Clima, pandemia. E adesso la guerra. La risposta dell’ecofemminismo

Un gruppo di ragazze durante la mobilitazione di Fridays for future a Roma nel 2019 (Foto: Galieonet)

Clima, pandemia. E adesso la guerra. La risposta dell’ecofemminismo

La prospettiva utopica di Charlotte Perkins Gilman, l’ipotesi ecologista di Françoise D’Eaubonne, la visione nonviolenta di Petra Kelly. Fino alle piazze di Fridays for future. Al cospetto della crisi globale il pensiero ecofemminista si pone come una via per il cambiamento

Gli ultimi tre anni, fra catastrofi climatiche e pandemia, oltre a questa terribile guerra in Ucraina, ci fanno ormai vivere dentro una realtà distopica come quella che abbiamo visto nei film di fantascienza o nel libri di Ursula K. Le Guin che abbiamo imparato ad amare forse proprio perché avvertivamo che i suoi racconti non erano così lontani da quello che ci stava preparando lo sviluppo insostenibile. La fase che stiamo vivendo è così complessa che coinvolge tutto il mondo ormai, negli stessi rischi e nelle stesse paure. La deriva, o meglio il precipizio che ci aspetta, ci ha tolto qualsiasi speranza di un futuro sereno. L’ultimo sciopero globale dei giovanissimi di Fridays for Future in Italia ha visto la partecipazione degli operai della fabbrica Gkn, multinazionale britannica che un anno fa ha chiuso e licenziato tutti i dipendenti durante un weekend, per riaprire in altro luogo dove la manodopera costa meno, al fine soltanto di aumentare i propri guadagni.

«Vogliamo sconfiggere tutte le delocalizzazioni, rimettere al centro la questione salariale, la riduzione d’orario a parità di salario, l’abolizione del precariato»  hanno dichiarato i lavoratori in lotta.

E i giovani ormai senza speranza di trovare un lavoro decente nel nostro paese sono scesi in piazza insieme a loro il 26 marzo perché si riconoscono nella convocazione: «Una scadenza in cui convergono lotta ambientale, sociale, per i diritti civili, contro la guerra».

Che fare quindi?

 

 

L’incipit del recente libro di Luigi Ferraioli, “Per una Costituzione della Terra” (Feltrinelli, 2022) è premonitore: «L’umanità si trova di fronte a emergenze globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza (…). Perfino coloro che di queste emergenze e di queste minacce sono i responsabili – i governanti delle maggiori potenze e i grandi attori dell’economia mondiale – sono totalmente consapevoli che il cambiamento climatico, l’innalzamento dei mari, la distruzione della biodiversità, gli inquinamenti e i processi di deforestazione e desertificazione stanno travolgendo l’umanità e sono dovuti ai loro stessi comportamenti. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra».

 

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Già nel secolo scorso, scrittrici, intellettuali e suffragiste hanno tentato in tutti i campi, individualmente e collettivamente, di spiegare ai padri padroni che le donne avevano maturato esperienze sufficienti per entrare a pieno titolo nella vita pubblica, in politica e nelle scienze con vantaggi rilevanti per tutte e tutti. E sono state represse, imprigionate. rinchiuse in manicomi e anche uccise perché chi governava il mondo e le famiglie voleva solo usarle, depredarle, ridurle in totale dipendenza. Letteratura, arte, storia e scienza lo testimoniano.

 

 

Charlotte Perkins Gilman (1860-1935), economista, sociologa, scrittrice e poetessa statunitense, fra le pioniere del femminismo utopico (Foto: Frances Benjamin Johnston, 1900 circa, Wikipedia)

 

Diseguaglianze crescenti, violenze e stragi in nome di ideologie naziste e rivoluzioni sanguinose, due terribili guerre mondiali fecero del Novecento un secolo di sangue proprio perché non si volle ascoltarle. All’inizio del secolo, Charlotte Perkins Gilman, un’economista tradotta in sette lingue ma perseguitata dal marito e dal medico che la volevano pazza, scrisse una fondamentale utopia ecofemminista: “Herland – Terra di lei” (La vita felice, 2015). Negli anni Sessanta un pericoloso veleno come il Ddt fu proibito grazie alla denuncia di Rachel Carson nel suo “Primavera silenziosa” (Feltrinelli, 1963). L’unica rivoluzione non violenta è stata quella femminista che da noi ha permesso, grazie alle nostre Costituenti che sono finalmente potute entrare nelle istituzioni per il voto concesso nel dopoguerra alle donne, di scrivere la prima parte della Costituzione, quella che contiene i princìpi e che non è mai stata cambiata, salvo il recente articolo 9 che finalmente il Parlamento ha modificato all’unanimità.

 

Françoise D’Eaubonne
L’attivista Françoise D’Eaubonne (1935-2005), francese, ha coniato il termine ecofemminismo

 

Tutela dell’ambiente, biodiversità ed ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni sono state aggiunte, con quella degli animali, a quella del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Anche per questo cambiamento epocale l’iniziativa delle ecologiste è stata determinante. Gli anni Settanta non sono stati solo le lotte per il divorzio, l’aborto, la parità e la liberazione sessuale. Sono stati l’ecofemminismo di Françoise D’Eaubonne che ne pose i fondamenti nel libro “Le féminisme ou la mort” (Les Cahiers du Grif, 1974).

 

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Dopo la catastrofe di Chernobyl, nel 1986, le ecofemministe antinucleariste e per il disarmo, che Petra Kelly aveva indirizzato alla nonviolenza da quando aveva fondato i green in Germania, si organizzarono anche in Italia. Si incontrarono perché “il pianeta ci è dato in prestito dai nostri figli”, manifestarono, raccolsero le firme per un referendum con le associazioni, entrarono in Parlamento in bicicletta e in modo paritario e fecero uscire l’Italia dal nucleare civile. Quel nucleare di cui è piena ancora l’Ucraina, di cui Putin si sta impadronendo e che minaccia di usare se non lo si asseconda, insieme ai missili e ai bombardamenti che stanno distruggendo le città e uccidendo civili in fuga.

Per questo l’ecofemminismo sembra ormai l’unica prospettiva politica possibile per salvarci e salvare la vita sul Pianeta, oggi che catastrofi climatiche, pandemie e ora questa terribile guerra nel cuore dell’Europa, minacciano non solo la nostra e le altre specie. Ma la stessa Madre terra.

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Laura Cima
Laura Cima
Laura Cima, femminista ed ecologista, ha partecipato al movimento antinucleare ed è stata eletta deputata per i Verdi nel 1987, diventando poi, primo caso in Italia, presidente di un direttivo di sole donne. Viene riconfermata alla Camera nel 2001 ed è vicesindaca di Moncalieri (To) nel 1993. Ha fatto parte della Commissione per la parità della Presidenza del Consiglio ed è stata consigliera di parità per la Provincia di Torino. Oggi è presidente di “Primalepersone”. Per Il Poligrafo ha curato con Franca Marcomin "L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria "(2017). Il suo blog: www.lauracima.it

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