Il Re Leone e l’impegno per i grandi felini in estinzione
È al cinema dal 19 dicembre il nuovo live action di casa Disney, prequel del lungometraggio del 2019 e del remake del film d’animazione del 1994: una nuova storia per accendere i riflettori sui grandi felini a rischio estinzione
«Il leone si è addormentato e più non ruggirà», cantavano nel 1994 il suricato Timon e il facocero Pumbaa nel primo film d’animazione dedicato a quello che sarebbe diventato uno dei franchise di maggior successo della Disney, Il re leone. Da lì a poco ci sarebbero stati due sequel in animazione, Il re leone 2: Il regno di Simba (del 1998), Il re leone 3: Hakuna Matata (del 2004), un musical (del 1997, vincitore di 6 Tony Awards). E ancora, due versioni live action, una del 2019, remake shot-for-shot
Nel frattempo, durante questi 30 anni, quel motivetto che è costato anni di controversie giuridiche agli eredi di Walt Disney si è rivelato quanto di più premonitore.
Il leone e lo studio del Wwf
Il leone è scomparso dal 90% del suo areale originario: le popolazioni africane sono a oggi concentrate nelle aree dell’Africa Sub-Sahariana mentre quelle asiatiche unicamente nella zona dell’India nord-occidentale, quasi esclusivamente in aree protette. La forte riduzione numerica a cui è andata in contro la popolazione di leoni in Africa negli ultimi due decenni, passando da 100.000 a circa 30.000 individui, ha ormai relegato la maggior parte degli esemplari alle sole aree protette aumentando il rischio di accoppiamenti tra consanguinei, con crescente rischio di indebolimento genetico e maggior vulnerabilità al diffondersi di epidemie. Secondo uno studio presentato dal Wwf, i numeri suggeriscono che in assenza di misure efficaci e di progetti di conservazione dedicati, i leoni diminuiranno di un ulteriore 50% nei prossimi due decenni in Africa occidentale, centrale e orientale.
La Disney e la campagna Protect The Pride
Alla luce di questo, la Disney, che col solo Classico del 1994 (più grande film d’animazione degli ultimi 50 anni in termini di biglietti venduti) ha guadagnato 968.483.777 dollari, sostiene ormai da 5 anni il Wildlife Conservation Network (WCN) Lion Recovery Fund (LRF) e i partner che lavorano in tutta l’Africa per raddoppiare il numero di leoni in libertà entro il 2050. Nel 2019, infatti, l’azienda statunitense a sostegno della LRF ha lanciato la campagna Protect The Pride, in concomitanza con l’uscita del live action de Il re leone, e ha finanziato più di 300 progetti, lavorando in 25 Paesi africani.
Politiche disneyane
Non è questa la sede per argomentare quanto e come Disney si comporti in fatto di responsabilità aziendale e quanto e come siano davvero sostenibili le sue iniziative verdi e a favore della fauna selvatica. Ci limitiamo a riportare che la compagnia da tempo sottolinea i propri sforzi “per aumentare la diversità, l’equità e l’inclusione attraverso storie e narratori che riflettono la ricca diversità del nostro mondo; sostenere la sostenibilità ambientale agendo per aiutare a proteggere il nostro pianeta; portare conforto, ottimismo e gioia alle comunità attraverso le sue donazioni di beneficenza e creare momenti che contano”, come si legge nel report 2023 sulla sostenibilità e sull’impatto sociale.
Mufasa, racconto di formazione
Il nuovo film, Mufasa: Il re leone, arriva dunque a sottolineare una volta di più l’impegno delle politiche disneyane: nell’ennesimo racconto di formazione, Mufasa è ancora un cucciolo di leone; rimasto orfano, lontano dal proprio branco, viene salvato dal giovane Taka, erede di una stirpe reale. L’incontro darà il via a un viaggio verso una terra promessa e verso il loro destino. Diretto da Barry Jenkins (un Oscar per la sceneggiatura originale di Moonlight, nel 2017), il lungometraggio unisce tecniche di ripresa dal vivo con immagini fotorealistiche generate al computer, catturando la ricchezza e la diversità del paesaggio africano.
