Dalla Russia senza amore. Alle radici di un Paese in guerra

Soldati della guardia d'onore russa. Il conflitto in Ucraina, iniziato ufficialmente nel febbraio 2022, è tuttora in corso

Dalla Russia senza amore. Alle radici di un Paese in guerra

Mentre l’attenzione dei media è focalizzata sul conflitto israelo palestinese, due libri, due autori russi, ci raccontano due visioni opposte della guerra in Ucraina. Per Nicolai Lilin le radici del conflitto vanno ricercate nell’odio anti-russo generato dal nazionalismo ucraino. Per Elena Kostjucenko amare la Russia significa denunciare il fascismo di Putin

Con La guerra e l’odio. Le radici profonde del conflitto tra Russia e Ucraina (Piemme), Nicolai Lilin (italiano nato in Russia quando era ancora Unione sovietica e noto al grande pubblico per il suo primo romanzo Educazione siberiana) rilegge la guerra in corso dal febbraio 2022 alla luce di un fatto storico poco noto, almeno in occidente. Si tratta dello sterminio dei ruteni filorussi nel campo di prigionia di Thalerhof in Austria-Ungheria, messo in atto dalle autorità di Vienna nel 1917 con la complicità di una parte dei ruteni stessi. Siamo nella regione della Galizia, estremo occidente dell’attuale Ucraina. Vicini culturalmente e linguisticamente ai russi, i ruteni erano però divisi in due fazioni, una fedele a Vienna, l’altra attratta da Mosca e per questo percepita come potenziale minaccia all’integrità dell’impero asburgico. Quando il primo conflitto mondiale contrappone l’Austria-Ungheria alla Russia, i galiziani filorussi passano ad essere considerati traditori e rimangono vittime di un’operazione di pulizia etnica su larga scala.

 

Nicolai Lilin
Nicolai Lilin è nato in Russia quando era ancora Unione sovietica e noto al grande pubblico per il suo primo romanzo “Educazione siberiana” (Foto: Wikipedia)

Da una guerra dimenticata a oggi

Fin qui i fatti storici. Ma ne La guerra e l’odio non si parla solo del passato, evidentemente. Lilin traccia un parallelo con la situazione in Donbass, rimontando all’indietro nella catena causale dell’ostilità tra gruppi linguistici e culturali e alla correlata repressione di un gruppo da parte dell’autorità centrale. Quasi un secolo dopo i fatti di Thalerhof, al posto dei ruteni filo-russi troviamo i russofoni di Donetsk e Lugansk, al posto di Vienna c’è Kiev. E come allora, le due fazioni si dividono sulle alleanze internazionali, chi guardando a Occidente chi ancora una volta a Mosca.

Una volta qui era tutta Russia?

L’idea centrale, teorizzata sulla base di una ricerca storica – perché Lilin, lo ricordiamo, è un romanziere, non uno storico di professione – è che esisteva una grande Russia, di cui le terre intorno a Kiev (la Piccola Russia) erano parte integrante. Con la fine dell’impero sovietico, questo sogno si è spezzato. L’Ucraina, in questa prospettiva, sarebbe il prodotto del nazionalismo anti-russo di pochi galiziani che hanno poi “contagiato” i creatori della moderno paese ora in guerra. Il peccato originale di Kiev è quello di essersi compattato sotto la stella dell’odio viscerale contro Mosca. Questa idea messa in forma narrativa da Lilin rappresenta una concezione molto diffusa in Russia, sia tra le generazioni che hanno memoria dell’Unione sovietica, che tra chi è oggi condizionato dalla propaganda del Cremlino. E che ha bisogno di essere contestualizzata.

 

 

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Un’altra versione della storia

Cambiamo quadro e cambiamo libro, ma restando sul tema dell’origine del conflitto russo-ucraino. Racconta in La mia Russia. Storie da un Paese perduto (Einaudi) Elena Kostjucenko, giovane reporter di Novaja Gazeta, di quando si sveglia una mattina di primavera del 2014 con la notizia dell’invasione russa della Crimea. Telefona a sua madre per condividere la propria indignazione. Trova invece una visione antitetica alla sua. Al telefono si sente dire parole come: noi russi stiamo andando a riprendere il nostro mare caldo contro i nazisti ucraini che ci odiano. L’occupazione della Crimea è percepito come un atto di difesa, quindi è giusto. Elena, sconvolta da quelle parole, tronca la telefonata. Nei mesi successivi, la giornalista andrà al confine russo con il Donbass per indagare sulle responsabilità dirette di Mosca, ufficialmente sempre negate, nell’arruolare e sostenere miliziani che combattono per ottenere la secessione delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. Questo ed altri reportage, coraggiosi e appassionati, alternati con riflessioni personali che li introducono, sono ora raccolti in un libro che racconta l’altra versione, quella non putiniana della storia.

 

Elena Kostjucenko
Elena Kostjucenko, reporter di Novaja Gazeta. È l’autrice di “La mia Russia. Storie da un Paese perduto”, edito da Einaudi (Foto: www.harriman.columbia.edu)

La Novaja Gazeta, Anna Politkoskaja e la Russia di Putin

Poco più che bambina, Kostjucenko era rimasta folgorata dagli articoli di Anna Politkoskaja dalla Cecenia e riesce, neppure 20enne, ad entrare nella redazione di Novaja Gazeta, la rivista investigativa di cui la giornalista assassinata nel 2006 era una delle principali firme. Una rivista che ha rappresentato la spina nel fianco del potere, che da oltre 20 anni ormai, in Russia fa rima con il nome dello zar Vladimir Putin. Nel 2021 Dimitri Muratov, suo storico direttore è stato insignito del premio Nobel per la Pace 2021, ma la Gazeta ha cessato di esistere lo scorso anno, all’inizio di quello che la propaganda putiniana ha vietato di definire “guerra”. Anche Elena Koskjiucenko è stata costretta a lasciare la Russia dopo numerose minacce e intimidazioni a seguito di inchieste e reportage sgraditi al Cremlino. Come, non da ultimo, la sua copertura della guerra in Ucraina.

 

Guarda il video con Elena Kostyuchenko

Una storia sbagliata

Chi sono le vittime delle guerra, di questa guerra? Oltre a quelle a tutti note – umanità, ambiente, opere d’arte – bisogna aggiungere anche: una visione obiettiva dei fatti. Può sembrare una vittima collaterale, ma non lo è. Pur nella sua apparente astrattezza, un’idea può essere vettore e motore primo della violenza, che spinge le persone a farsi la guerra.

Da questo punto di vista, Lilin ha ragione: la radice profonda di un conflitto è nell’odio tra persone o gruppi di persone.

La storia non procede per strappi o per inizi, ma è un continuum. Quindi certamente il genocidio dei ruteni è un episodio storico che merita di essere ricordato valutato in tutta la sua tragicità. Più opinabile è che esso sia l’antecedente diretto della guerra attuale. Il vero problema è che il saggio di Lilin trascura alcuni elementi protagonisti centrali di questa vicenda. Primo tra tutti, Putin, o meglio, il sistema di potere che il presidente russo rappresenta. Quello raccontato da tanti reporter come Elena Kostjucenko.

 

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Saperenetwork è...

Andrea Valdambrini
Andrea Valdambrini
Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.

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