Tra sicurezza e prendersi cura
Due parole che hanno la stessa radice, ma la interpretano da due punti di vista differenti. Che cos’è “la cura” di bambini e adolescenti, oggi, in piena pandemia? E cosa è davvero “sicuro”, per la salute, fisica e mentale, in un Pianeta sempre più imprevedibile?
È del 18 novembre scorso la notizia, che non ha fatto scalpore, della multa comminata a due maestre della Scuola Elementare Di Donato, scuola multietnica al Centro di Roma, per aver portato la loro classe, una quarta, bambini rigorosamente muniti di mascherina, a fare lezione al sole, nei giardini di Piazza Vittorio, recentemente restaurati dopo anni di abbandono.
Multe emblematiche
Per gli addetti, chiamati sul luogo da due cittadini (così racconta il Messaggero) scandalizzati dal cattivo esempio, la multa era relativa al divieto di calpestare le aiuole. In realtà aiuole fiorite non ce ne erano, i bambini non calpestavano ma stavano ordinatamente seduti sul prato, a distanza, senza disturbare gli altri frequentatori del giardino. L’Associazione Genitori della Di Donato si è offerta di pagare la multa, ma l’episodio è emblematico.
All’origine della “cura”
Che intendiamo per sicurezza? E per rispetto delle regole? In che modo la sicurezza si lega alla “missione” della Scuola che dovrebbe, come istituzione e insieme alle famiglie, “prendersi cura” dei bambini e dei giovani, soprattutto in questo periodo difficile? Le due parole hanno la stessa origine, la cura, ma affrontano il problema da due punti di vista opposti. Chi si preoccupa della sicurezza, e per legge la scuola come tutte le altre istituzioni deve farlo, deve occuparsi dei limiti, dei vincoli, che regolano il vivere civile e l’uso del territorio. È anche suo compito ricordare e praticare le regole, igieniche, stradali, sul lavoro, che negli anni le società hanno stabilito per evitare, per quanto possibile, incidenti e malattie.
La sicurezza è imprevedibile
Regole importanti ma che mai potranno garantire la sicurezza. Il nostro Pianeta, infatti, lo abbiamo già scritto, è un Pianeta sempre in parte imprevedibile, incerto, stupefacente, in cui il massimo che possiamo fare per limitare i pericoli è in primo luogo riconoscerli e poi imparare ad affrontarli. Anche chiudersi in casa non garantisce sicurezza, la pandemia insegna.
Un futuro di cui prendersi cura
Prendersi cura è invece preoccuparsi dei bisogni, delle relazioni, ma anche delle speranze e dei sogni. La cura guarda al presente ma soprattutto al futuro, mira a costruire le condizioni attraverso le quali gli uomini, ma anche gli altri esseri viventi sul Pianeta, che agli uomini sono indissolubilmente ed ecologicamente legati, possano realizzare al meglio il proprio progetto di vita: costruire il proprio cammino, unico e diverso da tutti gli altri.
Lavagne e responsabilità
Prendersi cura, in sicurezza, di bambini e adolescenti in crescita è la sfida di questa pandemia: una sfida non solo per la scuola e gli insegnanti, ma per la società nel suo assieme. Diversi anni fa, in una scuola elementare, quasi tutte le lavagne, quelle a due facce, girevoli su un sostegno di legno, erano circondate da un nastro bianco e rosso: erano state messe in sicurezza. E accade ancora così nelle strade, nei condomini. Un nastro bianco e rosso che può stare lì per mesi, e il cui scopo principale, oltre a segnare un pericolo, è però quello di non assumersi la responsabilità.
La sfida della distanza
Ci si può prendere cura dei bisogni educativi anche senza lavagne. Non sono indispensabili per fare scuola, e possono essere sostituite con azioni e strumenti più validi ed utili, ma bisogna conoscere gli strumenti e saperli utilizzare. Così come, per sostituire alle lezioni in presenza quelle a distanza, bisogna esserne capaci: non si può riproporre la stessa sequenza, lezione, interrogazione, chiedendo magari di alzare gli occhi al cielo per assicurarsi che non si guardi il libro, compiti, come se stare soli a casa davanti a un computer non cambi la situazione e le relazioni.
Dopo la pandemia, un mondo da ripensare
Questo tipo di distanza non è solo fisica, è sociale, affettiva, morale. Lavorare in sicurezza non può far dimenticare che il primo obbligo dei docenti è quello di prendersi cura dei propri alunni, dei loro interessi, della loro curiosità e originalità, della loro trasformazione in persone capaci di pensare ed agire per una società e un pianeta che cambiano e si evolvono, e che devono essere “ripensati” ogni giorno.