Guarda il trailer di Mufasa: il Re Leone
L’Africa, il gigante protagonista
«L’Africa è un continente gigante, che presenta tutti le tipologie di paesaggio possibili. Ciò che sembrava adattarsi meglio alla storia era un viaggio dalla parte meridionale dell’Africa fino a dove finisce sulla costa orientale del continente, dentro e intorno al Kenya, vicino a dove è stata immaginata la Rupe dei Re originale. Abbiamo iniziato vicino al Botswana. È pianeggiante, assolutamente tropicale, esotica e spettacolare. È sicuramente uno dei paesaggi e delle topografie più straordinari che abbia mai visto. È anche molto spettacolare da riempire, in termini di design, per le sue semplici qualità grafiche. Abbiamo pensato che sarebbe stato un buon punto di partenza per Mufasa, che viene sradicato dalla sua famiglia, letteralmente spazzato via dall’unico posto che abbia mai conosciuto», ha spiegato Mark Friedberg, scenografo del film.
Ricostruendo la natura
Grazie al materiale di riferimento raccolto per le location, il team ha potuto ricreare la flora e la fauna del continente. Utilizzando tecniche come la fotogrammetria e la scultura a mano, gli animatori e gli artisti digitali della MPC (alla terza collaborazione con Disney dopo Il libro della giungla del 2016 e Il re leone” del 2019) hanno meticolosamente ricostruito pianure, canyon e foreste, creando ogni dettaglio, dalle rocce ai fili d’erba. I paesaggi sono stati scolpiti e arricchiti con fiumi, alberi e piante utilizzando strumenti in grado di imitare la complessità della natura, come ha detto Audrey Ferrara, supervisore agli effetti visivi:
«Per gestire la scala di questi ambienti, molto più grandi del precedente Il re leone, abbiamo sviluppato nuovi strumenti per aumentare l’efficienza. I paesaggi sono parte integrante del racconto del viaggio di Mufasa, come sfondo geografico e spirituale».
Paesaggi e perizia tecnica
Più che la storia, infatti, che procede – per quasi due ore – farraginosa e senza un vero appeal, ad affascinare sono i paesaggi africani e la perizia tecnica usata per riprodurli. Come coinvolgenti sono movimenti ed espressioni degli animali, soprattutto dei grandi felini protagonisti. Per il resto, vittima forse di un doppiaggio non troppo felice (Luca Marinelli, che qui presta la voce al giovane Mufasa, si ama in ben altre performance, malgrado discenda da una famiglia di doppiatori) e di dialoghi a tratti imbarazzanti per didascalismo e banalità.
Un Re Leone (quasi del tutto) dimenticabile
Anche le canzoni, pur includendo musiche di Lin-Manuel Miranda, mente di quel capolavoro che è il musical Hamilton (ma gli si deve anche la colonna sonora di Oceania e Oceania 2), non reggono una volta tradotte il confronto con i brani del classico del 1994, firmati da Elton John e Tim Rice, che si ricordano ancora come perfettamente funzionanti anche in italiano. Insomma, sembra essere una prova deludente da parte di uno sceneggiatore come Jeffrey Nathanson, dietro a successi come Prova a prendermi e The Terminal di Steven Spielberg, malgrado rimanga il dubbio di un problema tutto italico di una traduzione non riuscita e di un cast di voci tutto sbagliato (accanto a Marinelli, si segnalano Elodie per Sarabi, Edoardo Leo per Timon, Stefano Fresi per Pumbaa, Elisa per Nala, per nominare i più noti al pubblico. Eugenio Marinelli, padre di Luca e doppiatore di lunga data, è Masego, il padre di Mufasa). Mufasa: il re leone si iscrive dunque tra i film dimenticabili.
Non così l’impegno a far raddoppiare il numero dei leoni da qui a 25 anni.
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Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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