Etica e sostenibilità. La nuova strada del marketing
Che cos’ è realmente il green marketing? Una dichiarazione di intenti o una serie di piani concreti e scientifici? Fa rima con green washing, esercizio di stile che mira a ripulirsi l’immagine per aumentare i guadagni, o può davvero essere una proposta strutturata per lo sviluppo sostenibile?
Di marketing ecologico si cominciò a parlare negli Stati Uniti in un decennio, quello degli anni ‘70 del secolo scorso, che ha segnato la storia dell’ambientalismo.
La prima definizione, che orientò il workshop sul tema organizzato dall’American Marketing Association, è così sintetizzata: “lo studio degli effetti, siano essi positivi o negativi, delle attività di marketing su inquinamento e risorse”. Era il 1975. Si dava campo a un’urgenza sollevata da professionisti e accademici illuminati: occorreva procedere con una valutazione dell’impatto ambientale. Era un primo tentativo di indagare un tema nuovo quanto complesso. Un primo passo, necessario, che tuttavia mancò di fornire criteri chiari per l’analisi.
L’evoluzione del concetto
Sarà il passaggio da un’indagine “ex post” all’elaborazione strategica “ex ante”, a guidare l’evolversi del tema nei decenni successivi. Un processo che partirà dalla definizione di sviluppo sostenibile quale “soddisfacimento delle necessità presenti senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare le proprie”. La elabora la World Commission on Environmental Development, in un documento del 1987 noto come Brundtland Report.
Abbracciata dai sostenitori del marketing ecologico e integrata nel dibattito, essa costituirà l’elemento trainante nel decisivo passaggio dall’analisi all’azione. Dopo questo slancio iniziale, però, bisognerà ancora attendere perché il Green marketing sviluppi il suo potenziale: se infatti si manterrà a uno stato embrionale per circa un decennio, rinascerà solo nel corso degli anni ‘90, divenendo proposta strutturata.
Questa seconda evoluzione è segnata da nomi quali Polonsky, Peattie e Charter, i quali indagano la relazione tra il marketing, intrinsecamente ancorato al concetto di soddisfacimento dei desideri, e le nuove logiche basate sulla sostenibilità, così come definita nel Brundtland Report. Il Green marketing è ora “inteso a soddisfare necessità e desideri, con minimo impatto negativo sull’ambiente”; ovvero, “gestione olistica e sostenibile” del processo di identificazione e soddisfacimento dei bisogni.
È green, ma solo per “bellezza”: il green washing
Ma il cammino non poteva affatto dirsi concluso: il Green Marketing avrebbe dovuto acquistare maggiore dignità come materia indipendente, sganciata dalle logiche tradizionali; pena il rischio di divenire etichetta, abusata e travisata. È il fenomeno del green washing: un metaforico “lavaggio in verde” attraverso una comunicazione studiata, quanto priva di contenuti sinceri. Etica e sostenibilità divengono parole vuote ma, a livello di comunicazione, utili, “sexy”; un esercizio di stile finalizzato al guadagno di immagine e alla crescita dei profitti.
Guarda la protesta pacifica contro il Green washing dei Fridays For Future
Più che innovare, rivoluzionando i meccanismi di base dell’impresa stessa, gli sforzi del green washing mirano ad abbellire in superficie strutture fatiscenti e processi obsoleti, resi brillanti da una pennellata di fresca vernice verde. L’abuso si lega a una riduttiva interpretazione del ruolo del marketing: un nodo sciolto brillantemente da Jacquelyn Ottman nel 2011.
Al marketing, attraverso le leve decisionali del marketing mix, è delegata la gestione di tutte le strategie relative al prodotto e non solo di quella strettamente promozionale: il Green Marketing deve integrarsi pienamente e pervasivamente in esse.
Se il verde si fa metodo
Una puntualizzazione, quella di Ottman, atta a ribadire che la sostenibilità non è, né deve mai rischiare di diventare, un involucro senza contenuto. Alla Ottman dobbiamo la diffusione di una nuova visione del tema: oggi sappiamo che il Green Marketing, per usare una sua espressione, “inizia con il Green Design” e che esso è inoltre parte integrante della Corporate Strategy, in una visione olistica in cui l’azienda è un insieme di attività e processi eticamente coerenti.
In un’ottica sempre più ampia, quindi, il “Green” si fa metodo. Il che non nega affatto il ruolo della comunicazione, bensì lo ridefinisce: come ribadito da Singh e Kamal nel 2012, il Green marketing non consiste nel far passare “prodotti normali per prodotti Green”, bensì nel riuscire a far pensare ai prodotti Green come a quelli più normali, coltivando la coscienza ecologica e lo spirito critico del consumatore.
Concetti rivoluzionari nella loro semplicità, che era necessario affermare con forza.
Saperenetwork è...
- Anna Stella Dolcetti, laureata in lingue e culture orientali presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in International Management alla Luiss Business School, si è specializzata in Marketing all’Istituto Europeo di Design e in Green Marketing all’Imperial College di Londra. È vincitrice e finalista di competizioni dedicate alle nuove tecnologie (Big Data e Blockchain) e lavora nella comunicazione per aziende ad alto tasso di innovazione. È diplomata in "sommellerie" e appassionata di alimentazione naturale. Nel tempo libero passeggia nei boschi, scala montagne e legge avidamente di biologia, astronomia, fisica e filosofia. Crede fermamente nella sinergia tra metodo scientifico e cultura umanistica e nell’utilizzo delle nuove tecnologie al servizio di etica, rispetto e sostenibilità sociale e ambientale.
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