che lo celebrano a modo loro con God Save the Queen. È, il 1977, “the year punk broke” che precedette di poco l’avvento del thatcherismo, la guerra delle Falklands, la recessione, i tumulti razziali.

 

Guarda il video di Too Much Too Young 

 

Cantando le città fantasma negli sfavillanti 80’s

È questo il contesto in cui gli Specials diventano famosi: nel 1978 Joe Strummer li sceglie come gruppo spalla dei Clash, e sempre in quei mesi la Bbc Radio passa il loro primo singolo, Gangsters, preludio al primo album, omonimo, di debutto, che mischia inediti come Too much too Young, a cover ska anni’60 come la celebre A message to you Rudy. Se lo stile è, più o meno, rintracciabile in gruppi coevi come Madness, Selecter e The beat, la peculiarità degli Specials sta non solo e non tanto nell’avere componenti bianchi e neri (oltre a Hall e Dammers, Neville Staple, Lynval Golding, Horace Panters e Roddy Radiation), ma, esattamente come sul versante punk fecero i Clash, nella fermezza del messaggio politico, presente praticamente in tutti i testi, anche in quelli apparentemente più leggeri. Sono racconti “neorealisti” dell’Inghilterra dei sussidi statali e della disoccupazione, di un paese sempre più diviso in classi sociali. È il sito della Bbc a ricordare che Ghost Town, incredibilmente singolo dell’anno 1981 nel Regno Unito, fu “la canzone che Margaret Thatcher avrebbe preferito non ascoltare mai”. Strade vuote, negozi abbandonati, saracinesche sfondate, inquinamento, fabbriche chiuse, disoccupazione: ecco l’Inghilterra della Lady di Ferro già al potere, nella città fantasma cantata da Hall e soci, un ritornello di tragica irriverenza su base dub.

 

Guarda il video di Ghost Town 

 

Colonna sonora delle rivolte di Brixton

È l’anno, il 1981, in cui il liberismo spietato della Thatcher combatte l’inflazione colpendo l’industria manufatturiera, e quindi il lavoro di migliaia di operai in tutta l’Inghilterra. Come dichiarerà Dammers al Guardian: «Viaggiavamo da una città all’altra e quello che stava succedendo era terribile. A Liverpool, tutti i negozi erano chiusi, tutto stava chiudendo… Si poteva vederlo andando in giro. Potevi vedere quella frustrazione e quella rabbia anche nel pubblico. A Glasgow, c’erano queste vecchiette per le strade che vendevano tutti i loro oggetti di casa, le loro tazze e piattini. Era incredibile. Era chiaro che qualcosa non andava bene». L’estate del successo di Ghost Town è la stessa in cui si sposano Carlo e Diana, ma soprattutto è l’estate che vede il dilagare, in gran parte delle città inglesi, delle rivolte iniziate a Brixton qualche mese prima, in aprile. 

 

Margaret Thatcher, prima ministra britannica dal 4 maggio 1979 al 28 novembre 1990
Margaret Thatcher, prima ministra britannica dal 4 maggio 1979 al 28 novembre 1990 (Foto: Wikipedia)

 

Combat pop primo in classifica

Le rivolte a Brixton, all’epoca popolare quartiere londinese prevalentemente abitato da immigrati afro caraibici, già colpiti da recessione e disoccupazione, partirono dopo l’entrata in vigore della sus law, una legge che prevedeva maggiore facilità di fermo e perquisizione da parte delle forze di polizia, accusate dalla popolazione di arrestare indebitamente cittadini perlopiù basandosi sul colore della pelle. Negli appena nati, ruggenti e patinati anni ’80, nell’Inghilterra guidata dalla signora di ferro, in quell’estate del 1981, Radio one annuncia che Ghost Town, pezzo ska di un gruppo “multirazziale”, come si sarebbe detto qualche anno più tardi, di giovani proletari ha rimpiazzato One day in your Life del re del pop Michael Jackson dalla prima posizione nelle classifiche dei singoli più ascoltati. Nelle stesse ore, le prime pagine dei giornali si riempiono di notizie sul primo utilizzo in assoluto di granate a gas da parte della polizia che cerca di contenere i Toxteth Riots di Liverpool. Nottingham, Wolverhampton, Leeds, Luton, di nuovo Londra e poi ancora, molti altri posti. Come ricorda la Bbc, quell’estate furono più di venti le città coinvolte nelle rivolte, o lotte di autodeterminazione, a seconda del punto di vista, tra polizia e comunità locali, prevalentemente nere. Gli Specials furono la colonna sonora. Più di altri, più del combat rock bianco dei Clash con le loro Guns of Brixton, di certo più della rabbia più che bianca dei Pistols. 

 

Terry Hall in uno scatto recente
Terry Hall in uno scatto recente. Il cantante è morto a soli 63 anni per una breve e incurabile malattia

 

Musica per il nostro presente

Gli Specials si sciolsero poco tempo dopo, per poi ritrovarsi nel 2008 e iniziare un nuovo percorso, culminato nell’album Encore, del 2019. Nel frattempo Terry Hall ha collaborato con tantissimi musicisti, primo fra tutti Damon Albarn e i suoi Gorillaz. Sempre alla ricerca di nuovi suoni da sperimentare, mescolando sonorità, culture, atmosfere, come seppe fare giovanissimo, da vero precursore. Un percorso, il suo, da riscoprire, insieme alla sua musica, in un momento come quello che stiamo vivendo, tra guerre, nuove divisioni, migrazioni e paura. Le rivolte dei primi anni ’80 si sono mai davvero sopite? In fondo no. Le abbiamo ritrovate periodicamente. Nelle banlieu parigine degli anni ’90 raccontate al cinema da Matthieu Kassovitz, e poi ancora a metà anni 2000, e poi di nuovo a Brixton nel 2011, e ancora a Los Angeles nel 1992 dopo l’arresto e il pestaggio di Rodney King, e nel 2020 con le proteste (Black Lives Matter) dell’ “I can’t breathe”, frase secondo un’inchiesta del New York Times usata da ben 70 afroamericani morti mentre in custodia della polizia. Nel nostro paese, che vede oggi una sinistra inerme che si straparla addosso mentre la destra al potere gioca alla battaglia navale con le navi delle Ong e fa ancora finta che non esista, per tutti noi e non solo per le cosiddette “seconde generazioni”, la necessità di estendere la cittadinanza, quali scenari si prospettano? Ovvio, tutto questo è un’altra storia, e non ha nulla a che fare con la storia di Terry Hall. E però ci è piaciuto ricordarlo, ricordare il coraggio di schierarsi, di prendere posizione in anni non facili, quando molte cose non erano così scontate.

Cantando di città fantasma, privilegi e ingiustizie, razzismo, operai disoccupati, mischiando punk e ritmi caraibici.

Peccato che non abbia potuto continuare, come invece aveva promesso di fare. A cantare, facendo la sua parte, con quella faccia degna di un film di Ken Loach. Peccato, e love, love, love, come amava dire sempre alla fine dei suoi concerti. 

Saperenetwork è...

Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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