Addio Elliott Erwitt, un secolo di fotografia

Un'immagine di Elliott Erwitt nel 2012, al Westlicht Museum of Photography di Vienna. Il grande fotografo è morto a 95 anni (Foto: Creative Commons/Wikipedia)

Anche chi non conosce il suo nome ha in mente le sue foto. È morto serenamente nel sonno, a 95 anni, nella sua casa di New York Elliott Erwitt, uno dei più grandi fotografi del ‘900, maestro di immagini e di ironia. Di lui ricordiamo gli iconici ritratti in bianco e nero di protagonisti della storia della storia colti in momenti particolari, da Marilyn Monroe a Jaqueline Kennedy fino all’incontro tra Kruschev e Nixon, così come istantanee di vita quotidiana di cui Erwitt coglieva il lato giocoso e paradossale. La scomparsa è stata annunciata da Magnum Photos, l’agenzia fotografica più prestigiosa del mondo, fondata dal suo mentore Henry Cartier-Bresson (in cui Erwitt era entrato nel 1953 su invito del co-fondatore Robert Capa), e di cui fu anche presidente negli anni ’60. «Erwitt, che ha lavorato sempre  con pellicola in bianco e nero anche nell’era della fotografia digitale, ha avuto una doppia carriera come giornalista e come artista», ha scritto ieri il Washington Post. «Per i suoi scatti, portava con sé due macchine, una per il lavoro e l’altra per il proprio diletto. Non mancava di sottolineare che il proprio lavoro pagato, quello che definiva ‘obbedienza creativa’, era semplicemente un mezzo per sostenere la propria vocazione».  Il New York Times lo ha ricordato con le parole del critico Richard B. Woodward:

«Per più di 60 anni ha usato la macchina fotografica per raccontare giochi visivi, reperendo materiale ovunque si trovasse a passare. Il suo occhio attento a certe associazioni – un cane steso sulla schiena in un cimitero, un distributore di coca cola luccicante in una esposizione pubblica di missili in Alabama (…) – gli ha fatto guadagnare l’attenzione costante del pubblico che condivideva il suo senso dell’assurdo, tenero, alla Charlie Chaplin».

 

Le origini

Nato a Parigi nel 1938 come Elio Romano Ervitz – dove il riferimento a Roma fu voluto dal padre, che aveva frequentato l’università della Capitale – da una famiglia di ebrei russi in fuga dalla rivoluzione del 1917. Dopo un breve passaggio in Italia (ma è l’anno delle leggi razziali di Mussolini), il padre decide di emigrare negli Stati Uniti poco prima dello scoppio della Seconda Guerra mondiale. A New York avviene il cambio del nome in Elliott Erwitt e anche il primo incontro con la fotografia, determinato, come raccontò lui stesso, dalla timidezza di adolescente che non parlava inglese.

New York, Robert Capa e Life

Dopo gli studi di fotografia al Los Angeles City College, torna a New York, dove dal 1949 inizia la sua carriera professionale, incontrando nomi già noti come Robert Capa ed Edward Steichen. Torna in Francia all’inizio degli anni ’50 con l’esercito americano e in quel contesto coglie l’immagine di un soldato che si annoia in caserma. Dopo la pubblicazione sulla rivista Life, la foto vinse un premio in denaro molto consistente per l’epoca, proiettandolo così decisamente in una professione, che Erwitt eserciterà a lungo con grande libertà espressiva, spaziando dalla politica alla moda.

 

Uno dei celebri scatti di Erwitt a Marilyn Monroe, a New York, nel 1956 (Foto: Flickr)
Uno dei celebri scatti di Erwitt a Marilyn Monroe, a New York, nel 1956 (Foto: Flickr)

L’arrivo alla Magnum: anticonformismo, ironia e cani

Tappa centrale del suo percorso, l’ingresso nel 1953 nella prestigiosa agenzia Magnum Photos, che associava grandi fotografi e a cui fu invitato dal co-fondatore Robert Capa. In quegli anni Erwitt aveva già manifestato il tratto anti-eroico e anticonformista che lo avrebbe caratterizzato per tutta la sua carriera. Per un servizio fotografico di calzature da donna, Erwitt sceglie di guardare dalla prospettiva dei cani («vedono più scarpe di chiunque altro», spiegò) che sono sempre stati uno dei suoi soggetti preferiti, sia ritratti da soli che nell’interazione con gli esseri umani.  «Elliott, per me, è riuscito in un miracolo: ha lavorato su una serie di campagne commerciali e in più offerto un bouquet di foto rubate con un sapore e un sorriso dal sé più profondo», ha scritto di lui nel 2003 sul quotidiano britannico Guardian il suo mentore Henry Cartier-Bresson.

 

 

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Andrea Valdambrini
Andrea Valdambrini
Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.

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