Che cosa è davvero “sicuro”?
Così come occorre ripensare insegnamento e apprendimento ogni volta che le circostanze lo richiedono, senza chiudere la scuola ma aprendosi in sicurezza, come hanno tentato di fare le maestre della Di Donato. Sembra banale, ma visto che i luoghi chiusi sono i meno sicuri, perché restare in classe? O in casa per ore appiccicati ad un video? Neanche questo fa bene alla salute, e soprattutto non fa bene all’apprendimento che si nutre di relazione.
Esplorare, costruire. Il senso della comunità
Si possono costruire accordi e relazioni con il Comune per utilizzare piazze e giardini come luoghi scolastici e evitare di prendere multe. Così hanno fatto a Giove (Terni) Si possono usare i musei, i cinema vuoti, gli orti botanici e i parchi; si possono esplorare le città, in un’Italia che è tutta arte e storia. Ma per farlo occorre passare dai banchi a rotelle, e dalle “distanze tra rime buccali”, allo stabilire collegamenti e relazioni con altri protagonisti di una comunità che vuole essere educante. Come propone il Comune di Reggio Emilia, in cui
«Tutta la città diventa una scuola, una banca, un agriturismo, un museo si trasformano in aule per le nostre bambine e i nostri bambini. Così le lezioni possono continuare in piena sicurezza. Sulla scuola #Facciamoladifferenza».
Per una scuola che si prende cura
I bambini delle elementari in molte regioni sono rimasti a scuola, non sappiamo se per prendersene cura o per servizio sociale, visto che se i genitori lavorano sarebbe difficile lasciarli soli, ma non possiamo pensare che nella scuola secondaria, alle medie o alle superiori, i problemi non esistano. Anzi, è lì che si possono trovare i casi più difficili, quelli per i quali la scuola può essere l’ultima occasione di essere “presi in cura” da una società che spesso esclude invece di accogliere.
Solitudini, strade e centri commerciali
Una società che li lascia soli e quindi “liberi”, molto più che a scuola, di infrangere le regole, a quell’età difficili da capire e da seguire, per ritrovarsi in strada, o nei centri commerciali, o a tu per tu con i propri problemi e la propria solitudine. Così scriveva su Facebook un insegnante di scuola superiore prima dell’ultimo lockdown:
«Se vedeste lo sguardo di Enrico che t’implora di non lasciarlo a casa perché a casa è da solo; di Chiara che a casa non vuole starci neanche normalmente figuriamoci per altri mesi; di Diego che con le difficoltà che ha non riesce a seguire le video lezioni e poi … l’altr’anno alcuni ragazzi hanno abbandonato la scuola e “lo sai prof? Quei ragazzi non stanno bene ora ”».
Saperenetwork è...
- Michela Mayer, ricercatrice e formatrice, da più di 30 anni attiva nell’Educazione Ambientale e alla Sostenibilità, è attualmente responsabile per l’EAS presso la IASS – Italian Association for Sustainability Science – e Associato di ricerca presso l’Istituto per le Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali (IRPPS) del CNR. Ha seguito presso l’INVALSI ricerche Nazionali e Internazionali sull’Educazione Scientifica e Ambientale. In particolare ha seguito fino al 2015, come esperto Internazionale per le Competenze Scientifiche, il programma PISA –Programme for International Students Assessment - dell’OCSE, e il progetto ENSI – Environment and School Initiatives - nato nell’OCSE per poi trasformarsi in una rete Internazionale. In Italia, ha seguito fin dalla sua nascita il Sistema Nazionale INFEA – Informazione, Formazione e Educazione Ambientale –. Fa parte del Comitato Scientifico del CNESA (Comitato Nazionale Educazione alla Sostenibilità Agenda 2030) della Commissione Italiana UNESCO, del Comitato Scientifico di Legambiente, e di quello della Rivista Culture della Sostenibilità. In questi anni è impegnata nel progetto Erasmus+ RSP – a Rounder Sense of Purpose - coordinato da Francesca Farioli, Direttore della IASS, e rivolto allo sviluppo e alla valutazione delle competenze degli educatori, insegnanti e non, visti come importanti ‘agenti di cambiamento’. Esperta in valutazione educativa ma anche in valutazione di progetti, europei e nazionali, ha tra le sue pubblicazioni il libro: Imparare a vedersi. Una proposta di indicatori di qualità per i sistemi regionali di educazione ambientale, scritto insieme a Beccastrini, Borgarello e Lewanski per la Regione Toscana nel 2005, e la proposta ‘Criteri di Qualità per scuole per lo Sviluppo Sostenibile’, con Breiting e Mogensen, pubblicata sempre nel 2005 dalla rete ENSI.
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