Ghosh, le farfalle di Nabokov, i meteoriti, il Covid: una riflessione su arte e scienza, anime gemelle
In occasione del lancio della seconda Biennale dell’Antropocene, che inaugura giovedì 19 presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia a Roma, una riflessione su un rapporto necessario e indissolubile, ora più che mai, davanti alla crisi climatica
In La Grande Cecità, il saggio di qualche anno fa, lo stesso dal quale è estratta la citazione che apre il nostro comunicato di presentazione alla seconda Biennale dell’Antropocene, Amitav Ghosh si chiedeva, dopo aver osservato le conseguenze dello stravolgimento climatico sulle coste di alcune isole del sud est asiatico, come stesse reagendo la cultura (in particolare, lo scrittore, giornalista e antropologo indiano poneva la sua attenzione sulla letteratura) dinanzi a tutto ciò. Ghosh notava, con un evidente sgomento che quando il tema del cambiamento climatico appariva in una qualche pubblicazione o manifestazione culturale, artistica, si trattava quasi sempre di saggistica, oppure di opere raccolte nel campo della fantascienza, della distopia. La cultura, secondo Ghosh, così abile nel raccontare altre crisi, da sempre, come la guerra, le atrocità, il dolore, opponeva resistenza al racconto, all’approccio verso questa crisi, la crisi climatica. «La Terra muore e noi stiamo zitti», era il j’accuse che, da letterato, lanciava al mondo della cultura e delle arti.
La Biennale dell’Antropocene, per evitare la grande cecità
Sono passati alcuni anni dalle considerazioni lucidissime, e in parte ancora attuali del grande intellettuale indiano. Oggi sembra che le cose stiano lentamente cambiando. È uno dei motivi per cui reputiamo importantissimo un evento come la seconda Biennale dell’Antropocene ideata da Vittorio Pavoncello, curata da Giusy Emiliano, coordinata dall’artista Anna Di Fusco e dalla storica dell’arte Rita De Duro, e ospitata a Roma dall’INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dalla Fondazione Marco Besso. L’Antropocene, come sappiamo, è l’era geologica segnata dall’impatto dell’essere umano sulla Terra. La riflessione che la Biennale propone, va nella direzione auspicata da Ghosh: riflettere sul legame tra essere umano e Pianeta, evitare la “grande cecità”, e questo si può fare grazie al legame tra arte, meglio, arti, e scienza.
Guardiamo in alto, please
Mi viene in mente un film formidabile, uscito su Netflix in periodo pandemico: Don’t Look Up, di Adam McKay, in cui due scienziati, interpretati da Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence, si accorgono di un meteorite che sta per colpire la Terra nel giro di sei mesi, cercano di avvertire tutti, ma vengono sbeffeggiati, sfruttati come fenomeni da baraccone, derisi e fatti “meme” sui social media, osteggiati, insultati e poi semplicemente ignorati. (Ovviamente l’epilogo lo conosciamo tutti: i super ricchi sono già pronti al piano B, con astronavi che li catapultano su pianeti alieni ricchi di vegetazione. Ma nemmeno a loro va bene; nemesi storica, i “Brontoc”, sorta di dinosauri, si vendicano abbattendo la presidente). Chi fa giornalismo, chi fa informazione (anche) sulla scienza, e/o sui cambiamenti climatici, sa bene quanto sia utile, a tratti necessario l’apporto della cultura, delle arti, per veicolare le informazioni, renderle efficaci oltre la mera comunicazione.
La scienza e la (dis)informazione
Abbiamo visto già durante la pandemia quanto gli scienziati, complice la disinformazione virale che ormai da decenni corre veloce come veleno prima su internet, poi soprattutto sui social media, non vengano più presi sul serio, nella migliore delle ipotesi. Accuse surreali, paranoie istituzionalizzate e cavalcate cinicamente da diverse parti politiche, terrori e egotismi infantili tramutati in rabbia sociale, complotti, cospirazioni, fantapolitica, negazionismo, follia, violenza verbale e fisica. È accaduto con i vaccini, spauracchio divenuto, per i più naïf, vessillo di sedicente e autoreferenziale ribellione, libertà personale, e “indipendenza di pensiero” (ma essere indipendenti e liberi poi, su che basi? E da cosa? Dai dati reali della scienza e di chi fa scienza?), avviene con i cambiamenti climatici.
Non ci sarà arte su un Pianeta morto
Ecco, intento e importanza di un evento come la Biennale dell’Antropocene, è proprio quello di evitare di “non guardare in alto”, evitare la grande cecità. Noi, tutte e tutti, dobbiamo guardare la meteora, come dicono gli scienziati, perché è l’unico modo per cercare una possibile via di salvezza. E la cultura, le arti, le opere di finzione, offrono infiniti modi di raccontare, informare, comunicare, ma anche di cercare e chissà, forse trovare, nuove possibilità, nuove soluzioni. La cultura, come dice ancora Ghosh, è, almeno nel nostro mondo, legata al mondo della produzione di merci e quindi di desideri, e di conseguenza intimamente legata alla storia del capitalismo. La cultura, l’arte è logicamente parte dell’Antropocene: dunque non può (più) permettersi di voltare la testa davanti al cambiamento climatico. E gli artisti, se tali vogliono rimanere, non possono vivere nello straniamento, non possono non tener conto della conoscenza, che è per loro linfa vitale, possibilità di crescita. D’altronde, come dicono i ragazzi di Ultima Generazione, non ci sarà arte in un pianeta morto.
Le farfalle di Nabokov
Allo stesso modo gli scienziati non possono più fare a meno della fantasia degli artisti, del linguaggio evocativo delle arti che riesce a coinvolgere le persone. In fondo poi, a ben pensarci, scienziati e artisti sono entrambi mossi dallo spirito di ricerca, perché cercano entrambi soluzioni, siano espressive oppure sistematiche. Sono, scienziati e artisti, per questo uniti dalla creatività, di cui entrambi non possono fare a meno. E a questo proposito viene incontro un altro grande letterato, Vladimir Nabokov, che a proposito dell’allunaggio scrisse che sulla navicella spaziale avrebbe dovuto esserci anche un artista, per raccontare l’esperienza in modo accattivante, poiché, sosteneva, la precisione delle arti e l’immaginazione della scienza vanno di pari passo. Lo sapeva bene lui, entomologo dilettante con la passione per le farfalle, che aveva intuito e teorizzato che i lepidotteri erano arrivati nel continente americano passando per lo stretto di Bering, dopo essersi evoluti in Asia. Lì per lì nessuno prese sul serio le ipotesi di quel bislacco, aristocratico scrittore esule russo, ma anni dopo, attraverso il sequenzamento del Dna, alcuni scienziati professionisti furono in grado di confermare con certezza la sua supposizione. Forse se arte e scienza avessero “parlato” insieme, unendo i loro linguaggi, gli scienziati di Don’t Look Up sarebbero stati presi sul serio, e in tempo per bloccare il meteorite.
Saperenetwork è...
- Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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