Com’eri vestita? Ovvero, quando la vittima diventa colpevole
Una mostra nelle sale dell’Europarlamento di Bruxelles espone abiti di donne vittime di stupro e sopravvissute alla violenza. L’Ue sta preparando una legge comune per i 27 Paesi, ma rimane un nodo da sciogliere: quello del consenso esplicito
«Dobbiamo assicurare che un sì è un sì, un no sia un no: che venga pronunciato in Italia o in Svezia, in Portogallo o in Bulgaria. Siamo nel 2023, ma ancora il consenso di una donna, non vale niente. E questo è una vergogna». Con queste parole l’eurodeputata svedese Evin Incir ha inaugurato nelle sale del Parlamento europeo di Bruxelles la mostra What were you wearing (“Come eri vestita?”), che espone abiti di donne sono sopravvissute ad una violenza sessuale.
Magliette, pantaloni, giacche e gonne di tutti i tipi e appartenuti a donne di ogni età – dalle bambine alle meno giovani – raccontano ognuno attraverso la propria didascalia la circostanza in cui sono stati indossati, svelando anche il profilo di chi su di loro ha commesso violenza.
E il fatto che l’avrebbe commessa indipendentemente dall’abbigliamento della vittima, pigiama, tuta o minigonna che esso sia.
Il consenso
Il Parlamento europeo è in fase di negoziazione con i 27 Stati dell’Unione per dare alla luce la prima direttiva per combattere la violenza sulle donne e la violenza di genere. «Arriva tardi e dopo una lunga lotta, ma è molto importante», ha sottolineato ancora la relatrice Incir. Il regolamento è stato inizialmente presentato dalla Commissione europea l’8 marzo 2022 con l’intento di contrastare la violenza sulle donne e gli abusi domestici. Eppure «se il provvedimento verrà licenziato senza la parte che impone il consenso esplicito al rapporto, il messaggio che lanceremo sarà negativo. Vorrà dire che non prendiamo sul serio la volontà delle donne né le loro vite. Sarebbe un capitolo nero nella storia dell’Ue», insiste Incir.
Una definizione comune di stupro?
Motivo del contendere è l’articolo 5 del testo legislativo in cui si menziona esplicitamente la necessità di punire come reato “atti non consensuali”, ovvero che implichino la mancanza di consenso volontario da parte di una donna «a causa delle sue condizioni fisiche o mentali, sfruttandone l’incapacità di esprimere una libera volontà in quanto incosciente, ebbra, addormentata, malata, fisicamente lesa o disabile». Ma secondo diversi governi europei, la definizione di stupro a livello comune per i 27 Paesi andrebbe oltre le competenze dell’Unione e dovrebbe restare materia di legislazione nazionale.
I dati della Commissione Ue
Secondo dati diffusi dalla Commissione Ue, nel 27 Paesi dell’Unione una donna su 3 ha subito violenza fisica o sessuale nella propria vita e ogni giorno almeno due donne vengono uccise, vittime di violenza di un partner o familiare. Solo il 22% delle donne vittima di violenza denuncia, mentre l’80% non cerca aiuto professionale (medici o psicologi). Inoltre, 1 europeo su 5 afferma che fingono o esagerano episodi di abuso o stupro, 7 europei su 10 ritengono questi episodi comuni nel proprio Paese.«È importante che la violenza di genere non sia solo un crimine a livello nazionale, ma riceva una definizione unica in tutta Europa», ha ribadito nel corso dell’evento di inaugurazione l’europarlamentare Brigit Sippel. «Per quale motivo l’abito lancerebbe un chiaro segnale che una donna vuole fare sesso? Così sì fa diventare colpevole la vittima. Questa mostra fa apparire chiaro che il problema non è come ci si veste. Va detto anche e soprattutto ai maschi: ogni essere umano esige rispetto e per far rispettare questo principio è essenziale che l’espressione del consenso da parte delle donne sia chiara».
E lui, com’era vestito?
Quella dell’Europarlamento è in realtà l’ultima tappa itinerante di un’esposizione – purtroppo terribilmente realistica – che arriva da lontano. La mostra nasce infatti dieci anni fa nell’Università del Kansas, negli Usa, ispirata alla poesia con cui l’autrice Mary Simmerling rievoca la notte in cui ha subito violenza. In What I was wearing scrive con amarezza: «Se solo fosse così semplice/se solo potessimo/mettere fine alla violenza/cambiando abiti». E ribaltando lo stereotipo insito nella domanda discriminatoria: «Io ricordo anche/come era vestito lui quella notte/anche se/è vero/che nessuno/gliel’ha mai chiesto».
Guarda il video ispirato alla mostra “Com’eri vestita?”
Saperenetwork è...
- Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.
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