Dolomiti Contemporanee. La fucina tra le rocce, tra arte, recupero e trasformazione
Nelle Dolomiti Patrimonio dell’ Unesco, un progetto di rigenerazione trasforma siti e spazi degradati in centri artistici e culturali che dialogano con il paesaggio circostante
Tra le guglie e i pinnacoli dolomitici vivono da tempo immemore i camosci e le aquile, i silvani e le anguane. Ora, tra i monti pallidi si muove anche un organismo nuovo, che ricorda nel suo operato la danza cosmica di Shiva, con i suoi cicli di distruzione e creazione di mondi.
Dolomiti contemporanee fa così: identifica i “siti necrotici” nel paesaggio dolomitico, dove l’opera dell’uomo ha fatto, disfatto e lasciato materia inerte, disintegra lo status quo e li riattiva, avviando interventi di rigenerazione.
Laboratorio d’arti visive in ambiente che dal 2011 si muove tra le pieghe del territorio con l’attitudine dello scalatore che affronta una parete scolpita nella dolomia, con occhio critico e in concentrata progressione verticale: Dolomiti contemporanee individua siti e spazi problematici e inerti, ma dal grande potenziale collettivo, e li trasforma in cantieri di arte e cultura in simbiosi con il territorio.
Un laboratorio verticale
Vecchi edifici, fabbriche abbandonate, ex scuole, intere colonie di villeggiatura si scuotono così dal torpore entropico e diventano centri di produzione artistica e culturale che dialogano in modo viscerale, profondo, con l’ambiente circostante.
«Individuiamo siti che sono diventati dei grandi crateri nel paesaggio dolomitico – spiega Gianluca D’Incà Levis, architetto, ideatore e curatore di Dolomiti contemporanee – e la rigenerazione consiste nell’affrontarli e nel ripensarli».
Ripensarli in modo pragmatico eppure rivoluzionario, applicando un modello che scuote e genera nuovi equilibri. La strategia è così innovativa, multifattoriale e sinergica che Dolomiti contemporanee quest’anno ha aperto il padiglione Italia “Comunità resilienti” della Biennale di Architettura di Venezia, dedicato in particolare alle sfide legate al cambiamento climatico.
Dolomiti perché
Al di là dell’icona patinata e bidimensionale, le Dolomiti sono un tuffo nella potenza primordiale, nella bellezza assoluta e maestosa della natura. Quel tipo di bellezza che comunica con le profondità più ancestrali del nostro essere. Anche per questo, dal 2009 le Dolomiti fanno parte del Patrimonio Mondiale Unesco: tutela, conservazione e sviluppo sostenibile del territorio diventano così un impegno formale, sebbene fossero già nelle corde degli umani che popolano questi territori da secoli e millenni. Ed è qui che si innesta l’azione visionaria e iconoclasta di Dolomiti contemporanee.
Progettoborca
A Borca di Cadore, semi occultato tra gli abeti e i larici che crescono ai piedi del monte Antelao, c’è il Villaggio Eni, un complesso residenziale concepito negli anni Cinquanta dalla mente illuminata di Enrico Mattei e realizzato dall’architetto Edoardo Gellner. La colonia ebbe vita relativamente breve e le strutture, assai innovative per l’epoca, rimasero cristallizzate nel tempo con tutte le masserizie che contenevano. Unici frequentatori del luogo, piante, funghi e piccoli animali del bosco. Fino al 2014, quando a questi organismi si è aggiunto Dolomiti contemporanee.
L’ex Villaggio è così diventato Progettoborca, un centro di rigenerazione territoriale che negli anni ha ospitato centinaia di artisti e ha messo in rete realtà di solito tra loro impermeabili: architetti, forestali, pianificatori, ecologi, imprenditori, antropologi, scienziati, letterati.
Una visione chiara, olimpica
Di recente, una nuova opportunità di sviluppo territoriale sostenibile si è profilata all’orizzonte per quest’area: le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026. Da Villaggio Eni a Villaggio olimpico, la transizione appare naturale. Perché costruire ancora, sprecare altro suolo, creare nuovi impatti, quando lì a pochi chilometri da Cortina c’è già tutto? Una scelta consapevole e responsabile che diverrebbe l’anello di congiunzione verso l’obiettivo finale: la realizzazione, nell’enorme ex Colonia, di un Centro Studi Reattore della Montagna, sostenuto da svariati partner pubblici e privati.
