Fare arte per percepire l’ambiente
Un laureato in scienze naturali e un’architetta: sono Andrea Caretto e Raffaella Spagna, coppia di artisti alla ricerca dell’essenza della nostra relazione con l’ambiente. Anche partendo dal presupposto che l’arte può aiutare le persone a sentirsi più toccate dal problema ecologico
La riflessione più importante nata durante l’emergenza sanitaria è che il problema ecologico è innanzitutto una crisi estetica, una crisi di percezione: a livello cognitivo si sa che il problema esiste ma non è percepito come problema cogente. Finché non si uscirà da questa modalità anestetizzata sarà difficile affrontare la crisi ecologica.
È la visione lucida di Andrea Caretto (Torino, 1970, laureato in Scienze Naturali) e Raffaella Spagna (Rivoli, 1967, laureata in Architettura), artisti da sempre concentrati sull’esplorazione del complesso intreccio di relazioni dal quale emergono le cose, dalle modalità di percezione dell’ambiente ai flussi e cicli della materia, alle trasformazioni del paesaggio, alla relazione tra selvatico e coltivato, fino all’indagine sui rapporti tra vivere, abitare e costruire.
Hanno il loro atelier negli spazi della suggestiva fornace del Munlab, l’Ecomuseo dell’argilla di Cambiano, nel Torinese, al quale fanno anche da consulenti. Lavorano insieme dal 2002 esponendo in istituzioni pubbliche e private, in Italia e all’estero, e sono soci fondatori dell’associazione di artisti Progetto Diogene a Torino e dell’associazione Pianpicollo Selvatico – Center for Research in the Arts and the Sciences, di Levice (To). Collaborano inoltre stabilmente con l’ Iris (Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità), il Centro di Ricerca Interuniversitario delle Università di Torino, Brescia e Aosta e la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino.
Perché parlate di crisi di percezione legata al problema ecologico?
Andrea Caretto: Il Covid ha dimostrato che, nel momento in cui si percepisce il problema come qualcosa di estremamente grave, che mette in pericolo la nostra vita, siamo disposti ad adattarci anche a politiche impattanti e addirittura limitative. Nel caso del problema ambientale se ne parla, l’informazione viene data in modo chiaro, ma la maggior parte delle persone non si sente toccata direttamente, anche se i dati sulle malattie legate all’inquinamento sono reperibili e vengono regolarmente diffusi. Fintanto che non si registra questo cambiamento a livello di percezione sarà difficile attuare dei cambiamenti anche a livello politico, perché mancherebbe quel consenso di base in grado di far attuare il cambiamento.
Eppure l’impatto emotivo sul pubblico degli effetti sull’ambiente dettati dal lockdown della scorsa primavera era stato forte.
Il Covid è stato una grande lezione di ecologia. Da un lato ha rivelato le infinite connessioni che esistono tra un microorganismo piccolo come il virus e tutti gli altri ambienti a più livelli. Dall’altro, le acque limpide nei canali a Venezia, piuttosto che l’apparizione degli animali selvatici nelle città, sono state visioni forti, che personalmente mi lasciarono all’epoca un senso di sconforto perché sapevo che sarebbero rimaste una parentesi che non avrebbe prodotto risultati nell’immediato. Il mio non è pessimismo ma realismo: i cambiamenti dal punto di vista ambientale si basano su processi che richiedono tempi lunghi.
Dove vi hanno condotto le vostre riflessioni dell’ultimo anno?
Raffaella Spagna: I nostri lavori degli ultimi anni in campo artistico andavano già nella direzione di una pratica immersiva dove l’opera emerge da una situazione in cui noi per primi siamo coinvolti. Cerchiamo da tempo una spontaneità che sia in contatto con la vita e con ciò che siamo e stiamo ragionando su come spingerci ulteriormente in questa dimensione.
Come fate a far confluire il vostro diverso sentire in un unico lavoro?
Contribuisce, crediamo, il fatto di essere una coppia anche nella vita. E ci aiuta avere propensioni e visioni diverse, figlie di due differenti formazioni. Andrea ha un approccio maggiormente scientifico e classificatorio, io una visione più spirituale, che lui ha, a sua volta, seppur diversa. In questo momento abbiamo comunque urgenze simili e cerchiamo di avere un atteggiamento di generosità, di non ossessionarci su noi stessi ma di lasciar parlare l’altro. In questa fase nuova del nostro lavoro sentiamo di spingerci molto in territori sconosciuti nei quali far parlare gli eventi e di leggere anche i segni che ci arrivano. C’è un qualcosa di quasi mistico in questo desiderio di sperimentare, una grande apertura verso ciò che accade.
Portate questa visione anche in campo formativo?
Andrea Caretto: Sì, perché la parte di formazione non è scollegata dal nostro lavoro artistico. Negli ultimi anni, su richiesta di enti e istituzioni, abbiamo curato molti workshop dove come nostra linea metodologica proponiamo alle persone di sperimentare situazioni immersive, dove allenare l’attenzione, cercando di partire da un’attivazione sensoriale per riuscire ad attivare dinamiche che arrivano prima del linguaggio. L’ossessione dell’essere umano di dire delle cose alla fine è una ossessione che parla di noi stessi, mentre noi vogliamo che si lasci spazio per l’altro o almeno di provare a vedere cosa succede. Nell’ultimo anno le esperienze dal vivo si sono ovviamente ridotte, ma abbiamo sperimentato la formazione a distanza. Io ho un contratto con la facoltà di Scienze della Formazione, nell’ambito del quale propongo laboratori di scienze naturali con attività cross-disciplinari: lavorare a a distanza è stato interessante perché ho invitato i miei studenti, perlopiù ragazzi di poco più di venti anni, a fare escursioni in casa. Volevo invitarli a ragionare sul concetto ecologico, che si tende a vivere come dicotomia, come altro da noi. Soprattutto nel primo lockdown, i ragazzi si sono dovuti rendere conto che invece la natura è anche dentro casa, che questa è piena di altri organismi con cui coabitiamo. Adesso faccio fare le escursioni fuori: si tratta di un’esperienza solitaria ma di grande impatto, perché io do loro istruzioni sul cellulare, chiamandoli ad esercitare l’attenzione su una dimensione orizzontale e a guardarsi attorno. Per molti di loro è una prima volta.
Quali sono i vostri progetti per i prossimi mesi?
Raffaella Spagna: Come prossimo lavoro vorremmo conservare per un determinato periodo tutti i nostri rifiuti e lavorare su questi come fossero materia preziosa. Vorremmo riuscire a trasformare il 100% di questa massa, che ha energia e storia, facendola diventare nuova materia. Non è un discorso di riciclo quindi ma di intervenire sulla vitalità dei materiali, partendo dalla loro conoscenza, per attivare processi artigianali che ci consentano di arrivare a produrre arte. Speriamo inoltre che la situazione si normalizzi per partire in autunno alla volta della Mongolia. Nel dicembre 2019, con due giovani curatori abbiamo infatti vinto un bando del Ministero della cultura per le residenze all’estero di artisti a fini di ricerca ed esplorazione, un’occasione per accogliere nuovi spunti di riflessione.
Saperenetwork è...
- Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.
Ultimi articoli
- Eventi27 Settembre 2024Terra Madre 2024, a Torino arriva (anche) la Carinzia
- Libri19 Luglio 2024Economia vegetale, cosa le piante possono insegnare al capitalismo
- Cinema10 Luglio 2024“Fungi: the Web of Life”. Ovvero, impariamo a sopravvivere cooperando
- Cinema17 Giugno 2024Green City Life, la (nuova) città ideale è possibile