Conversazioni con la città. Il Maxxi di Zaha Hadid
Finita la quarantena torniamo ad abitare le nostre città. Come se ci trovassimo insieme a un vecchio amico, riscopriamo gli spazi del nostro quotidiano ascoltando le storie di strade, piazze e monumenti, in un rapporto di rara intimità. Ecco quella del museo romano che ha da poco “compiuto” dieci anni
Usciti dalla quarantena ci siamo rituffati nel caos metropolitano. Chissà se questa volta riusciremo a concederci uno sguardo diverso. Il Maxxi di Roma, progettato dall’anglo-irachena Zaha Hadid, è il museo delle arti del XXI secolo. Primo museo italiano con una collezione permanente dedicata all’architettura, è il luogo dove riflettere sul nostro rapporto con l’abitare, l’approccio umano all’ambiente visto innanzitutto come casa. Niente di più appropriato dopo mesi di vita domestica.
Conversando con i nostri spazi
Le città senza turisti, con un po’ di traffico in meno, si offrono ai nostri occhi con un’urgenza meno impellente. Improvvisamente non siamo più frettolosi passanti, ma possiamo permetterci di alzare lo sguardo su una facciata storica, o una struttura architettonica contemporanea e osservarla lasciando emergere in noi qualche domanda.
Come se ci trovassimo a tavola con un vecchio amico trascurato da tempo e finalmente trovassimo il modo per dare spazio all’ascolto della sua storia. Chissà quante domande aleggiano nella nostra mente immersa quotidianamente nei reticoli urbani? Quante volte ci fermiamo a un semaforo e alzando lo sguardo notiamo qualcosa in un’architettura, qualcosa che forse fino a quel giorno non avevamo visto… Ma già ci suonano dietro!
Abbiamo appena sfiorato l’incipit di un’intuizione e già stiamo con la mente altrove e la freccia con il suo tic tac ci invita a spostarci su altri percorsi. Ecco, forse in questi mesi il ticchettio delle frecce e l’incalzare dei clacson si affievoliranno e potremmo dialogare con le nostre città.
Abitare è una scelta ecologica
Viviamo immersi nell’architettura urbana, la subiamo e forse, a volte, ne traiamo beneficio. Eppure difficilmente la cogliamo nel suo significato più profondo di tentativo umano di abitare il pianeta. Scelta ecologica, sempre e comunque, secondo l’etimologia del termine. Nel rapporto con la Natura viviamo la perenne sfida della nostra esistenza. Quanto chiederle per sopravvivere? Come modificarla per stare comodi? Cosa raccogliere? Cosa coltivare? Come utilizzare l’acqua e il fuoco, il vento e la terra? Su questo precario equilibrio viviamo trasformando il nostro habitat in un luogo più o meno piacevole a seconda delle nostre scelte. Nel passare dei secoli ci siamo affidati a divinità protettrici, nella speranza di controllare gli eventi atmosferici e gli esiti del raccolto, abbiamo reso divino l’animale capobranco della nostra caccia, per assicurarci il rispetto e la convivenza con la nostra preda, ma anche con il nostro predatore.
Oggi viviamo schiacciati tra il bisogno di Natura e il nostro frenetico correre metropolitano. Guardandoci intorno possiamo renderci conto di quanto abbiamo modificato, nel bene e nel male, il nostro habitat ricoprendo la terra di asfalto ma anche plasmandola in anfore e sculture, bonificando terreni e inquinando mari, coltivando rose e gerani sui balconi e creando potenti insetticidi.
Tante le contraddizioni che muovono le nostre scelte abitative e che rendono precario l’equilibrio tra essere umano e pianeta.
Un vivo contenitore del nostro tempo
Quanto l’uomo con la sua presenza ha modificato il paesaggio e la natura? E quanto la natura ha mosso le scelte umane e il nostro sentire? A Roma questi interrogativi sono raccontati nei percorsi del Maxxi, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, nonché primo museo italiano di architettura. L’imponente struttura progettata dall’innovativa mente dell’architetto anglo-irachena Zaha Hadid e inaugurata il 27 maggio 2010 è già di per sé un’opera d’arte capace di rapportarsi con il contemporaneo romano, ossia con il qui e ora del nostro imprescindibile e continuo presente. Scelto nel 1999 tra 273 progetti, il Maxxi ci appare oggi come un vivo contenitore del nostro tempo. Un museo che non offre più un lineare percorso espositivo, come poteva avvenire nella logica museale fino al XX secolo, ma un intreccio di strade e passaggi che spesso portano al punto di partenza o proprio dove non immaginavamo di arrivare. Simbolo vivo di un secolo in trasformazione dove l’incertezza è l’unica certezza e il senso di spaesamento è diventato la nostra dimora.
Guarda il progetto architettonico del MAXXI
Costruire muri per superare le frontiere
«Pare che io sia nata per superare costantemente le frontiere», amava dire Hadid riguardo alla sua presenza sul panorama internazionale. Ma le prime frontiere sono proprio i muri e per un architetto è una vera sfida innalzarli e superarli al tempo stesso. Zaha Hadid questa sfida la vince dialogando con la luce e ascoltando lo spirito dei luoghi dove inserire i suoi progetti. Roma certamente non è un luogo facile per una struttura contemporanea che voglia raccontare lo slancio verso il futuro di un popolo così visceralmente identificato con il passato. Zaha Hadid la nostra Capitale la conosce e la ama fin da quando era bambina e questa sfida vuole vincerla per lasciare un segno nella città capace di rendere eterni i segni degli artisti. L’artista irachena comprende che per i romani l’arte non è un contenuto, ma un contenitore, non è oggetto museale, ma parte integrante del quotidiano. Il Maxxi diventa quindi un contenitore di storie, bozzetti, progetti, documenti e arte, ma un contenitore aperto. Un invito più che una struttura, un richiamo mesmerico più che un museo. Le mostre iniziano sul piazzale, dove giocano i bambini, e proseguono nel foyer tra giovani studenti davanti ai loro computer o a un cappuccino.
Guarda l’intervento di Zaha Hadid al MAXXI di Roma
Non ci si accorge di essere risucchiati. Proprio come il canto di una sirena. Ci si avvicina, pensando di fare due passi e ci si ritrova persi tra un intreccio sinuoso di scale e pavimenti in pendenza, fino a ritrovarsi a tu per tu con il cielo davanti alla grande vetrata della galleria 5 al terzo livello. L’arte è fuori, è nella struttura e nello spazio circostante. Ma è anche dentro in un susseguirsi di teche e di video, di storie che contengono altre storie e lasciano la sensazione di un assaggio di un sapere che non sarà mai completo perché in continuo divenire. Un sapere che non è più solo romano, ma che appartiene all’umanità. La Roma dell’Hadid è Urbe in ricerca, piena di un noi in continua trasformazione, capace di lasciarsi contaminare cronologicamente e culturalmente. Viva perché città aperta.
Guarda la mappa interattiva Conversazioni con la città
Saperenetwork è...
-
Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.