«In tal modo, l’Olimpiade darebbe un primo spunto al recupero intelligente del sito – chiarisce D’Incà Levis – per lasciarlo in eredità, riattivato, al territorio». Una visione cristallina e lungimirante di una montagna attiva, che contribuisce alla propria crescita attraverso gli strumenti creativi della sensibilità e dell’ingegno.
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Openstudio
Nel frattempo, a fine ottobre i cancelli dell’ex Colonia si sono aperti per l’Openstudio, cinquantacinque ore più o meno ininterrotte di attività fluide e strabilianti dentro e intorno al labirinto di corridoi, stanze, refettori, saloni, rampe e terrazzini della struttura principale.
Ovunque, installazioni, opere artistiche, creazioni, tutte realizzate da artisti residenti con materiali di recupero trovati all’interno delle strutture stesse.
Come i cappotti di Anna Poletti, ottenuti dalle coperte con il logo del cane a sei zampe, un vero e proprio progetto di upcycling. O le opere di Stefano Caimi, che si ispirano alle forme della natura amplificandole: la sua performance Roots, le radici del paesaggio sonoro, è un susseguirsi di immagini e suoni che interpretano il complesso sistema di comunicazione delle piante, basato su segnali chimici emessi dalle radici.
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In Vajont
C’è poi un’altra storia, lunga, complessa e veramente tragica.
È quella della diga del Vajont, costruita in un luogo a forte rischio idrogeologico e conclusasi nel peggiore dei modi: nell’ottobre del 1963, una frana si staccò dal monte Toc, al confine tra Friuli Venezia Giulia e Veneto, e finì nel lago creato dalla diga, provocando un’imponente onda di piena che rase al suolo i paesi circostanti.
Della tragedia si è parlato molto ed è bene che si continui a farlo. Ma anche qui Dolomiti contemporanee interviene con un taglio diverso e un punto fermo: guardare rigorosamente avanti.
Spazio museale di Casso
L’ex scuola elementare di Casso, uno dei paesi più colpiti dal disastro, diventa così uno spazio museale dedicato all’arte contemporanea che, ancora una volta, dialoga con il territorio montano e le sue peculiarità naturalistiche e culturali. La mostra attualmente in corso, Vaccanza, del collettivo di artisti Fondazione Malutta, è emblematica: quadri e sculture affrontano il tema del turismo superficiale, distratto e stereotipato che nuoce gravemente alla natura (e a noi, lo sappiamo).
Qualche giorno fa, tra mucche che sorseggiano cocktail e villeggianti alpini che fanno la siesta in una giungla stile Rousseau ma molto più inquietante, si è svolto un incontro di visioni e progetti sulle forme di ripristino e tutela dinamica del paesaggio. Ancora una volta, riflessioni e approcci integrati e multiformi con un fine unico: la rigenerazione sostenibile, creativa, sensata del territorio.
Saperenetwork è...
- Naturalista di formazione, multiculturale per vocazione, da diversi anni lavora nel settore dell’editoria scientifica dove si occupa di progettazione e redazione di testi divulgativi e didattici. Come consulente ambientale e della sostenibilità ha sviluppato, gestito e coordinato progetti nazionali e internazionali sui temi dell’ecologia, della conservazione e dello sviluppo sostenibile per università ed enti di ricerca, organizzazioni governative e non governative e organismi internazionali. Spirito eclettico e curioso, con una passione atavica per la natura nelle sue molteplici forme ed espressioni, negli anni ha spaziato dai territori più tecnici e scientifici a quelli più arcaici e olistici, muovendosi sempre con l’entusiasmo dell’esploratore. Oltre al mondo naturale tout court, la appassionano il lifestyle eco-sostenibile e le innovazioni green, la letteratura e le espressioni artistiche e tutto ciò che è fusione tra natura e cultura. Con un gusto pionieristico per il viaggio, soprattutto se di esplorazione e scoperta.
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