Tutto in una mano

Le mani permettono di misurare ma anche di costruire e aprirsi all'altro (Foto di lisa runnels da Pixabay)

Tutto in una mano

La straordinaria architettura delle mani nasconde funzioni che vanno ben oltre quelle meccaniche. Diventano uno straordinario strumento di conoscenza e relazione con il prossimo. L’alfabeto dell’ecopedagogia raggiunge la lettera “m” di…

Le altre lettere:  A – BCD – EF – G – H – IL

Il sanscrito “Ma-nam” per dire ciò che misura, costruisce, estende, abbraccia? O il greco “manòs” che indica ciò che è poco compatto e aperto? Quale etimologia ci porta più vicino alle radici del più straordinario elemento del nostro corpo? La mano è l’uno e l’altro, naturalmente, mille altre cose ancora. È misura perché da sempre contiamo il mondo a furia di palmi e pollici e sulle nostre dita, come ancora fanno i bambini (e non solo). È strumento che edifica, crea, inventa, opera e agisce. Arto che si apre all’altro nel saluto e nell’incontro, ma anche nell’apertura, in ciò che non è chiuso e dato. Per questo la mano è anche il cuore del do-man-dare che presiede ogni crescita, ogni risposta, ogni passo educativo.

 

Lo psicanalista e scrittore Massimo Recalcati
Lo psicanalista e scrittore Massimo Recalcati

 

Mano è estensione del cuore e non ci sono mani più sapienti in questo di quelle della madre, come ricorda Massimo Recalcati nel suo “Le mani della madre” (Feltrinelli, 2015):

«Le mani di una madre sanno ospitare la singolarità insostituibile e irripetibile del soggetto senza ridurre le sue cure a una serie di adempimenti eseguiti magari con solerzia e precisione ma senza alcun desiderio»

Sono, le mani materne, l’espressione perfetta di quell’arte di far posto all’unicità dell’altro, che Simone Weil definiva «grazia dell’attenzione», la manifestazione più pura e degna della cura. Come ciascuno di noi viene alla luce accolto dalle mani della madre, così l’umanità tutta è figlia delle mani.

 

La rappresentazione della mano secondo Henry Vandyke Carter e Henry Gray (Foto: Wikipedia)
La mano ha un’architettura straordinaria, qui sopra la rappresentazione di Henry Vandyke Carter e Henry Gray in “Anatomy of the Human Body” (1918, foto: Wikipedia)

 

Ce le abbiamo davanti tutti i santi giorni, le diamo così per scontate, che raramente prestiamo attenzione alla mirabilità della loro architettura: 27 ossa, 19 muscoli, 23 gradi di libertà (vuol dire 23 possibilità di movimento per adattarsi a un compito), nervi, tendini e muscoli e intorno un’epidermide estremamente sensibile. Voilà! Un esempio biomeccanico insuperabile che circa 200mila anni fa, grazie all’opposizione del pollice rispetto alle altre dita, ha deciso il nostro grande salto verso l’intelligenza e il linguaggio. Come noi siamo tripartiti – abbiamo sostanzialmente una testa che pensa e ospita molte attività sensorie, poi un torace dove batte il cuore, si respira e sembrano annidarsi tutte le emozioni e un apparato metabolico-riproduttivo e locomotorio che è costantemente in movimento – così nella mano possiamo riconoscere nella punta delle dita un tastare conoscitivo, nel palmo il calore della carezza, nel pollice una vocazione volitiva.

 

Guarda l’intervento di Richard Sennet alla Fondazione Feltrinelli di Milano
(2009, sottotitoli in italiano attivabili)

 

Quando le mani interagiscono con il mondo, quando toccano, impastano, intrecciano, impilano, insomma fanno e fanno esperienza, la mente impara perché crea un modello interiore del mondo. E quanto più l’esperienza si ripete, quanto più la mielinizzazione diventa efficiente ed efficace. Quando, invece, ci limitiamo al digitare, quando la mano e la mente divorziano, allora, dice il, sociologo statunitense Richard Sennett, «è la testa a soffrirne». Le mani hanno capacità conoscitive persino più raffinate degli occhi. Toccando percepiamo tanti elementi che l’occhio può non ravvisare: peso, temperatura, forma e, cosa ancora più importante, il significato, il valore intrinseco di ciò che prendiamo in mano.

 

Il neurofisiologo scandinavo Matti Bergström (Foto: Sandra Ulrich Conner/Pinterest)

 

Il neurofisiologo scandinavo Matti Bergström ha cercato di metterci sull’avviso da tempo: se nell’infanzia e nella giovinezza non mettiamo in movimento le nostre mani rischiamo di diventare «finger blind», ciechi nelle dita, e danneggiati inesorabilmente nella capacità di riconoscere il valore delle cose e i valori diversi dai nostri. Ogni bambino sarà tanto intelligente quanto sono abili le sue mani. Ogni bambino avrà la stessa memoria delle sue mani, perché le mani sono in tutto le nostre maestre, sanno, ri-cordano, anche quando il cervello non ram-menta. Dal mettere le mani in pasta, giocando e creando, i bambini apprendono e se mentre imparano si sono messe in movimento anche le emozioni, tanto meglio.

 

Una bambina si sporca le mani con la terra
Sperimentare con il tatto e sporcarsi le mani è fondamentale per la crescita del bambino (Foto:freestocks-photos da Pixabay)

 

Purtroppo, sempre più spesso, le mani dei bambini sono volatili e nervose, oppure molli e timide, rifuggono dal toccare, dallo sporcarsi, dallo sperimentare e dal mettersi in gioco. Intanto, noi educatori, per comodità, abbiamo abolito i bottoni a favore delle chiusure lampo e i lacci delle scarpe per il velocissimo velcro.  Intanto, noi stessi, in  obbedienza ai tempi vertiginosi del vivere frettoloso, giriamo il sugo mentre stiamo al cellulare, un occhio ai bambini e uno al tg, i gesti sempre più meccanici, le mani sempre meno coscienti, con i bambini che guardano e assimilano genitori robotizzati, sdoppiati, inevitabilmente poco presenti a loro stessi: difficile, allora, pretendere dai bambini e dai ragazzi concentrazione, attenzione, interesse.

 

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Se la vita è incontro, se educare è crescere insieme nella sfida della relazione, sono le mani che con forza, intelligenza e calore ci permettono di entrare in con-tatto con ciò che circonda noi e i nostri bambini.

Oggi che per legge non ci possiamo toccare, abbracciare, massaggiare, la sfida vera sarà quella di risvegliarci alla potenza piena di senso della manualità.

 


Una poesia per concludere

La poetessa Mariangela Gualtieri
La poetessa cesenate e fondatrice del Teatro Valdoca, Mariangela Gualtieri

 

Ringraziare desidero
perché su questa terra esiste la musica
per la mano destra e la mano sinistra
e il loro intimo accordo!

Mariangela Gualtieri

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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