Davanti alla dismisura delle cose. Intervista ad Antonella Anedda

Antonella Anedda, poetessa e saggista. Parteciperà al prossimo Poetry Village al Parco della Caffarella di Roma

Davanti alla dismisura delle cose. Intervista ad Antonella Anedda

I suoni sperimentati in Sardegna, il silenzio di Maria Lai, l’anti-antropocentrismo di Darwin e Leopardi. La poetessa ci parla delle sue opere, riflessioni sulla precarietà umana e sulla necessità di riscoprire l’essere parte del mondo, in relazione con gli animali e con la Terra. In attesa di conoscerla dal vivo al prossimo Poetry Village

Un senso di prodigio anima la poesia di Antonella Anedda. Una meraviglia quieta, che vivifica le parole, dà senso al loro comporsi. Niente è fuori misura, non un’immagine, non un verso che tenti l’azzardo. La natura, il tempo, la caducità: ogni elemento concorre a costruire un’«arte dello spazio», ad abbattere i confini tra l’io e l’altro.

Tra le voci più significative del nostro panorama letterario, Antonella Anedda sarà ospite del Poetry Village 2023 che si tiene a Roma, nel Parco della Caffarella, l’8 e 9 settembre.

Antonella Anedda, la sua è una poesia delle immagini, dei suoni. Un canto che pare accordarsi ai “movimenti” della natura. Come è arrivata a questa forma d’espressione?
Credo sintonizzandomi anche con i suoni sperimentati in Sardegna e con quella particolare forma di silenzio di cui parla Maria Lai: attento ma non mistico, radicato negli elementi.

 

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Le parole da scegliere, le espressioni da misurare sulla sensibilità del mondo, sulle vibrazioni della terra. Come rivela l’inattesa triangolazione da lei indagata tra Giacomo Leopardi, Charles ed Erasmus Darwin (“Le piante di Darwin e i topi di Leopardi”, Interlinea, 2022, N.d.R.), la necessità di un linguaggio non antropocentrico appare essenziale…
Sempre di più. Ripercorrere Darwin – nonno e nipote – fonte di Leopardi ma anche di poeti come Elizabeth Bishop ha significato, tra le altre cose, interrogare il linguaggio, perlustrare il problema alla ricerca di una parola “franca”: non arrogante, non antropocentrica ma consapevole di un’esigenza ampia, non ristretta anche dall’idea di famiglia tradizionale che non coincide sempre – purtroppo- con uno spazio di idillio. Erasmus Darwin, favorevole all’educazione della donne e antischiavista, ritrovando Teofrasto scrive: fermati arroganza egoista e chiama sorella la formica.

La precarietà dell’esistenza umana è tra i fuochi della sua riflessione, un sentimento di “mancata onnipotenza” che si accompagna a un discorso sul tempo, alla sua azione spesso usurante. È possibile immaginare un tempo altro, svincolato dall’anestesia morale della Storia? Un tempo che si accompagni, forse, al ciclo della natura?
Sì, la precarietà è uno dei fuochi, esatto. Ho conosciuto molto presto questa sensazione: è una riflessione che mi accompagna e che forse dovrebbe accompagnare il genere umano. C’è molta differenza tra le posizioni di Darwin e la deriva del darwinismo sociale. Darwin ci insegna, anche a fronte delle sue tragiche perdite personali, che la natura è spesso crudele dal nostro punto di vista ma anche che non esiste un disegno superiore e che ci sono una possibilità, dei varchi evolutivi nella solidarietà.

 

 

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Corpo e spazio, relazione con la natura e rapporto con l’altro. L’età contemporanea ha perso, o quanto ridotto, dimidiato, questo tipo di contatti. Quanto è importante tornare a sé, all’esperienza del proprio essere nel mondo, all’unione con gli animali, con il complesso sistema della terra? La poesia può aiutarci?
Penso sia importante provare (non è facile) a sperimentare non solo una convivenza ma una nuova connessione con l’alterità, essere consapevoli di cosa significhi, provare a ricomporre l’estraneità in noi. Osservare come reagiamo e come ci comportiamo all’interno di un’economia che emargina la fragilità, la diversità, il non profitto. Per quanto riguarda gli animali non posso immaginare una vita senza gatti. Molti non li amano perché non possono ricondurli a un’idea di addomesticamento, di assimilazione. Noi li consideriamo troppo spesso come schiavi, ma la relazione con tutti gli animali è importante. Il discorso è complesso perché implica un ragionamento sull’esercizio del potere, sulla crudeltà, e sulla paura. Per quanto riguarda la domanda sulla poesia ho sempre risposto di no, che non può aiutarci.

Non credo che scrivere consoli, ma leggere sì, può aiutarci, la lettura di una poesia di testi che amiamo, che ammiriamo – senza gerarchie di tempo e spazio, sì, può modificare il nostro orizzonte. Leggere è uno dei modi che abbiamo per tornare a noi, ma anche per uscire da noi stessi, per intraprendere una ricerca di liberà che almeno finora mi ha sorretta.

Per saperne di più

www.poetryvillage.it

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Ginevra Amadio
Ginevra Amadio
Ginevra Amadio si è laureata con lode in Scienze Umanistiche presso l’Università Lumsa di Roma con tesi in letteratura italiana contemporanea dal titolo Raccontare il terrorismo: “Il mannello di Natascia” di Vasco Pratolini. Interessata al rapporto tra letteratura, movimenti sociali e
violenza politica degli anni Settanta, ha proseguito i suoi studi laureandosi con lode in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con tesi magistrale dal titolo Da piazza Fontana al caso Moro: gli intellettuali e gli “anni di piombo”. È giornalista pubblicista e collabora con webzine e riviste culturali occupandosi prevalentemente di letteratura otto- novecentesca, cinema e rapporto tra le arti. Sue recensioni sono apparse in Oblio (Osservatorio bibliografico della letteratura otto-novecentesca) e sulla rivista del Premio Giovanni Comisso. Per Treccani.it – Lingua Italiana ha pubblicato un contributo dal titolo Quarant’anni fa, anni di piombo, sulle derive linguistico-ideologiche che segnano l’immaginario dei Settanta.

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